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mercoledì 30 gennaio 2013

Papers ... and Works! Last list of research ...

Elenco dei prodotti della ricerca

PIZZO A. (2013). Recensione a: A. Moro, Parlo dunque sono. Diciassette istantanee sul linguaggio, Adelphi, Milano, 2012. APHEX, vol. 7, ISSN: 2036-9972
PIZZO A. (2012). Deontic Paradoxes and Moral Theory. Online www.ilmiolibro.it: ilmiolibro.it (SIPeM), p. 1-48, ISBN: 9788891014184
PIZZO A. (2012). What Can (not) Deontic Logic Do for Computer Law. DIRITTO & DIRITTI, ISSN: 1127-8579
PIZZO A. (2012). Il contributo di Georg Henrik von Wright alla filosofia del XX secolo. Frammenti di filosofia contemporanea I. p. 401-426, Casa Editrice Limina Mentis, ISBN/ISSN: 9788895881850
PIZZO A. (2012). La svolta ontologica in Parmenide: come e cosa si pensa quando si dice "è". Elementi eleatici. p. 357-388, VILLASANTA: Casa Editrice Limina Mentis, ISBN/ISSN: 9788895881720
PIZZO A. (2012). Nodi critici dell’informatica giuridica. DIRITTO & DIRITTI, ISSN: 1127-8579


(immagine tratta da: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/6/64/Occhio_marrone.jpg)





Alessandro Pizzo

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lunedì 28 gennaio 2013

La via mistica ...




(immagine tratta da: http://www.gadlerner.it/wp-content/uploads/2010/12/Gershom-Scholem.jpg)


"la rivelazione si trasforma da atto accaduto una volta sola in atto che continuamente si ripete. Il mistico cerca di collegare questa nuova rivelazione […] con le fonti dell'antica: sorge così la nuova interpretazione mistica dei testi canonici delle grandi religioni. La rivelazione originaria della quale la comunità era fatta partecipe, quella, per così dire, rivelazione pubblica sul Sinai, appare – all'intendimento del mistico – come velata e non spiegata. Solo la rivelazione segreta è per lui quella effettivamente aperta e decisiva. Così dunque i testi canonici – come in fondo tutti gli altri valori religiosi – vengono travolti nella corrente del sentimento mistico e riformati"

(G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, Torino, 201111, p. 22)



V'è un sottile filo che collega la religione ufficiale con i suoi sottoboschi culturali: la diversità di sensibilità nel vivere l'esperienza religiosa nel quotidiano.



Accade così che la "domanda" religiosa necessiti di ulteriore materia da poter consumare, reinterpretando anche i contenuti, e valori, canonici al fine di soddisfare l'anelito dell'anima che si sente ghermita tra il proprio desiderio di unione mistica e l'attuale dispersione nel regno del finito.



Scholem descrive, pertanto, una tendenza che è possibile riscontrare in quasi tutte le grandi religioni del mondo, in modo particolare presso le religioni rivelate.



Attualmente, peraltro, la tendenza mistica, risorgente ai nostri tempi, anche se in forme, diciamo, "fai da te", è in grado, in qualità di strumento analitico, di render conto dei fenomeni "settari" e "esoterici" che sembrano prendere così tanto piede.



La ragione è semplice: l'insoddisfazione nei confronti della mediazione, e del conseguente, differimento, tra azione e suo risultato, che la pratica religiosa, diciamo, "ufficiale" impone al fedele. Ma la frettolosità che connota i tempi odierni mal di acconcia con questo modo, diciamo, "canonico" di vivere la sete d'infinito.





Alessandro Pizzo

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domenica 27 gennaio 2013

Amenità


Marsala … che noia … e cosa c'è a Marsala? … fosse Milano … o Parigi …
Ma la senti? La sua voce … se chiudi gli occhi … e presti attenzione … Marsala … ti parla … puoi sentirle … sono voci …di un antico presente …





a Marsala nulla è come sembra, dietro la facciata di apparente normalità, si cela il vero volto della città: l'eterna contesa tra bene e male lungo il crinale del tempo. Infatti, solo a chi vi presta attenzione ed ascolta con cuore puro, Marsala parla, concede di sentire la sua voce, la voce di un passato mai del tutto tale, di un passato mai domo, e che, volente o nolente, torna sempre a cercarci, a toccarci direttamente. Questo è, in fondo, il destino di ciascun marsalese, fare i conti con la sua stessa storia, senza poter pretendere di sfuggire...
Per poter spezzare l'incantesimo che tiene prigioniero l'eroe antico, Giuliana deve dipanarsi attraverso i mille volti della città, alla ricerca di tracce disseminate qua e là e che conducono dove è collocato l'amuleto che ne sigilla la validità temporale. Trovarlo, però, e spezzarlo, non sarà affatto facile. Solo scorgendo la verità che dimora al fondo della banale esistenza, Giuliana riuscirà a trovare l'amuleto. Ma saprà accettare del tutto la sua missione? Accetterà senza riserve l'incarico che il destino ha scelto per lei? Saprà essere all'altezza di quanto recita l'antica profezia?





Per ordini clicca qui. Disponibile anche in formato ebook!

sabato 26 gennaio 2013

Dimorando presso le radure dell'Essere



"Siamo i pastori degli alberi, noi vecchi Ent. Ma ormai siamo rimasti in pochi. Le pecore diventano simili ai pastori, e i pastori alle pecore, dicono; ma è un processo lento, e né le une né gli altri restano al mondo per molto tempo. Invece per gli alberi e gli Ent accade molto più rapidamente, ed essi attraversano i secoli insieme [...] hanno molto degli Uomini, essendo più mutevoli degli Elfi, più veloci nel cambiare aspetto esterno, direste voi. E forse sono migliori sia degli uni che degli altri, poiché sono assai costanti nei loro pensieri e intenti"

(J. R. R. Tolkien, Le due torri, Bompiani, Milano, 2007, p. 80)



La metafisica tolikiana prende qui forme suggestive: con l'occhio rivolto all'umanità in genere, si indica la meta cui tendere, il modello cui conformarsi per trarne profitto, la secolare calma e ponderatezza degli Ent, veri e propri pastori dell'Essere, coloro i quali, per dirla con Heidegger, hanno il massimo privilegio di udire le voci dell'Essere nelle radure, e di poter, quindi, corrisponderne l'appello.


(immagine tratta da: http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSaVDoawKbtlHFcYEeAo6nL63USvogEJ2jE82wO-NCdW17ivsKipo6-Aqdphw)

venerdì 25 gennaio 2013

Scene da un corso di formazione

Incalzato dalla giovane relatrice, decido di dare un senso, sia pure stentato, alla mia partecipazione alle giornate seminariali. Così, produco la seguente lesson plan inclusiva:


Titolo: Social School

Premessa

[...] ho pensato questo piano didattico come uno schema di lezione a grandi linee, inteso come cornice generale al cui interno calare i segmenti curriculari delle varie discipline, uno schema generalissimo il quale, adoperando i moderni strumenti tecnologici, possa indirizzare in senso inclusivo la mediazione didattica all'interno di una classe di secondaria di secondo grado.

Situazione di partenza:

Classe I Istituto Professionale:

[...]

Normalmente si osserva come i nostri alunni siano bravissimi a padroneggiare qualsiasi contenuto multimediale, vivendo le loro esistenze costantemente connessi, o in rete o tramite discussioni a più attori su cellulare. Si osserva anche come gli stessi desiderino mantenersi sempre in relazione, sempre connessi con gli smartphone di cui (quasi) tutti sono oramai dotati. La velocità con la quale si collegano a internet, accedono alle informazioni richieste o si scambiano tra loro le stesse, fa pensare che per loro la normale lezione scolastica possa generare solo noia, non raccordandosi con i loro tempi né con le concrete modalità di relazione che sentono loro proprie. Non a caso, forse, si parla di nativi digitali, anche se si tratta di generazioni più simili alle nostre, per le quali, cioè, la mediazione tecnologica è posteriore alla prima infanzia. Ciononostante, però, sono attentissimi alle novità e alle risorse in rete e ciò può costituire naturalmente un punto di forza: puntare sulla dimensione della connettività per migliorare la pratica didattica. Inoltre, anche l'alunno diversamente abile presente in classe condivide, sia pure in misura minore se posto a confronto, la medesima attenzione alla connettività e all'accesso a internet tramite telefonini cellulari.
Tutti gli alunni sono dotati di cellulari di nuova generazione, con accesso illimitato ad internet, e tutti possiedono un account Facebook. Si presume, allora, come siano edotti circa la gestione di base della piattaforma digitale.
Diventa, così, possibile pensare ad un'integrazione virtuale della medesima classe tramite attivazione di un gruppo facebook, con caricamento in remoto di informazioni, links e note della lezione. Il presente progetto rende, pertanto, social la scuola nel senso che la coniuga con le risorse che i social networks rendono disponibili. Ovviamente, lo specifico contenuto disciplinare, o educativo, non è automatico quando si tratta di tecnologie, e lo è ancor meno quando si tratta di reti sociali. Bisogna, così prevedere alcune misure atte ad evitare alcuni difetti e/o problemi che possono sorgere nel mandare ad effetto questo piano didattico. A queste si rinvia infra nella sezione 'osservazioni'.



Obiettivi disciplinari: gli stessi delle materie di indirizzo del percorso professionale scelto.

Bisogni educativi speciali:

  1. attivare dei processi di focalizzazione dell'attenzione;
  2. motivazione al compito;
  3. motivazione intrinseca al successo formativo;
  4. miglioramento dell'autostima;
  5. raccordo con le abilità pregresse.

Strumenti:

In funzione degli obiettivi attesi e dei bisogni educativi speciali emersi, si è pensato di coniugare la normale pratica didattica in aula con l'utilizzo di strumenti appositi. In altri termini, si propone di adoperare il canale tecnologico per migliorare, anche in senso maggiormente inclusivo, la naturale didattica quale si realizza in classe. Realisticamente, pensato cioè nel concreto della pratica didattica, l'uso dei seguenti strumenti viene ritenuto fattibile e fruttuoso per le seguenti ragioni:

  1. utilizzo del cellulare per collegarsi alla piattaforma digitale di supporto con lavoro individualizzato all'interno del gruppo classe virtuale;
  2. possibilità d'integrare il lavoro personale sulla piattaforma digitale durante l'orario scolastico;
  3. possibilità di accedere “direttamente” al materiale reperibile on – line per gli alunni che non riescono a seguire la lezione in aula.



Tempi:

Sono gli stessi previsti normalmente per la somministrazione del singolo segmento curriculare. L'utilizzo di nuovi media, però, richiede che questi ultimi vengano resi flessibili, prevedendo la normale dilatazione dei tempi dovuti alla dinamica del feedback della piattaforma.

Osservazioni:

La piattaforma digitale alla quale si fa riferimento è un gruppo chiuso aperto su Facebook sul quale il docente, in qualità di amministratore, caricherà materiali ulteriori, come riassunti, mappe concettuali, consigli di studio, indicazioni di approfondimenti, video, e valuterà la partecipazione dei singoli alunni, chiedendo loro la pubblicazione di post contenenti risposte alle richieste del docente.
La natura non in presenza di suddetto gruppo, analogo digitale della classe in presenza, consente la dilatazione della frequenza al lavoro didattico, consentendo agli alunni la possibilità di rivivere quanto fatto in classe in tempi differiti oppure seguire dei canali di reperimento delle informazioni necessarie secondo lo stile di studio loro più consono.
Sfruttando la natura 'ludica' della connettività esperita dagli alunni, si può anche prevedere la possibilità di un'interazione in classe alla stessa piattaforma, consentendo alla classe di collegarsi tramite i loro dispositivi. Questa possibilità, rispetto alla quale i docenti sono solitamente restii, opera però su due differenti piani:

a. valorizzazione della dimensione “ludica” connessa all'uso dello smartphone;
b. miglioramento dell'approccio didattico facilitando l'accesso alle informazioni, e al connesso lavoro didattico, tramite strumenti quotidiani e familiari per gli alunni.

I due piani, a. e b., dilatano il tempo di somministrazione, studio e verifica, del singolo segmento curriculare, attivando dei canali differenti ed aiutando gli alunni ad accedere in maniera più efficace ai saperi, sviluppando abilità e raggiungendo gli obiettivi richiesti.
Peraltro, la natura dinamica della piattaforma consente al docente di controllare, anche in tempo reale, l'effettiva partecipazione del singolo alunno al lavoro proposto, potendo, di conseguenza, revocare in qualsiasi momento l'abilitazione dello stesso alla piattaforma.
É possibile evitare concreti rischi di dispersione su internet del tempo didattico, anziché come lavoro sulla piattaforma, monitorando costantemente l'attività al gruppo e potendo revocare in qualsiasi momento l'utilizzo del canale tecnologico nella prassi didattica quotidiana.




Conclusioni:

Come si vede l'assenza di ulteriori indicazioni, come, ad esempio, di una griglia di valutazione, indica come il presente piano sia inteso quale cornice generale valevole per qualsiasi materia prevista nel curriculo scolastico. Esso, in altri termini, è inteso quale uno strumento ulteriore per la didattica che, valendosi del canale tecnologico più prossimo ai nostri alunni, consenta di legare, di più e meglio, la prassi didattica alle abilità pregresse e alle conoscenze di questi ultimi, mostrando un volto meno giurassico per la scuola che frequentano ed eliminando, nel contempo, molti alibi che vengono addotti.
L'unico ostacolo, però, potrebbe venire dalla resistenza del docente che, per svariati motivi, non colga la bontà del progetto.
In qualità di docente di sostegno, comunque, posso suggerire delle possibilità che rendano maggiormente inclusiva la normale lezione.



Sinceramente non ci ho perso molto tempo sopra. Tuttavia, posso ritenermi altrettanto soddisfatto del risultato finale, ed anche dei complimenti di chi tiene il corso. Certo mi piacerebbe se i colleghi integrassero questo mio progetto con loro contributi personali affinché non rimanesse quel che è: parole sulla carta ....

giovedì 24 gennaio 2013

What is federalism?

In Italian political debates about waht political form for the Nation, there exists a sort of mantra, well known as federalism, a term good for every times, since at least 1992. 


If everybody use it, it isn't clear what means or what they mean by it: for anybody it means that Italy must become a federal republic, even if it remains unclear waht type of federal state, if with local states or regions; for anybody it means just to increase local powers than central powers, even if it remains unclear what balance must be between local or central too; there are some politics who use it without attaching to it a clear meaning ...



Tomorrow voting but in Italy hovers a ghost named federalism, and nobody knows what is it.



For me, this is a unpleasant consequence of scandal politics' tragic sequence in 1992, a historical conjuncture named Tangentopoli, or corruption in public affairs, when it seemed to all that  there was only one way out: to change form to the State, even by carriyng out constitutional reforms of actual State.



Since, we run behind the term federalism without having clear ideas about it nor knowing its real social costs .



Meanwhile, however, some old back in the field and italians are ready to vote them again!



It's true: the history teaches nothing.



Perhaps, the term federalism, for our history, means nothing, but in political competition it is important because it moves votes.


(immagine tratta da: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6VPKQ03cHtkfGq-KB3F7e_RkWpXoFXJ9drBvYn2Vu6vwED-IiffDX4m3jwcW5tXyUSKa3TOCkbk2Dd3zVRjA5fhmM2peyF0odu17PRiKndLLODU_wvtEO8ijaxxXG9jsEJelF_YIZqyo/s1600/federalismo68740_img.gif)



Personally, I'm tired listening and reading the term 'federalism' while I think there are many other problems to be addressed, challenges to overcome, than to brandish the threat of separation of parts of the national territory ...

mercoledì 23 gennaio 2013

L'eclissi di Dio

Scrive Quinzio:



Se Dio è scomparso dall'orizzonte dell'uomo moderno, ciò non è accaduto perché sia morto. È accaduto perché si è cominciato a concepirlo soltanto come un impersonale Esso, e quindi, potenzialmente, come un oggetto che la mente dell'uomo osserva distaccata, definisce, comprende, che in definitiva essa stessa pone, crea[1]




Quel che è cambiato è l'ordine di priorità interne alla coscienza moderna, al punto che Dio viene occultato dietro le urgenze del reale, della percezione, delle occupazioni, delle pratiche da mandare ad effetto. Come sostiene Buber:

l'uomo è diventato incapace di afferrare una realtà per antonomasia indipendente da lui, e di rapportarsi ad essa – incapace pure di raffigurare e rappresentare questa realtà in immagini vive che la sostuiscano in luogo di una contemplazione che non può eguagliarla. Poiché le grandi immagini divine dell'umanità non nascono dalla fantasia, ma dal reale incontro con la reale potenza e magnificenza divine[2]




La realizzazione dell'annuncio nietzschiano in merito alla morte di Dio non significa la folle, quanto insensata, negazione metafisica di Dio, ma la constatazione antropologica circa la sua scomparsa dall'orizzonte morale dei più[3]. In altri termini, altri contenuti morali hanno occupato la spazio prima esistente tra l'uomo e Dio, al punto che ha senso descrivere lo stato attuale con la locuzione significativa di eclissi di Dio, «L'ora in cui viviamo è caratterizzata infatti dall'oscuramento della luce celeste, dall'eclissi di Dio» [4]. 


La scomparsa di Dio dalla coscienza moderna è anche un riflesso del ripiegamento interiore della psiche umana, in modo particolare negli ultimi due secoli. Per questo motivo, anche, Buber attacca lo junghismo, e lo fa con le seguenti parole:

la coscienza moderna non vuole avere più niente a che fare con il Dio creduto dalle religioni, che si manifesta all'anima e comunica con lei, rimanendo però in sé un essere trascendente; si rivolge all'anima come all'unica sfera dalla quale si possa aspettare che contenga del divino[5]




L'umanità moderna, profondamente legata al secolo, così intimamente connessa con la fragilità materiale con la quale è fatta, finisce allora con il rifiutare Dio, ossia con l'allontanarlo dai propri pensieri, la coscienza umana abbandona Dio[6]. 


La natura dialogica della riflessione buberiana descrive la condizione moderna come l'esito della frapposizione del mondo tra l'Io e il Tu, tra Dio e la Creazione. L'originario rapporto teandrico viene occupato dal mundum, ossia dall'essere che diviene il termine unico ed intrascendibile di qualsiasi relazione. Detto altrimenti, l'uomo sostituisce la realtà a Dio. In questo modo, il mondo occupa lo spazio tra l'uomo e Dio, eclissando quest'Ultimo dall'orizzonte di pensiero e di percezione.



L'eclissi di Dio dal mondo moderno riposa sulla pacifica naturalizzazione della realtà, ossia dalla negazione dell'orizzonte ultimo, e trascendente, rispetto a quest'ultimo. Oltre al mondo, cioè, non v'è altro cui guardare. Di conseguenza, il mondo si frappone tra l'uomo e Dio, il mondo passa da instrumentum, quale regno dei signa, che rinviano ad altrove, ad un ulteriore non riducibile all'essere stesso, a fine in sé.



Ma se scompare la trascendenza, scompare anche la distanza tra uomo e uomo. L'esito nichilista in teologia, o metafisica, ha sempre una conseguenza non trascurabile in etica. Scomparso Dio, ossia il campione per eccellenza di qualsiasi rapporto umano, nulla impedisce che scompari anche l'uomo, ossia la controfigura antropica della divinità nei rapporti umani concreti. Come sostiene Kajon, in riferimento a Buber, «la causa della crisi viene vista nella perdita di contatto con l'originaria percezione dell'altro uomo»[7].




Pertanto, Buber non partecipa al clima ebraico coevo come risposta alla Shoah, e alla conseguente impotenza di Dio, ma imposta il problema in termini più usuali, considerando causa del male, né direttamente né indirettamente, Dio, o come colpa o come dolo o come conseguenza indiretta, ma l'uomo, come effetto del mancato riconoscimento dell'altro, dalla negazione dell'altrui identità, dall'eclissi dell'alterità in quanto tale.

Ancora una volta, dunque, il pensiero ebraico mostra la propria formidabile capacità di "leggere" in termini etici i contenuti filosofici, ossia le conseguenze pratiche delle rispettive opzioni metafisiche.

Un'apertura al mondo della vita che non è riscontrabile in altre opzioni teoriche e che andrebbe acquisita, pur nel rispetto delle altrui diversità culturali e di tradizioni.


(immagine tratta da: http://www.geagea.com/45indi/pic/buber1.jpg)



Note


[1] Cfr. S. Quinzio, Introduzione, a: M. Buber, L'eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, Mondadori, Milano, 200510, pp. 5 – 6.
[2] Cfr. M. Buber, L'eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, Mondadori, Milano, 200510, p. 26.
[3] Ivi, p. 32.
[4] Ivi, p. 34.
[5] Ivi, p. 89.
[6] Ivi, p. 121.
[7] Cfr. I. Kajon, Il pensiero ebraico del Novecento. Una introduzione, Donzelli, Roma, 2002, p. 129.



martedì 22 gennaio 2013

Nozze di Cana




(immagine tratta da: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/da/Giotto_-_Scrovegni_-_-24-_-_Marriage_at_Cana.jpg/300px-Giotto_-_Scrovegni_-_-24-_-_Marriage_at_Cana.jpg)


Le Nozze di Cana è un affresco (200x185 cm) di Giotto, databile intorno al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni Padova.



Viene mostrato il momento in cui Gesù, seduto a sinistra accanto allo sposo e vicino a un apostolo, benedice con un gesto l'acqua versata nelle grandi giare dall'altra parte della stanza e la trasforma in vino. Il maestro di mensa assaggia la bevanda e, stando al racconto evangelico di Giovanni, pronuncerebbe poi la frase "Tu hai conservato fino ad ora il vino buono".

(commento completo e descrizione stilistica qui)

giovedì 17 gennaio 2013

Come va la scuola, oggi ...

"Insomma, droga o non droga, la scuola non sta più in questo mondo, nelle nostre vite, nella nostra giornata. E' di troppo. Non trova spazio, è fuori posto. fa ingombro, disturba. Distrae ... Sì, la scuola distrae i nostri ragazzi. li distoglie dalle loro abituali e più care occupazioni. i giovani sono occupati in altro. non sono affatto dis-occupati, o non-pensanti o non-facenti. pensano, cero che pensano, ma ad altro; hanno altre cose da fare, altri pensieri, altri interessi. altri divertimenti. La scuola ci prova ad essere divertente, ma poi c'è sempre quel guaio che deve insegnare qualcosa, e chiedere indietro, e allora la scuola rompe quando spiega, quando interroga, quando fa compito in classe. Interrompe. Disturba. Ecco, disturba. Questo è il verbo. Disturba"


(P. Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, Parma, 2011, pp. 37 - 8)


Ogni tanto capita d'imbattersi in testi del tutto politicamente scorretti i quali, denotando profonda conoscenza di come vadano le cose nel mondo scuola, oggi, nel XXI secolo, nel Nostro Paese, solo infrangendo le ipocrisie colpevoli del silenzio al riguardo o della facile e comoda retorica mistificante, e qualunquista, rivelano la scomoda verità sulla scuola.



Mastrocola, in altri termini, fa luce sulla reale valenza che la nostra società in modo generale, e i suoi utenti in modo particolare, le attribuisce.




La scuola è solo una perdita di tempo, una distrazione, di energia e di orologio, dalle cose ben più importanti che ci sono da fare oggi.

La scuola interrompe il normale flusso di relazioni e di passatempi, o di occupazioni, della giornata tipo dello studente di secondaria di secondo grado (per tacere degli altri gradi di istruzione, università compresa).




In fin dei conti, se il mondo continua a girare, e sempre più vorticosamente, perché mai dovremmo occuparci ancora di un residuo preistorico, di un fossile, come l'istituzione scuola?



D'altra parte, se questo è il vero significato che la società oramai le attribuisce, perché mai continuare a finanziarla?

Quel che la classe politica negli ultimi dieci anni circa ha fatto alla scuola pubblica è solo la normale conseguenza di una considerazione generale e negativa su di essa.




Non serve. Non forma. Fa perdere tempo. Disturba. Distrae.

Se inutile, è solo un danno economico mantenerla in piedi, no?





Solo lo sfrondamento delle nostalgie qualunquiste e della retorica perbenista vigente consente di rivelare, e a tutti, la reale considerazione che la nostra società ha della scuola.

E solo così diventa chiaro il perché dell'attuale smantellamento del servizio.

No, la crisi non c'entra, al massimo è solo una giustificazione ex post, la verità è che non si comprende più perché si debbano spendere così tanti soldi per qualcosa che non serve.





La scuola ha fatto così la fine di tante altre istituzioni del nostro welfare: smantellata per risparmiare denaro dalla spesa corrente. Peccato, però, che tali tagli non migliorino di molto il bilancio pubblico. Se non erro, c'è una legge matematica secondo la quale se si modificano i termini, la differenza dovrebbe cambiare ... come mai non cambia il disavanzo nonostante che i nostri stessi diritti vengono compressi come entità meramente numeriche?





Povera scuola, e poveri anche i nostri ragazzi, già derubati del futuro, ora anche della possibilità di sapere qualcosa in più rispetto a quanto l'universo social degli smartphones consenta ...



Ma è questo quel che vogliamo, no?

Questo quanto desideriamo, no?

Solo questo che è remunerativamente finanziabile, no?




I diritti, quelli là, sono solo inutile spesa, con loro, direbbe un Giulio, ex ministro, occhialuto nella sua di comodo miopia, "non si mangia".



Eccoli, allora, là, sconsolati, soli, sulla carta di qualche dichiarazione di diritti, solenne, enfatica, ma sterile, disarmata, improduttiva.




E noi che nella scuola vi lavoriamo, siamo rimasti soli, a tenere loro compagnia, poveri "vecchi" diritti!




Forse aveva ragione Vico, altro che astuzia della ragione! La storia sovente torna indietro ...




Il problema, a questo punto diventa il seguente: vivremo noi così a lungo dall'attendere tempi migliori e salvare così il nostro posto di lavoro?




Solo i silenzi rompono questa coltre di non parole ...




(immagine tratta da: http://static.blogo.it/booksblog/Togliamoildisturbo.SaggiosullalibertdinonstudiarediPaolaMastrocola.jpg)




mercoledì 16 gennaio 2013

Il vento mi racconta che ...


(immagine tratta da: http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcT8If6CcC2U5REfuneJZVWQLprHiBg6-mXMYi93ZTbAb-YhrdJ-m-myRRhzVA)



"un “mito” è “vero” se funziona; e a poco vale rifiutarsi alla “retorica”, se essa si dimostra in grado di muovere energie collettive e produrre comportamenti conseguenti […] non possiamo poi scandalizzarci se qualcuno, invece di riferirsi all’”invenzione” dell’Italia, preferisce negli ultimi venti o trent’anni “inventare” qualche cosa di ancora abbastanza indefinito che chiama Padania. Proprio perché classi, nazioni, appartenenze, identità sono “miti”, cioè processi mentali d’ordine collettivo: e fioriscono o ristagnano, si evolvono o si involvono, con il sentire della gente: non necessariamente “di tutti”, ma di quanti basta per tirarsi dietro gli altri […] Ai nostri giorni, il Risorgimento, così come la Resistenza, appare in sofferenza – comunica meno di prima o comunicano cose diverse - anche perché sta cambiando il vocabolario e hanno assunto diversa rilevanza o hanno cambiato di senso concetti e parole-chiave, come politica, partito, comunista, anticomunista, totalitario ecc. è un cataclisma politico, che si riferisce al presente e al futuro, ma vi adibisce anche il passato"

(M. Isnenghi, I passati risorgono. Memorie irriconciliate dell’unificazione nazionale, in A. Del Boca (ed.), La storia negata. Il Revisionismo e il suo uso politico, Neri Pozza, Vicenza, 2009, p. 41)


Nelle retoriche pubbliche, in special modo quelle divisive negli ultimi trent'anni, forse a causa di quel che non esito a definire l'equivoco del '92, si fa ampio uso negativo dei miti: inventare di sana pianta genealogie, più o meno fantasiose, ricostruzioni, più o meno false, per giustificare un'idea, un progetto politico, un mandato amministrativo, burocratico o governativo in netto contrasto con l'andamento generale e convenzionale delle opzioni pubbliche.




Non so se sia cambiata la "cultura" generale, di certo è cambiato il significato delle parole della politica.





Pertanto, siamo, come Lyotard, perplessi innanzi allo spettacolo inverecondo, e poco pudico, della nostra (post)politica nostrana.





Quando si parla in campagna elettorale, va bene che si può affermare (quasi) tutto (e anche il suo contrario), ma cosa s'intende quando si adoperano certe locuzioni? Qual è il loro referente semantico?




Il vento narra ...

Le nuvole raccontano ...

I fiumi scorrono via ....



(immagine tratta da: http://mainikka.altervista.org/wp-content/uploads/2011/12/ulisse1.jpg)

martedì 15 gennaio 2013

Riguardo a "Roma ladrona" ...

"confluiscono in quel voto la congiunta crisi dell’identità nazionale e della subcultura cattolica e al tempo stesso il risentimento di strati sociali che si erano affermati negli anni ottanta e che sono costretti ora a ridimensionamenti e freni: «figli di un benessere minore», che nello Stato centrale («Roma ladrona») e nei suoi sprechi rovesciano la colpa prima di difficoltà e ingiustizie. E all’appartenenza territoriale si aggrappano, cercandovi radici smarrite e antidoti rassicuranti al disagio e allo spaesamento"


(G. Crainz, Autobiografia di una Repubblica. Le radici dell’Italia attuale, Donzelli, Roma, 2009, p. 177)




Se questo era vero per la crisi degli anni '80, dopo il '92, e ancor più oggi, dato che tutti ripetono il mantra della crisi, cosa dovremmo dire? O, meglio, cosa possiamo legittimamente aspettarci dalla crisi della (post-)politica? 


Questo è, a tutti gli effetti, un interrogativo che brancola nell'oscurità, una domanda inquietante costitutivamente aperta per i nostri (poveri) figli!

lunedì 14 gennaio 2013

Errata corrige

Ultimamente avevo pubblicato un post errato. 



Siccome la correzione riguardava solamente un contributo in volume collettaneo del 2012, presento qui di seguito direttamente la parte superiore del post, ove è evidente l'elemento mancante in precedenza (Il contributo di etc.). ;)



Elenco dei prodotti della ricerca

PIZZO A. (2012). Deontic Paradoxes and Moral Theory. Online www.ilmiolibro.it: ilmiolibro.it (SIPeM), p. 1-48, ISBN: 9788891014184
PIZZO A. (2012). Nodi critici dell’informatica giuridica. DIRITTO & DIRITTI, ISSN: 1127-8579
PIZZO A. (2012). What Can (not) Deontic Logic Do for Computer Law. DIRITTO & DIRITTI, ISSN: 1127-8579
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