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sabato 23 agosto 2014

Autopromozione2


Recensione a Donatella Di Cesare, Corrado Ocone, Simone Regazzoni, Il nuovo realismo è un populismo


Il presente volume intende presentarsi come «controaltare» al Manifesto di Maurizio Ferraris, ponendo al centro della riflessione il «basso» profilo filosofico scelto ed indicando alcune delle gravi conseguenze, etiche e politiche, che fanno seguito. L'intento appare chiaro sin dalle prime pagine ove Di Cesare, autrice del primo dei sei saggi che compongono il presente volume, accusa direttamente Ferraris di essersi creato un brand, ossia un «marchio» (p. 9), di aver cioé inventato di sana pianta, e a tavolino, l'operazione «nuovo realismo» al fine di «emergere nel panorama complessivo e frastagliiato della filosofia contemporanea» (p. 9). Sempre Di Cesare indica una caratteristica precisa dell'etichetta scelta dal Ferraris, «un prodotto tutto nostrano» (p. 9), ossia la tristemente nota proprietà della provincialità. Da nessun'altra parte del mondo, infatti, si parlerebbe, benché io abbia notizie di segno contrario, di new realism. Questa notazione consente alla Di Cesare di insinuare, a mio modesto modo di vedere, sapientemente il dubbio: se altrove si parla d'altro, di tutto tranne che di «nuovo realismo», può essere solo un caso? Sfrondando il lessico allusivo dell'autrice, sembra d'intuire come si stia cercando di far passare il seguente messaggio: il nuovo realismo è ben poca cosa. D'altra parte, come spiegarsi altrimenti tale marginalità presso le discussioni internazionali? Il Nuovo realismo va «preso sul serio non come filosofia, bensì come antifilosofia» (p. 13), come uno strumento che avvicina tanto grossolanamente quanto malamente il vasto pubblico alla filosofia, ma che evita di scendere in profondità nelle discussioni. Per l'autrice questo elemento è rivelativo. 


(continua)


Qui la recensione completa.

giovedì 7 novembre 2013

Ciabatte e truismi

"Il nuovo realismo, dietro il proposito di un ritorno alla realtà, nasconde un delirio totalitario che si serve di una pericolosa alleanza, quella tra il senso comune e una presunta natura retta del pensiero, per affermare una certa immagine del pensiero come principio assoluto"


(F. Milazzo, Bentornata ingenuità. L'oscena fantasia della ciabatta, in D. Di Cesare – C. Ocone – S. Regazzoni (curr.), Il nuovo realismo è un populismo, Il Melangolo, Genova, 2013, p. 40)



Vaghezze ...



Beh, senso comune si dice in molti modi, non per forza i presenti, così come natura retta del pensiero è tante altre cose, oltre a quella qui narrata ...




Peraltro, cos'è il pensiero come principio assoluto?



...



Imprecisioni ...



...



sintesi forzate ...



...



artificiosità ...



...



amenità.



In conclusione, sempre il medesimo problema inevaso: cos'è il No - Realism?



(immagine tratta da: http://static.stylosophy.it/stwww/fotogallery/625X0/73161/ciabatte-etam.jpg)


mercoledì 24 luglio 2013

La difficile arte della mercatura ...



(immagine tratta da: http://img2.libreriauniversitaria.it/BIT/240/892/9788870188929.jpg)

Davvero può dirsi come sia asfittico il dibattito filosofico italiano, stretto tra il territorio di periferia entro il quale giocoforza si trova a doversi muoversi e la reale assenza di contenuti "forti" attorno ai quali allestire conferenze e/o dibattiti genuini.

Ho detto forse "reale"? Mia colpa: da secoli nessuno più, o quasi, si permette di adoperare tale vetusto termine ... che importanza ha il reale quando abbiamo l'interpretazione? In fin dei conti, conta più come interpretiamo il mondo di come quest'ultimo sia.

Il mondo è una sorta di "realismo interno", ossia una narrazione bella e buona ...

Recentemente Ferraris ne parla criticamente nei termini di un realitysmo, una finzione che si sostituisce alla realtà.

Parere condivisibile, pur con alcuni distinguo.

Ma ecco il fuoco di sbarramento: la via del nuovo (ritorno all'antico) realismo è impraticabile!

E se sfogli il volume di Di Cesare, Ocone e Regazzoni in cerca di argomenti resti deluso.

Il new realism viene rifiutato non per la bontà o meno sua propria, ma per la natura "strumentale" dell'operazione imbastita da Ferraris: agire sulle insicurezze della gente per fornire nuove certezze (e prenderne il plauso).

Pertanto, si sentenzia, dal momento che Ferraris non pone in essere alcun reale dibattito filosofico né tantomeno argomenta in maniera filosofica, che prendiamo a fare sul serio la sua topica? La sua invenzione? Il suo brand? Il marchio con il quale cerca di trarre profitto? Peraltro, senza alcuna etica?

Volpone d'un Ferraris, verrebbe da dire! Ma gli autori collettanei serrano le loro fila per "distrarre" dallo scomodo invito all'inemendabile di Ferraris, dicendo tra di loro quant'è bello il caro disincanto e com'è commovente produrre sensibili effetti di realtà tramite il linguaggio ...

Lacan, e non più Lacan!

Foucault, venerando e terribile!

Deleuze, simulacro di simulacri!

Freud, divino e decostruttivo!

Ma viene decisamente voglia di chiudere in fretta il volume, d'interrompere la lettura, non per l'inquietudine che ti provoca, ma perché si registra l'assenza di reali argomentazioni filosofiche. 


Si dice solo che Ferraris vende bene e questo è male. Nient'altro! 


Per quale motivo il decostruzionismo dovrebbe essere migliore del Nuovo realismo? Nessuna tesi, nessun argomento.

Figli del loro tempo, i collettanei non han bisogno di reggersi su ragioni, perché mai dare e rendere conto? La nostra conoscenza è il frutto ineluttabile del tempo presente, che senso avrebbe tirarsi fuori dalla storia?

Ecco così l'elogio stucchevole della critica, della decostruzione, della costruzione di realtà, degli effetti ontologici del desiderio, degli inganni veridici dell'inconscio, lo smaccato gusto per la provocazione quasi sino all'insulto personale.

Ed allora, sconsolato, ma disincantato, ti chiedi infine: cosa distingue pertanto i collettanei dal loro idolo polemico, il Ferraris? Non lo sdegno, non il risentimento, non l'afflizione, non l'ermeneutica, solo il "potere", lo stesso che logora quanti lo possiedono e quanti non lo possiedono. Ma se il "nuovo realismo" è un'operazione di marketing filosofico per quale motivo non dovrebbe esserlo anche il contra il nuovo realismo? In fin dei conti, non è in discussione la deriva populistica della filosofia, via la superficialità dell'operazione Ferraris, a parole posta a "manifesto" del pamphlet, ma il voler mettersi lungo la medesima scia, e godere indirettamente dei medesimi profitti!

I miei cari collettanei anelano al riconoscimento, ai meriti, ai guadagni, al profitto di Ferraris e per farlo sentono decisamente il bisogno di prendere posizione "contro" al fine di vivere un po' di luce riflessa ...


O forse no?

Sogno o son desto?

Sveglio o svengo?

Più non so e più non importa ...

Chiudo il libro, spalanco la finestra e mi butto giù.


Volo.


No? E chi può dirlo? Voi, oh collettanei?