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venerdì 6 aprile 2012

La natura del potere


(immagine tratta da: http://img2.libreriauniversitaria.it/BIT/240/331/9788842093312.jpg)

La questione che attualmente sta interessando l'agone pubblico è sicuramente quella inerente alla Lega e alle sue sottotrame pseudo-affaristiche, anche se, a rigore, andrebbero chiamate in ben altro modo. Ma le edulcorazioni, si sa, sono il mio pane quotidiano, un po' per sopravvivere, un po' per non mettere troppa carne al fuoco, e, quindi, per evitare indigestioni a chi, malauguratamente, capita su questo blog (lo dico a chiare lettere data l'estrema confusione concettuale che si cela dietro l'apparente anonimato del web 2.0 tra blog e rivista, tra quotidiano e pensatoio, etc.). Ed in effetti con il tema del "potere", almeno prima facie, avrebbe molto da spartire. La cosa appare ancora più verosimile se si pone mente al famoso detto del divo iulio "il potere logora chi (non) ce l'ha" e, nel caso della Lega, mai parere fu più appropriato. Così, avviata sul viale del tramonto, per colpevole e conclamato tradimento della sua stessa immagine "purista", della sua stessa anima giustizialista, forse appesa ora al suo stesso cappio del lontano '93, la Lega appare l'ultima, in ordine di tempo, vittima, forse anche illustre, del logoramento da potere politico. Ma questo è solo spunto per parlare, brevemente, non mi dilungherò in (pseudo) recensioni o in "rizomi", come piace molto sul web, del testo di Canfora sulla natura del potere. Quindi, i foulard verdi potranno ben perdonarmi, se sono capaci di farlo (e se lo sono, perdoneranno anche il loro boss, la trota, la fumna del boss e la figliolanza varia ...).

Secondo l'autore, il politico è un Sisifo in quanto non fa che lottare, e brigare, per il potere. E lo può fare solo in accordo con il popolo, cui pure spetterebbe la sovranità, e che, molto volentieri, lo elegge, credendo di scegliere, e senza accorgersi che lo fa solo per identificazione con il "capo". Bossi ne è solo un esempio, ma un altro, ben più forte e potente, si contende con lui il regno di Lumbardia ... La retorica del capo accomuna l'intera liturgia moderna del potere, "lui lo vuole", "siamo con lui", accomunando vari attori che, a rigor ideologico, dovrebbero stare in campi opposti, Stalin, Mussolini, Hitler, etc. Questo perché se cambiano i colori politici, non cambia la natura stessa del potere. Per cui, infine, che differenza c'è tra tirannia, cesarismo, élite? Forse nessuna, se prestiamo fede alle parole di Canfora, alla sua "etimologia" del potere ...

E cos'è il potere se non "forza"? Monopolio ed uso della forza, prima economica poi sociale, infine elettorale. Vero è che senza denaro non ci si può nemmeno candidare ai luoghi del potere, ma povero non si può nemmeno sperare di venir eletto. La libertà, oggi tanto ostentata, celebrata, esportata, additata, desiderata, è solo un fantoccio dietro al quale si celano i naturali poteri di censo e di nascita. Se si nasce povero, non si diventa ricchi. Non succede, tranne rarissimi casi, nemmeno negli USA, figuriamoci nella "vecchia" Europa, e in Italia poi. Se nasci ricco, puoi anche sperare di poter accedere al potere. In fondo, il popolo è "bue", miope, e anche quando ci vede, preferisce votarti per identificazione (o mimesi culturale=voler essere come chi voto ...) piuttosto che per la bontà del tuo programmino ...

Allora, viviamo in democrazia o sotto un'aristocrazia (sotto posticce forme)? La lezione degli elitisti è fondamentale per Canfora: in pochi si avvedono che sono sempre i soliti a circolare nei luoghi del potere, i soliti noti, ricchi, ai massimi livelli sociali per nascita, e così via! La differenza naturale viene così istituzionalizzata e perpetuata, D'altra parte, non v'è differenza a chiamare l'elettore con vari nomi, tutti uguali nella sostanza, pur differenti nella forma: suddito; consumatore; elettore; popolo; e così via.

La disincantata analisi di Canfora, pur pregevole per l'impegno profuso, lascia l'amaro in bocca, una spiacevole sensazione sgradevole in forza della quale non resta che chiedersi sconsolati: eleggiamo o acclamiamo? Ma solo il silenzio risponde a questa domanda sull'essenza stessa del fenomeno politico.

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