"confluiscono in quel voto la congiunta crisi dell’identità
nazionale e della subcultura cattolica e al tempo stesso il
risentimento di strati sociali che si erano affermati negli anni
ottanta e che sono costretti ora a ridimensionamenti e freni: «figli
di un benessere minore», che nello Stato centrale («Roma ladrona»)
e nei suoi sprechi rovesciano la colpa prima di difficoltà e
ingiustizie. E all’appartenenza territoriale si aggrappano,
cercandovi radici smarrite e antidoti rassicuranti al disagio e allo
spaesamento"
(G. Crainz,
Autobiografia di una Repubblica. Le radici dell’Italia attuale,
Donzelli, Roma, 2009, p. 177)
Se questo era vero per la crisi degli anni '80, dopo il '92, e ancor più oggi, dato che tutti ripetono il mantra della crisi, cosa dovremmo dire? O, meglio, cosa possiamo legittimamente aspettarci dalla crisi della (post-)politica?
Questo è, a tutti gli effetti, un interrogativo che brancola nell'oscurità, una domanda inquietante costitutivamente aperta per i nostri (poveri) figli!
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