(immagine tratta da: http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcT8If6CcC2U5REfuneJZVWQLprHiBg6-mXMYi93ZTbAb-YhrdJ-m-myRRhzVA)
"un “mito” è “vero” se funziona; e a poco vale rifiutarsi
alla “retorica”, se essa si dimostra in grado di muovere energie
collettive e produrre comportamenti conseguenti […] non possiamo
poi scandalizzarci se qualcuno, invece di riferirsi all’”invenzione”
dell’Italia, preferisce negli ultimi venti o trent’anni
“inventare” qualche cosa di ancora abbastanza indefinito che
chiama Padania. Proprio perché classi, nazioni,
appartenenze, identità sono “miti”, cioè processi
mentali d’ordine collettivo: e fioriscono o ristagnano, si evolvono
o si involvono, con il sentire della gente: non necessariamente “di
tutti”, ma di quanti basta per tirarsi dietro gli altri […] Ai
nostri giorni, il Risorgimento, così come la Resistenza, appare in
sofferenza – comunica meno di prima o comunicano cose diverse -
anche perché sta cambiando il vocabolario e hanno assunto diversa
rilevanza o hanno cambiato di senso concetti e parole-chiave, come
politica, partito, comunista, anticomunista,
totalitario ecc. è un cataclisma politico, che si riferisce
al presente e al futuro, ma vi adibisce anche il passato"
(M.
Isnenghi, I passati risorgono. Memorie irriconciliate
dell’unificazione nazionale, in A. Del Boca (ed.), La storia
negata. Il Revisionismo e il suo uso politico, Neri Pozza,
Vicenza, 2009, p. 41)
Nelle retoriche pubbliche, in special modo quelle divisive negli ultimi trent'anni, forse a causa di quel che non esito a definire l'equivoco del '92, si fa ampio uso negativo dei miti: inventare di sana pianta genealogie, più o meno fantasiose, ricostruzioni, più o meno false, per giustificare un'idea, un progetto politico, un mandato amministrativo, burocratico o governativo in netto contrasto con l'andamento generale e convenzionale delle opzioni pubbliche.
Non so se sia cambiata la "cultura" generale, di certo è cambiato il significato delle parole della politica.
Pertanto, siamo, come Lyotard, perplessi innanzi allo spettacolo inverecondo, e poco pudico, della nostra (post)politica nostrana.
Quando si parla in campagna elettorale, va bene che si può affermare (quasi) tutto (e anche il suo contrario), ma cosa s'intende quando si adoperano certe locuzioni? Qual è il loro referente semantico?
Il vento narra ...
Le nuvole raccontano ...
I fiumi scorrono via ....
(immagine tratta da: http://mainikka.altervista.org/wp-content/uploads/2011/12/ulisse1.jpg)
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