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martedì 2 aprile 2013

Dialettica

"L'interrogante propone una domanda in forma alternativa, presentando cioè i due corni di una contraddizione. Il rispondente fa suo uno dei due corni, ossia afferma con la sua risposta che questo è vero, fa una scelta. Questa risposta iniziale è chiamata la tesi della discussione: il compito dell'interrogante è dimostrare, dedurre la proposizione che contraddice la tesi. In tal modo raggiunge la vittoria poiché, provando come vera la proposizione che contraddice la tesi, dimostra al tempo stesso la falsità della tesi, ossia confuta l'affermazione dell'avversario, che si era espressa nella risposta iniziale. Per giungere alla vittoria occorre dunque sviluppare la dimostrazione, ma questa non è enunciata unilateralmente dall'interrogante, bensì si articola attraverso una serie lunga e complessa di domande, le cui risposte costituiscono i singoli anelli della dimostrazione […] Nella dialettica non occorrono giudici che decidano chi è il vincitore: la vittoria dell'interrogante risulta dalla discussione stessa, poiché è il rispondente che prima afferma la tesi e poi la confuta. Si ha invece la vittoria del rispondente, quando egli riesce a impedire la confutazione della tesi"

(G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano, 200419, pp. 66 - 67)


Così Colli per spiegare la genesi del discorso filosofico a partire dalla sapienza arcaica.


La stessa dinamica verrà adoperata da Aristotele per fornire la sua giustamente nota dimostrazione indiretta, o per confutazione, del principio di non contraddizione.



Solo una difficoltà: se davvero si tratta di un principio notissimo, com'è possibile che vi sia chi non lo (ri)conosce come tale? Non dovrebbe essere di per sé auto-evidente?



Forse ha ragione Łukasiewicz quando osserva che fu vincente al tempo la formulazione di Aristotele piuttosto che le concorrenti idee.



(immagine tratta da: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d2/Jan_%C5%81ukasiewicz.jpg/185px-Jan_%C5%81ukasiewicz.jpg)