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venerdì 20 ottobre 2017

Giumenta




Ove ti sospinsero, oh Parmenide, le focose cavalle?



" Ἵπποι ταί με φέρουσιν, ὅσον τ' ἐπὶ θυμὸς ἱκάνοι,

πέμπον, ἐπεί μ' ἐς ὁδὸν βῆσαν πολύφημον ἄγουσαι
δαίμονος, ἣ κατὰ πάντ' ἄστη φέρει εἰδότα φῶτα·
τῇ φερόμην· τῇ γάρ με πολύφραστοι φέρον ἵπποι

ἅρμα τιταίνουσαι, κοῦραι δ' ὁδὸν ἡγεμόνευον.
Ἄξων δ' ἐν χνοίῃσιν ἵει σύριγγος ἀυτήν
αἰθόμενος - δοιοῖς γὰρ ἐπείγετο δινωτοῖσιν
κύκλοις ἀμφοτέρωθεν -, ὅτε σπερχοίατο πέμπειν
Ἡλιάδες κοῦραι, προλιποῦσαι δώματα Νυκτός"


"Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose, che appartiene alla divinità e che porta per tutti i luoghi che l'uomo sa. Là fui portato. Infatti, là mi portarono accorte cavalle tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via. L'asse dei mozzi mandava un sibilo acuto, infiammandosi – in quanto era premuto da due rotanti cerchi da una parte e dall'altra –, quando affrettavano il corso nell'accompagnarmi, le fanciulle Figlie del Sole, dopo aver lasciato le case della Notte"



(url: http://www.velia.it/immagini/porta_rosa.jpg)


giovedì 12 ottobre 2017

Stupore!

Cantami, oh Aristotele, della divina meraviglia!

"Πάντες ἄνθρωποι τοῦ εἰδέναι ὀρέγονταιφύσει. σημεῖον δ' ἡ τῶν αἰσθήσεων ἀγάπησις·καὶ γὰρ χωρὶς τῆς χρείας ἀγαπῶνται δι'αὑτάς, καὶ μάλιστα τῶν ἄλλων ἡ διὰ τῶνὀμμάτων. οὐ γὰρ μόνον ἵνα πράττωμεν ἀλλὰκαὶ μηθὲν μέλλοντες πράττειν τὸ ὁρᾶναἱρούμεθα ἀντὶ πάντων ὡς εἰπεῖν τῶν ἄλλων.αἴτιον δ' ὅτι μάλιστα ποιεῖ γνωρίζειν ἡμᾶςαὕτη τῶν αἰσθήσεων καὶ πολλὰς δηλοῖδιαφοράς. φύσει μὲν οὖν αἴσθησιν ἔχονταγίγνεται τὰ ζῷα, ἐκ δὲ ταύτης τοῖς μὲν αὐτῶνοὐκ ἐγγίγνεται μνήμη, τοῖς δ' ἐγγίγνεται. καὶδιὰ τοῦτο ταῦτα φρονιμώτερα καὶμαθητικώτερα τῶν μὴ δυναμένωνμνημονεύειν ἐστί, φρόνιμα μὲν ἄνευ τοῦμανθάνειν ὅσα μὴ δύναται τῶν ψόφωνἀκούειν (οἷον μέλιττα κἂν εἴ τι τοιοῦτον ἄλλογένος ζῴων ἔστι), μανθάνει δ' ὅσα πρὸς τῇμνήμῃ καὶ ταύτην ἔχει τὴν αἴσθησιν. τὰ μὲνοὖν ἄλλα ταῖς φαντασίαις ζῇ καὶ ταῖςμνήμαις, ἐμπειρίας δὲ μετέχει μικρόν· τὸ δὲτῶν ἀνθρώπων γένος καὶ τέχνῃ καὶλογισμοῖς"

(Aristotele)

lunedì 10 ottobre 2016

Incipit #3




Orlando innamorato ...




"Signori e cavallier che ve adunati
Per odir cose dilettose e nove,
Stati attenti e quïeti, ed ascoltati
La bella istoria che ’l mio canto muove;
E vedereti i gesti smisurati,
L’alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo del re Carlo imperatore.

Non vi par già, signor, meraviglioso
Odir cantar de Orlando inamorato,
Ché qualunche nel mondo è più orgoglioso,
È da Amor vinto, al tutto subiugato;
Né forte braccio, né ardire animoso,
Né scudo o maglia, né brando affilato,
Né altra possanza può mai far diffesa,
Che al fin non sia da Amor battuta e presa.

Questa novella è nota a poca gente,
Perché Turpino istesso la nascose,
Credendo forse a quel conte valente
Esser le sue scritture dispettose,
Poi che contra ad Amor pur fu perdente
Colui che vinse tutte l’altre cose:
Dico di Orlando, il cavalliero adatto.
Non più parole ormai, veniamo al fatto"


(url: http://galileo4d.altervista.org/blog/wp-content/uploads/2009/01/1836_orlando.jpg)

sabato 3 settembre 2016

Incipit #2



Orlando furioso ...




"Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
2
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m'ha fatto,
che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
3
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l'umil servo vostro.
Quel ch'io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d'opera d'inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
4
Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m'apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore e' chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensieri cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco"


(url: http://www.educational.rai.it/materiali/immagini_articoli/33051.jpg)

venerdì 26 agosto 2016

Incipit #1

Gilgamesh ...


"Di colui che vide ogni cosa, voglio narrare al mondo;
di colui che apprese e che fu esperto in tutte le cose.
Di Gilgamesh, che raggiunse la più profonda conoscenza,
che apprese e fu esperto in tutte le cose. 
Egli esplorò ogni paese
ed imparò la somma saggezza.
Egli vide ciò che era segreto, scoprì ciò che era celato,
e riportò indietro storie di prima del diluvio.

Egli percorse vie lontane, finché stremato, trovò la pace 
e fece incidere tutte le sue fatiche su una tavoletta di pietra.
Egli fece costruire le mura di Uruk-l'ovile,
e del santo Eanna, dove si custodivano sacri tesori.

Guarda le sue mura dai fregi intrecciati come lana,
Osserva i suoi parapetti che nessuno può eguagliare! 
Percorri la soglia a gradini di età remota,
avvicinati all'Eanna, dove dimora la dea Ishtar,
che nessun futuro re potrà mai riprodurre!

Sali sopra le mura di Uruk e percorrile.
Saggiane le fondazioni, esamina la base di mattoni. 
Non furono i suoi mattoni davvero cotti in un forno?
Non furono i Sette Saggi a gettare le sue fondamenta?

Un shar è l'area della città, un shar i suoi orti, un shar la sua cisterna d'argilla, mezzo shar il tempio di Ishtar.
Per tre shar e mezzo si estende il territorio di Uruk!

Guarda nello scrigno di cedro delle tavolette, 
aprine la serratura in bronzo,
Solleva il coperchio (che cela) il segreto.
Prendi la tavoletta di lapislazzuli e leggi
i travagli di Gilgamesh, colui che patì ogni ostacolo.

Egli è superiore agli altri re, imponente di statura,
prode figlio di Uruk, toro selvaggio che si scatena,
Precedendo tutti egli è pioniere;
seguendo tutti, i suoi compagni sono sempre al sicuro.

E' l'argine potente che protegge i suoi guerrieri,
un'onda che travolge, che distrugge mura di pietra! 
Toro selvaggio generato da Lugalbanda, Gilgamesh, di forza perfetta,
figlio dell'augusta giovenca Rimat-Ninsun.

Gilgamesh, alto, magnifico e terribile,
che aprì passi nelle montagne,
che scavò pozzi sui fianchi delle montagne, 
e attraversò l'Oceano, il mare che si estende fino a dove sorge il sole;

colui che esplorò il mondo alla perenne ricerca della vita (eterna)
e arrivò con la sua forza a Utnapishtim;
colui che restaurò i centri di culto distrutti dal Diluvio,
e ripristinò i riti delle divinità astrali. 
Chi potrà eguagliare il suo portamento regale
e dire come Gilgamesh: « Io sono il re»?
Gilgamesh era destinato alla fama dalla nascita.
Per due terzi è dio, per un terzo uomo.

Fu la Signora degli Dei (dea-madre) e disegnarne la forma, 
il corpo, l'acconciatura dei capelli, la barba, l'aspetto glorioso e..."



(url: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5h0pbdmM-s1BjKuu8VRaxl2wGztN64yYO0nJqd5mQNbQ38aiJ_Cc8G0EHBha2noYKJOTTcVFNl6QDUEdKMkilmU-burHIlMCY7HU4PCdMY8FxSD-EzOFCEBA4NKpYM9pev6eUlvrCFqU/s1600/gilgamesh.jpg)