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venerdì 13 settembre 2013

Misericordia

"Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave.21Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
22Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.23Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l'empio? 24Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? 25Lontano da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?».26Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».27Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: 28forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».29Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta».30Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». 31Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti».32Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci»"

(Gn XVIII)

Abramo dialoga con Dio e intercede per i giusti di Sodoma e Gomorra ...

Facendo appello alla misericordia divina, quasi contratta sino a giungere al numero minimo per non far scattare la punizione: almeno dieci giusti.

Se vi sono almeno dieci giusti tra le masse delle due città, Dio, per riguardo a loro, non distruggerà le città.

Al di là dell'esiguo numero, cifra della speranza umana di salvarsi dalle proprie colpe, anche senza merito perché è Dio che salva, non gli uomini per loro merito, è la contrattazione abramica che stupisce, la familiarità con la quale Abramo intercede con la divinità e rilancia ad ogni battuta. Un contatto diretto oggi quasi assente, una familiarità dimenticata, un legame mai reciso capace, se attivato, di risvegliare la misericordia divina.

In fondo, lui perdona, ma noi ci ricordiamo di chiederGLIelo?



(immagine tratta da: http://blog.studenti.it/biscobreak/wp-content/uploads/2013/07/abramo-2.jpg)

domenica 25 agosto 2013

Intorno al dilemma ...

(Ver. 2.01 - registrerò altri pensieri al riguardo, se verranno ...)

É una topica intrigante della filosofia di ogni tempo, ma forse più di quella del XX secolo, quella concernente i risultati pratici dei dilemmi morali.
In questa sede desidero solamente offrire un repertorio di idee sull'argomento senza però offrire spunti originali o proposte di soluzione.
Amleto deve scegliere se essere Amleto o qualcun altro. Antigone, parimenti, deve scegliere se onorare il fratello Polinice o non onorarlo, per ordine di Creonte, suo zio, un proditor della città di Tebe … Iefete deve onorare quanto promesso o onorare la figlia, l'unica figlia? Ed ancora, Abramo deve uccidere il figlio Isacco o rispettare la legge mosaica? Abbiamo, insomma, tanti esempi, letterari e meno, di un medesimo argomento. Ora, isoliamo in tutti questi esempi solamente la componente normativa, l'antinomia normativa che li sostanzia, ossia il contrasto tra due obblighi di egual valore ma nettamente contrari, e postuliamo che i destinatari degli stessi siano agenti umani razionali, ossia una rappresentazione idealistica degli agenti umani così innervati da carni, adipe, nervi, sensazioni ed emozioni.


Cosa accade in tutti questi casi? Sempre la medesima: il soggetto si trova a dover scegliere tra due azioni l'una contraddittoria dell'altra. L'impressione generale è che si tratti di una condizione a dir poco spiacevole nel senso che chi ne fa esperienza si trova impossibilitato a compiere una scelta tra le alternative che gli si presentano davanti. Infatti, come sostiene Castañeda, il destinatario di un dilemma morale esperisce «a conflict of duties»[1], la presa stritolante tra due opposti doveri reciprocamente escludentisi.

Ma per quale motivo un conflitto tra doveri opposti, o, per dirla altrimenti, un'antinomia normativa, dovrebbe costituire un problema, per giunta pratico, per il malcapitato agente? Possiamo, al riguardo, seguire Holbo secondo il quale «Let a genuine moral dilemma be any situation answering to this description: (1) an agent, M, is categorically (absolutely, all things considered) obliged to do A, and can do A; (2) M is categorically (etc.) obliged to do B, and can do B; (3) M cannot do both A and B»[2].


Dunque, ricapitoliamo:

  1. un dilemma morale è una situazione problematica all'interno della quale il signolo agente è incapace di optare per un corso d'azione piuttosto che l'altro (vale a dire che l'agente non può razionalmente, in assenza di altre informazioni o di altri valori morali, scegliere sensatamente l'uno piuttosto che l'altro);
  2. un dilemma morale è un conflitto tra due obblighi di eguale importanza ma del tutto eterogenei e reciprocamente esclusivi (vale a dire che solo uno dei due può concretamente essere mandato ad effetto);
  3. un dilemma morale è quella condizione per l'azione umana in forza della quale un agente è chiamato a scegliere tra due alternative pur non potendo mandare ad effetto entrambe (vale a dire che pur non potendo realizzarle entrambe è vincolato comunque a sceglierne una).

La storia della filosofia è piuttosto copiosa di esempi.


Abbiamo così Platone con la la seguente descrizione di un dilemma: «Ti faccio un caso: se uno ha ricevuto armi da un amico sano di mente e se le sente richiedere da quell’amico impazzito, chiunque dovrebbe dire, a mio avviso, che non bisogna ridargliele e che non sarebbe giusto chi gliele ridesse»[3].


Oppure, abbiamo, in tempi più vicini, Sartre il quale narra la seguente situazione problematica: «citerò il caso di un mio allievo, venuto a chiedermi consiglio nelle circostanze seguenti. Nella sua famiglia i rapporti tra il padre e la madre si erano guastati e d’altra parte il padre tendeva a collaborare con i tedeschi; il figlio maggiore era caduto durante l’offensiva germanica del ’40, mentre il figlio minore, i mio allievo, giovane dotato di sentimenti un po’ primitivi ma generosi, lo voleva vendicare. La madre viveva sola con l’unico figlio rimastole, affranta per il mezzo tradimento del marito e per la fine dell’altro figlio, e vedeva in lui la sola consolazione. Quel giovane in quel momento poteva scegliere tra partire per l’Inghilterra e arruolarsi nelle Forze Francesi di Liberazione – e quindi abbandonare la madre – o restare presso la madre e consolarne l’esistenza. Si rendeva ben conto che la donna viveva solo per lui e che il suo andarsene via – e forse la sua morte – l’avrebbero gettata nella disperazione»[4].


Esaminiamo adesso la faccenda nei due casi riportarti, Platone e Sartre. Abbiamo:

  1. due opposte possibilità fattuali;
  2. due opposte possibilità normative;
  3. due opposti corsi d'azione;
  4. impossibilità di mandarli ad effetto entrambi;
  5. incapacità da parte del soggetto di optare per uno o per l'altro corso d'azione;
  6. inazione finale come risultato di (4) e (5);
  7. sensazione normativa comunque che spinge il decisore a compiere una scelta.

Preciso anche come le due possibilità fattuali siano nello stesso tempo anche possibilità normative e due possibili corsi d'azione. Siccome, però, si tratta di due alternative di pari importanza, nell'alternativa secca il decisore razionale non può scegliere. Infine, l'agente finisce con il non poter scegliere anche se continua a percepire distintamente la sensazione di dover comunque compiere una scelta, di fatto non disponibile.


Come mai l'agente non può scegliere tra le due possibilità? Penso che il problema risieda nell'elemento (2), ossia nel significato normativo che la situazione cerca di riflettere: le due possibili azioni vengono recepite come moralmente obbligatorie. Il problema, però, è che in entrambi I casi abbiamo due obblighi morali di eguale importanza, ossia equipotenti e siccome sono l'uno opposto all'altro, è impossibile che l'agente possa mandarli ad effetto entrambi.


Ma per lo stesso motivo, egli non può nemmeno preferirne uno piuttosto che l'altro.


Si può, allora, considerare il dilemma morale in maniera del tutto analoga al dilemma normativo, almeno per come lo concepisce Kelsen il quale scrive «tra due norme esiste un conflitto quando ciò che una stabilisce come dovuto è inconciliabile con ciò che l’altra pure stabilisce come dovuto e l’osservanza o l’applicazione di una norma comporta necessariamente o possibilmente la violazione dell’altra»[5].


Dunque, ha sicuramente ragione McCord quando afferma che «we can never face conflicting obligations»[6]. Infatti, nella situazione cristallina delineata, più ideale che reale, ossia in una situazione depurata, l'agente non può compiere alcuna scelta, pur volendo: due obblighi paritetici ma contrari non possono venir soddisfatti contemporaneamente. Forse, nemmeno in un mondo deonticamente perfetto.



Per quale ragione accade ciò?

D'altra parte, per Weber «a moral dilemma is a conflict between all-things-considered obligations»[7] mentre secondo De Haan «a moral dilemma is a situation in which the agent morally ought to do A and morally ought to do B, while he cannot do A as well as B» oppure «a moral dilemma is a situation in which the agent morally ought to do either A and B, while he cannot do both A and B. In other words, there is a disjunctive moral ought to do A and B»[8].


Ma è Ohlsson a spiegarci chiaramente la natura del problema: «In a moral dilemma, the agent acts wrongly whatever she does. Either all avaible alternatives are forbidden, or two or more actions that cannot conjointly be performed are morally required in the same situation, or one and the same action is both forbidden and absolutely obligatory»[9].


Questo dice il discorso teorico, ma possiamo davvero pensare che nella pratica, quotidiana e dei casi eccezionali, l'agente finisca con l'inazione, ossia con la non scelta, perché indisponibile? Aristotele non sarebbe d'accordo: la pratica viene comunque sempre prima della teoria. Peraltro, la non – scelta è davvero qualcosa di eterogeneo rispetto alla scelta? Francamente, ho I miei umanissimi dubbi. Ma questo è un altro discorso che consegno alle nebbie del mare.

Note
[1] Cfr. H. N. CastañedaThinking and Doing, Reidel, Dordrecht, 1975, p. 27.
[2] Cfr. J. HolboMoral Dilemmas and the Logic of Obligation, “American Philosophical Quarterly”, 3, 2002, p. 259.
[3] Cfr. PlatoneLa Repubblica, Laterza, Roma – Bari, 200610, p. 33 (I, 331 c).
[4] Cfr. J. P. SartreL’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1996, pp. 43 – 4.
[5] Cfr. H. KelsenTeoria generale delle norme, Einaudi, Torino, 1985, p. 193.
[6] Cfr. G. S. McCord, Deontic Logic and the Priority of Moral Theory, “Mind”, 20, 1986, p. 180.
[7] Cfr. T. B. WeberThe Moral Dilemmas Debate, Deontic Logic, and the Impotence of Argument, “Argumentation”, 16, 2002, p. 461.
[8] Cfr. J. De HaanThe Definition of Moral Dilemmas: a Logical Problem, “Ethical Theory and Moral Practice”, 4, 2001, p. 269.
[9] Cfr. R. OhlssonWho Can Accept Moral Dilemmas?, “The Journal of Philosophy”, 8, 1993, p. 405.

Bibliografia

H. N. CastañedaThinking and Doing, Reidel, Dordrecht, 1975.
J. De HaanThe Definition of Moral Dilemmas: a Logical Problem, “Ethical Theory and Moral Practice”, 4, 2001, pp. .
J. Holbo, Moral Dilemmas and the Logic of Obligation, “American Philosophical Quarterly”, 3, 2002, pp. 259 – 274.
H. KelsenTeoria generale delle norme, Einaudi, Torino, 1985.
G. S. McCord, Deontic Logic and the Priority of Moral Theory, “Mind”, 20, 1986, pp. 179 – 197.
PlatoneLa Repubblica, Laterza, Roma – Bari, 200610.
R. Ohlsson, Who Can Accept Moral Dilemmas?, “The Journal of Philosophy”, 8, 1993, pp. 405 – 415.
J. P. SartreL’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1996.
T. B. Weber, The Moral Dilemmas Debate, Deontic Logic, and the Impotence of Argument, “Argumentation”, 16, 2002, pp. 459 – 472.




(immagine tratta da: http://www.psychomedia.it/pm/human/epistem/panza1.gif)