Legenda: PdR sta
per Presidente della Repubblica; M sta per Magistratura; OP sta per Opinione
pubblica; DI sta per Diritto all’Informazione; CC sta per Corte Costituzionale.
Il presente post
prende spunto da una vicenda piuttosto nebulosa che ho avuto la ventura di
captare, sia pure parzialmente, dato che, per fortuna o per sventura, mi
trovavo all’estero, e riguardante un atto del PdR con il quale è stato sollevato
un conflitto di competenza, o di giurisdizione, tra Presidenza e M sulle
comunicazioni private del Presidente. M avrebbe, cioè, “ascoltato” le
telefonate del PdR per verificare date ipotesi di reato, per infamanti che
siano. Francamente, non sono a conoscenza dell’effettivo oggetto del
contendere, ma mi limiterò a sondare la questione da un’angolazione tutta
teorica, prendendo in considerazione l’equilibrio istituzionale tra parti dello
Stato e interrogazione dinamica da parte delle parti dello Stesso.
A mio modesto
modo di vedere, la faccenda è, grosso modo, la seguente: si è verificato un
conflitto d’interessi tra quattro parti singole (1) il PdR; (2) la M; (3) l’OP;
e, dulcis in fundo, (4) il DI. Molto semplicemente,
il presidente, nella sua veste di privato che ricopre una carica pubblica,
intende difendere il proprio personale interesse alla riservatezza delle
comunicazioni. Un’intenzione certamente lodevole qualora si ritenga meritevole
di tutela la riservatezza personale. Qualcosa altrimenti chiamata privacy. Allo stesso modo, però, la M
intende tutelare un suo interesse legittimo consistente nel poter accedere
liberamente, e, quindi, anche disporre, alle informazioni qualora queste
possano venir desunte solo “ascoltando” comunicazioni di privati. Ancora, l’OP
intende tutelare un suo interesse legittimo consistente nel poter accedere ad
una conoscenza libera e completa e
delle comunicazioni presidenziali e
dei procedimenti della M. Detto in breve, quest’ultima desidera avere accesso
totale alle informazioni del caso, anche perché altrimenti non può formarsi una
propria opinione, il che è essenziale all’interno di una democrazia avanzata.
Tuttavia,
proprio l’attuale grado di sviluppo evolutivo del sistema politico per
rappresentanza mostra le crepe di una sedimentazione di complessità crescente
nei rapporti tra le singole parti dello Stato. Per cui, si ha il conflitto su
esposto per via di una complessità crescente nelle competenze, ed interessi,
delle singole parti che costituiscono lo Stato. Così, M preme sul PdR per avere
accesso alle informazioni che verificherebbero, o confuterebbero, date ipotesi
di reato. PdR preme sulla CC per respingere l’assalto di M. L’OP preme su PdR e
CC per far sì che M abbia accesso alle informazioni apposite. Il DI preme su OP
e CC perché venga tutelato l’interesse legittimo all’accesso alle informazioni,
ma anche su PdR perché ostacola proprio il godimento di tale interesse. Ma il
PdR non è solamente un privato cittadino che parla al telefono, e che, dunque,
vorrebbe tutelata la riservatezza delle sue comunicazioni, è anche un’istituzione
dello Stato. Allora, dove termina la sua sfera privata e dove comincia la sua
competenza pubblica? Ed ancora, M può disporre di qualsiasi informazione
prodotta da persone private che ricoprono cariche pubbliche? La questione è
delicata perché tocca i gangli stessi del dispositivo democratico che nel
nostro ordinamento è fondato sull’anglosassone equilibrio tra poteri. Se uno di questi soverchia gli altri, il
sistema collassa. E proprio qui sta la delicatezza della questione: quali sono
i limiti ancora accettabili perché un potere possa prevalere su un altro? O possa
controllare gli altri? Si badi bene: non si tratta affatto di mera algebra
istituzionale, ma di una questione sostanziale inerente al controllo reciproco
tra istituzioni. Ha fatto bene il PdR ad opporsi al controllo da parte di M? Ed
M non è conscia dei rischi cui mette capo con i suoi dispositivi? L’OP sa bene
cosa comporta l’assolutezza del proprio interesse, benché legittimo? E DI è
davvero così assoluto? Per citare StarWars,
solo un SITH vive di assoluti. L’equilibrio di cui sopra non è assoluto: sono
concessi ampi margini discrezionali. L’unica regola al riguardo è che gli
avanzamenti siano transitori, e non definitivi. Il reale valore della deroga sta appunto nella limitatezza
temporale del dispositivo apposito. Questo vuol dire che PdR deve rispondere in
linea teorica alle domande che la OP gli pone, ma può pure decidere di non
accettare supinamente la questione e ricorrere, a sua volta, ad un arbitro di
livello superiore, la CC, affinché stabilisca quale interesse debba prevalere,
se il suo o quello della M, se il proprio o quello della OP, e così via. D’altra
parte, forse, il vero significato dell’equilibrio istituzionale non sta affatto
nella distinzione, e separazione, dei rapporti, ma nel controllo che l’uno
esercita sugli altri, venendo a sua volta controllato. Per complessità
crescenti che ciò comporti, è un indubbio progresso rispetto alle ridotte
vedute dei costituzionalisti del XVII secolo: la cosa importante è che ciascuna
istituzione venga a sua volta controllata. I controlli poi prevedono una vasta
gamma di possibilità che non sto certo qui a prendere in considerazione o a
discutere. Vale ancora una volta la regola di massima, e di buon senso, secondo
la quale ogni deroga deve essere circoscritta tanto negli effetti quanto nella
durata.
Allora come si
spiega l’eco avuta dalla questione? Mette tendo tra parentesi la gran cassa mediatica,
tutto è, a mio sommesso parere, riconducibile al “terribile” diritto dei nostri
tempi: il presumere, in genere a torto, che un interesse privato, ancorché
legittimo, sia di per sé un diritto. Abbiamo sì parlato in precedenza di
interessi contrapposti, ma non è automatico che gli stessi siano anche dei
diritti soggettivi nel senso che facciano derivare di conseguenza delle pretese
soggettive rispetto alle quali altri attori debbano cedere il passo. Il polverone,
cioè, deriva da una confusione tra interesse e diritto. Non tutti gli interessi
sono anche diritti, ossia interessi meritevoli di tutela. La questione del
meritevole di tutela diventa, allora, cruciale ai presenti fini. Se utilizziamo
la vulgata di massa secondo la quale un “mio” interesse è (anche) un “mio”
diritto, lo scontro precedente assume la seguente forma:
[A] il PdR
asserisce la sussistenza di un suo diritto alla privacy; la M asserisce la
sussistenza di un suo diritto all’accesso alle informazioni; l’OP asserisce la
sussistenza di un suo DI.
Ma ciò comporta che:
[B] il diritto
di M collide con il diritto di PdR (e viceversa); il diritto di OP collide con
il diritto di PdR (e viceversa); il diritto di PdR collide con il diritto asserito
dal DI (e viceversa).
Da un alto
abbiamo il richiamo al segreto, ossia
all’ignoranza pubblica, di informazioni riservate, asserite come meritevoli di
tutela, e dall’altro lato la rivendicazione della pubblicità, ossia della conoscenza pubblica, di informazioni che
restano riservate.
In realtà, non
credo affatto che la tutela della democrazia debba passare per la piena
pubblicità di informazioni che restano private, anche se ciò comporterebbe la
possibilità di un controllo decentrato dei comportamenti privati conseguenti
(ma il miglior nascondiglio è sempre sotto gli occhi di tutti) allo stesso modo
di come non sussiste alcun diritto esclusivo, quanto assoluto, di alcuni sugli
altri.
Detto altrimenti,
il problema dei diritti è che non si rispetta il corollario alla legge di Mill:
i diritti degli altri sono equipotenti ai miei. Da qui lo scontro, il
conflitto, la questione presente. Il diritto soggettivo non è mai assoluto, ad
un certo punto deve cedere il passo ai diritti di altri. Il problema deriva
allora da una smania assolutista dei diritti soggettivi valutati in genere, e a
torto, come assoluti. Anzi, a dirla tutta, non è in questione qui neppure il
diritto soggettivo in sé, ma la privatizzazione del “pubblico”: il tutto
diventa mio. E il mio è il tutto da tutelare e promuovere. Tuttavia, siccome il
“mio” è pari al “mio” degli altri, ecco che i diritti sono tutti eguali nella
contesa, nello scontro, della questione, senza che una via d’uscita si palesi,
sia pure in lontananza. Io voglio il mio, lui vuole il suo, e così via. Non sono
ammesse né eccezioni né limitazioni di qualsiasi sorta.
Ma se PdR, M, e
OP sono parti del problema, chi potrà dirimere la faccenda? L’arbitro è, a sua
volta, una parte tra le parti che, per la sua natura eterogenea, è abilitato a
decidere quale tra gli interessi chiamati in causa, e confliggenti gli uni
contro gli altri, è davvero meritevole di tutela. Detto altrimenti, spetta alla
CC stabilire quali diritti siano davvero sussistenti, e quali, invece, siano
prevaricazioni di parti su altre.
Allora, per
citare Shakesperare, tanto rumore per nulla: è lecito che PdR abbia richiesto
alla CC di pronunciarsi sulla questione. D’altra parte, attore tra gli attori,
il PdR deve pur fare la propria mossa sullo scacchiere dopo quella della M.
Come negarglielo?
(immagine tratta da: http://www.ilquintuplo.it/wp-content/uploads/2012/07/monti-balotelli-cop_280xFree.jpg)
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