"La causa finale, il fine o il disegno degli uomini (che naturalmente amano la libertà
e il dominio sugli altri) nell’introdurre quella restrizione su loro stessi (in
cui li vediamo vivere negli Stati) è la previsione di ottenere con quel mezzo la
propria preservazione e una vita più soddisfacente, vale a dire, di uscire da quella
miserabile condizione di guerra, che è necessariamente conseguente (come si è
mostrato nel capitolo XIII), alle passioni naturali degli uomini, quando non c’è un
potere visibile per tenerli in soggezione, e legarli, con il timore della punizione,
all’adempimento dei loro patti e all’osservanza di quelle leggi di natura esposte
nei capitoli XIV e XV.
Infatti le leggi di natura (come la giustizia, l’equità, la modestia, la misericordia,
e, insomma il fare agli altri quel che vorremmo fosse fatto a noi) in sé stesse, senza
il terrore di qualche potere che le faccia osservare, sono contrarie alle nostre passioni
naturali che ci spingono alla parzialità, all’orgoglio, alla vendetta e simili. I
patti senza la spada sono solo parole e non hanno la forza di assicurare affatto un
uomo. Perciò nonostante le leggi di natura (alle quali ognuno si attiene quando
ha la volontà di attenervisi e può farlo senza pericolo) se non è eretto un potere
o se non è abbastanza grande per la nostra sicurezza, ogni uomo vuole e può
contare legittimamente sulla propria forza e sulla propria arte per garantirsi contro
tutti gli altri uomini. […]
La sola via per erigere un potere comune che possa essere in grado di difendere
gli uomini dall’aggressione straniera e dalle ingiurie reciproche, e con ciò di
assicurarli in modo tale che con la propria industria e con i frutti della terra
possano nutrirsi e vivere soddisfatti, è quella di conferire tutti i loro poteri e tutta
la loro forza ad un uomo o ad un’assemblea di uomini che possa ridurre tutte
le loro volontà, per mezzo della pluralità delle voci, ad una volontà sola; ciò è
come dire designare un uomo o un’assemblea di uomini a sostenere la parte della
loro persona, e ognuno accettare e riconoscere sé stesso come autore di tutto ciò
che colui che sostiene la parte della loro persona, farà o di cui egli sarà causa, in
quelle cose che concernono la pace e la sicurezza comuni, e sottomettere in ciò
ogni loro volontà alla volontà di lui, ed ogni loro giudizio al giudizio di lui.
Questo è più del consenso o della concordia; è un’unità reale di tutti loro in
una sola e medesima persona fatta con il patto di ogni uomo con ogni altro, in
maniera tale che, se ogni uomo dicesse ad ogni altro, io autorizzo e cedo il mio
diritto di governare me stesso, a quest’uomo, o a questa assemblea di uomini a
questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in
maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata
uno stato, in latino civitas.
Questa è la generazione di quel grande leviatano, o piuttosto (per parlare con
più riverenza) di quel dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale,
la nostra pace e la nostra difesa. Infatti, per mezzo di questa autorità datagli da
ogni particolare, nello stato è tanta la potenza e tanta la forza che gli sono state
conferite e di cui ha l’uso, che con il terrore di esse è in grado di informare le volontà
di tutti alla pace interna e all’aiuto reciproco contro i nemici esterni. In esso
consiste l’essenza dello stato che (se si vuole definirlo) è una persona dei cui atti
ogni membro di una grande moltitudine, con patti reciproci, l’uno nei confronti
dell’altro e viceversa, si è fatto autore, affinché essa possa usare la forza e i mezzi
di tutti, come penserà sia vantaggioso per la loro pace e la comune difesa.
Chi regge la parte di questa persona viene chiamato sovrano e si dice che ha il
potere sovrano; ogni altro è suo suddito"
(Hobbes, Leviatano, XVII)
Url: http://online.scuola.zanichelli.it/lezionidifilosofia/files/2010/01/U4-L06_zanichelli_Hobbes.pdf)
(url: http://www.europinione.it/wp-content/uploads/2013/11/contratto-sociale-democrazia-hobbes-locke-rousseau-500x300.jpg)
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