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venerdì 16 agosto 2013

Nichilismo morale ...

Molto spesso la L. n. 194/1978, che, per intenderci, consente l'interruzione volontaria di gravidanza, sia pure a determinate condizioni, viene considerata, e difesa, per non dire anche "propagandata" come un successo civile, come il successo della cultura liberale, come l'esito ultimo e progressivo del cammino italiano verso il "meglio".

Commentando, però, l'esito del referendum del 1981, vertente appunto sull'abrogazione di suddetta legge, ma anche sull'abrogazione dell'ergastolo, scrive Scoppola:

"in realtà, la possibilità di abortire in strutture sanitarie statali e la funzione deterrente dell'ergastolo […] si legano non già nella logica di un'affermazione di diritti civili ma in quella molto meno ideale di una domanda di sicurezza, nella maggioranza degli italiani, di non essere inquietati da problemi morali e di principio, di non rinunciare a nessuna possibilità offerta dalla legge a tutela della propria sicurezza anche se questa sicurezza viene pagata con la vita dei nascituri o con la esclusione […] di ogni possibilità di riscatto per gli ergastolani. L'esito congiunto dei due referendum del 1981 molto più di quello del '74 è rivelatore di quel «vuoto etico» verso il quale i processi di secolarizzazione hanno spinto il paese" (P. Scoppola, La repubblica dei partiti, p. 420).


La novità dell'interpretazione offerta dallo storico romano è rilevante: da un lato, consente di comprendere meglio come mai l'istanza civile avrebbe trionfato in un'occasione e non nell'altra, anche se si trattava della medesima tornata referendaria; e, dall'altro lato, invita a scrutare nelle vere ragioni di una determinata volontà popolare.

Certo, l'interpretazione che possiamo offrire deve legare tra loro i risultati delle due consultazioni e far emergere quel che, sovente, si preferisce tacere: in nessun caso, si trattò di cammino verso i diritti civili.

Per dirla altrimenti, l'una e l'altra occasione appaiono piuttosto come l'esito del sostanziale disinteresse degli italiani nei confronti del "pubblico", del bene comune, del sociale, e contestuale strenua difesa dei confini del proprio orizzonte personalistico e meschino.

Non a caso, infatti, Scoppola li interpreta come mancanza di valori morali e come materiale difesa del proprio tenore di vita, ossia come la difesa estrema da qualsiasi pericolo di venir turbati nel proprio (apparente) benessere: nessuna questione morale che implichi una messa in discussione della tranquillità del singolo!

Il lato negativo di questa scelta, più o meno conscia, è presto detto: non importa che si debbano sacrificare altri valori o altri soggetti!

Resta il problema di fondo: constato il danno, cosa fare per ripararvi?


(immagine tratta da: http://www.welded-steelpipes.com/photo/pl1212568-rectangular_hollow_section_structure_pipe_square_hollow_sections_black_square_welded_tubes.jpg)

domenica 11 agosto 2013

Via italiana alla modernità ...

"la secolarizzazione della società consumistica, quella appunto in cui l’Italia si è tuffata negli anni Sessanta e Settanta, è fuori di quel mondo di valori; non è una fase ulteriore di quella evoluzione, ma una rottura; essa può apparire perfino estranea, in certe sue espressioni, ad ogni mondo di valori, quasi un salto in un vuoto etico che non ha riscontro in altri momenti o aree geografiche della storia europea"

(P. Scoppola, La «nuova cristianità» perduta, Edizioni Studium, Roma, 19862, p. 142)

Si tratta della più lucida denuncia nei confronti degli esiti deplorevoli della "modernizzazione" in Italia la quale, beninteso, non è stata affatto adeguamento ai livelli di socializzazione dei paesi occidentali, ma l'assimilazione superficiale, ossia agli aspetti più deteriori ed esteriori, a questi ultimi.

La via italiana alla modernità, dunque, è stato il consumismo.

Una spasmodica maniera di costruzione della propria identità individuale consumando quanto più possibile, e non solo fuori di sé.

Il consumismo ha cioè consumato dal di dentro gli italiani, svuotandoli progressivamente di valori e procedendo in fretta a spostare la lancetta dei rapporti tra pubblico e privato in direzione di quest'ultimo, espropriando di conseguenza la dimensione comune, del collettivo, sempre più di ambito, di ruoli, di pertinenze.

Ma vediamo solo oggi quel che siamo diventati a seguito del vuoto etico prodotto dal consumismo. Resta da vedere, invece, se esistano via di fuga o possibili strategie di correzione, sia pure parziale, degli immani errori prodotti.


(immagine tratta da: http://books.google.com/books?id=3T0vAAAAYAAJ&printsec=frontcover&img=1&zoom=1&imgtk=AFLRE72JTKIXAxAgJSFgCRVHLX89fiLsmcCMKgHalaXWpbbbWi5-TjY5rgFcw5Hum1Ka32g4CwlcZxRRBV57m_TEbFAif2K8mpCKyxoJalKvXfhs4rhOSuE)