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venerdì 12 maggio 2017

Letture dal "De Profundis" #2

"Questa storia è finita, sia pure come finiscono tutte le storie, per ricominciare: ma fra la storia vecchia e la nuova non c'è il tratto di unione di una vittoria, c'è la soluzione di continuo di una sconfitta. L'esperienza della nostra storia è dunque l'esperienza di una sconfitta, che noi dobbiamo fermare e affidare, così come l'abbiamo vissuta, alle generazioni future. O forse, soltanto a noi stessi, perché di noi, della nostra esistenza si tratta. Dopo quattro anni di guerra feroce, tra i foschi presagi di una pace ancor più feroce, le probabilità di salvezza della nostra vita fisica sono ridotte a ben poco"

(S. Satta, De Profundis, Ilisso, Nuoro, 2003, p. 54)

Come accadeva in precedenza, Satta prosegue sulle note iniziali, ovvero intonazione morale e gusto per il tragico. Dissolto lo Stato, l'uomo qualunque rimane solo, ciascuno solo davanti alla vita, ognuno abbandonato al suo rio destino, deietto innanzi al timore della propria estinzione. Morte, annichilimento, annientamento, sconfitta ... categorie eterogenee che reggono l'impianto di senso soggiacente alla narrazione volutamente accattivante dell'autore, vale a dire narrare dell'egoismo viscerale che esplose senza freni all'indomani dell'armistizio. Dovendo sopravvivere quotidianamente, gli italiani riversarono le proprie energie al problema abissale, evitare la propria scomparsa personale. Ma facendo ciò, ossia agendo, gli italiani sacrificarono la Patria, sopravvivendole. In altri termini, la scomparsa dello Stato etico, così gentilianamente configurato come fraudolamente vissuto dai più, ha salvato le vite dei singoli. Ovvero, rovesciando l'antico adagio morituri patria, gli italiani, pur si aver salva la loro misera e singola vita, hanno sacrificato la patria, ovvero il generale, il bene comune, al particulare, al bene privato ...

Il resto appare sinistramente storia di questi giorni ...

(continua) 


(url: http://www.sandalyon.eu/uploadmeteora2/Salvatore_Satta_14541444236219.jpg)

venerdì 5 maggio 2017

Letture dal "De Profundis" #1

"La morte della patria è certamente l'avvenimento più grandioso che possa occorrere nella vita dell'individuo. Come naufrago che la tempesta ha gettato in un'isola deserta, nella notte profonda che cala lentamente sulla sua solitudine, egli sente infrangersi ad uno ad uno i legami che lo avvincono alla vita, e un problema pauroso, che la presenza viva e operante (anche male operante) della patria gli impediva di sentire, sorge e giganteggia tra le rovine: il problema dell'esistenza"

(S. Satta, De Profundis, Ilisso, Nuoro, 2003, p. 53)

Il tenore della narrazione è immediatamente fosco e volutamente tragico. D'altro canto, la ricostruzione è meno storica di quanto possa apparire, e tutta giocata sul dispositivo morale: enfatizzare l'atomizzazione del destino personale e, di conseguenza, il venir meno di ogni legame sociale, di qualsiasi solidarietà umana, di qualsiasi legame umano tra i cittadini. Ciò appare propedeutico a far imporre il problema fondamentale per eccellenza per la coscienza morale dell'italiano a seguito dell'armistizio, ovvero come sopravvivere nel marasma del Secondo Conflitto Mondiale ...

(continua)


(url: http://image.anobii.com/anobi/image_book.php?item_id=0195b810a1df9de096&time=&type=4)

venerdì 23 agosto 2013

Singoli senza comunità?

"La morte della patria è certamente l’avvenimento più grandioso che possa occorrere nella vita dell’individuo. Come naufrago che la tempesta ha gettato in un’isola deserta, nella notte profonda che cala lentamente sulla sua solitudine egli sente infrangersi ad uno ad uno i legami che lo avvincono alla vita, e un problema pauroso, che la presenza viva e operante (anche se male operante) della patria gli impediva di sentire, sorge e giganteggia tra le rovine: il problema dell’esistenza"

(S. Satta, De profundis,Milano, Adelphi, 1980, pp. 16 – 7)


Buon viatico al completamento del lavoro in progress al quale mi sto dedicando in questi ultimi giorni di un'estate tanto calda quanto interlocutoria ...

... al di là del lirismo della prosa di Satta, comunque, a mio modesto modo di vedere, va colta la consonanza tra il problema del dissolvimento dello Stato con il problema dell'esistenza del singolo ...

... forse che sia possibile un singolo senza comunità?

... forse che sia possibile una comunità senza singoli?

... o forse che la prospettiva reale è equidistante dai due punti della (presunta) polarità singolarità - comunità?



(immagine tratta da: http://ecx.images-amazon.com/images/I/41DZysX7qBL._.jpg)