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lunedì 25 febbraio 2019

Sulle spalle dei nani #1




Sulle spalle dei nani #1

Una lettura della cosiddetta autonomia differenziata


V’è un trattato fondamentale che istituisce lo Stato italiano, e lo fa combinando due principi, distinti ma relati: 

1) l’unità del Paese, territoriale, istituzionale e burocratica; e, 


2) la sussidiarietà. 

In modo particolare, appaiono rilevanti gli articoli 3 e 5 della Costituzione. Mentre il primo coniuga l’ideale della giustizia nei due sensi, formale e sostanziale, impegnando attivamente lo Stato nella rimozione degli ostacoli materiali al pieno sviluppo personale degli abitanti del territorio nazionale, il secondo recita “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”. 


Ne consegue, pertanto, che gli impegni assunti dalla Repubblica nella rimozione delle cause della povertà personale dovrebbero passare per un servizio da attuarsi nelle esigenze dell’autonomia e del decentramento. In altri termini, il costituente, già nel 1948, concepiva lo Stato repubblicano nella forma di un attore politico capace di garantire l’uguaglianza sostanziale attraverso la partecipazione, solidale e responsabile, dei territori costituenti la stessa Nazione. D’altro canto, unità e indivisibilità appaiono come concetti distinti, ma non separati, nel qualificare lo Stato. 

Peraltro, nel progetto costituzionale questi due principi in opposizione al precedente regime fascista, ovvero l’idea secondo la quale uno Stato democratico riconosce la pluralità degli enti statuali e la dignità dei territori. 

Ebbene, l’art. 5 Cost. coniuga da un lato il decentramento, dal momento che le autonomie locali espletano un decentramento delle funzioni, e dall’altro l’autonomia dei servizi, dal momento che proprio perché le autonomie locali espletano funzioni il servizio è prossimale ai loro fruitori finali. Ma, come sappiamo, il testo originale è stato revisionato varie volte, pur integrando al proprio interno due clausole che ne rendono difficoltoso, ma certo non impossibile, una sua successiva modifica. La più importante è sicuramente quella avvenuta ad inizio secolo quando, con la L. cost. n. 3 del 2001, il decisore politico ha sostituito il precedente principio del parallelismo, secondo il quale Stato centrale ed autonomie locali esercitavano una loro potestà legislativa, con il seguente, ed attuale, principio della sussidiarietà. L’art. 118 Cost., infatti, come modificato, recita “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. 

Per dirla in breve, l’ordinamento italiano configura in termini sussidiari l’azione dei pubblici poteri i quali possono intervenire nel contesto sociale solo se questo intervento comporti maggiore efficienza, nella dissipazione delle necessarie risorse, e maggior efficacia, in riferimento ai risultati dell’azione intrapresa. 

Secondo la dottrina, peraltro, il principio di sussidiarietà è duplice: 

1) verticale: la ripartizione gerarchica dei poteri deve essere spostata verso gli enti più vicini al cittadino; e, 


2) orizzontale: il cittadino, per il tramite dei cosiddetti corpi intermedi, deve poter collaborare con le istituzioni al fine di definire le strategie d’azione che possano incidere sulla realtà sociale a lui prossima. 

La disciplina costituzionale, pertanto, presenta due nuove fattispecie, rilevanti ai presenti fini, vale a dire:

a) la prossimità territoriale, come centro di aggregazione delle forze politiche e burocratiche; e, 

b) la privatizzazione dello spazio pubblico. 

La prima impegna gli sforzi pubblici nel considerare il fruitore finale sul territorio fine e protagonista dell’azione politica o amministrativa. 


Invece, la seconda frammenta lo spazio di elaborazione e decisione delle scelte politiche, ovvero pubbliche, in funzione di privati, più o meno grandi.


(continua)


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