Cos’hanno in comune un manipolo di vampiri, in buona compagnia di lupacchiotti, la famiglia media americana satireggiata in un noto cartoon e un dottore misantropo a molto poco ippocratico? Sono tutti sporchi, brutti e cattivi, direte voi, ma vi sbagliate. Sono tre esempi di come sia possibile coniugare la cultura pop e la comunicazione filosofica. In un altro post ho parlato un poco della natura e dei limiti della comunicazione filosofica ai tempi di internet, in questo, invece, mi soffermerò sulla comunicazione pop della filosofia a partire da fenomeni di costume.
In effetti, i Simpson non sono certo un buon esempio di trattazione filosofica, di argomenti e questioni filosofiche, ma certamente costituiscono un utile punto di partenza per introdurre a quelli, per introdurre mediamente un vasto pubblico alle “follie” dei philophes, ai vaneggiamenti di poche (lucide) menti.
Che dire allora del collerico e dipendente dai farmaci dottor House? Il fu collettivo Blitris confezionò alcuni anni orsono un agile testo a più mani che, prendendo le mosse da episodi della nota serie americana, introduceva i lettori ai problemi dell’epistemologia e della logica induttiva.
In tempi ancora più recenti, compreso un autore, Irwin, noto alle cronache per essere coautore de I Simpson e la filosofia, il medesimo strumento è stato riutilizzato per analizzare in termini filosofici un altro ben noto fenomeno di costume, la galassia di Twilight, di vampiri e affini che costellano segretamente la vita del pianeta.
Personalmente, ritengo che testi siffatti, che tentativi simili, che questi stessi procedimenti, potrebbero risultare di una qualche utilità nell’insegnamento scolastico ove si ha a che fare con schiere di adolescenti anestetizzati e assorbiti nelle dolorose fatiche dei cellulari. Ora attingere al loro universo simbolico, a patto, però, di partire da questo per giungere ai porti propriamente filosofici, potrebbe consentire loro di assimilare e di accostarsi con maggior soddisfazione ad una materia così eterodossa come la filosofia. Purtroppo, però, i docenti di filosofia, tanto provocatori e dissacratori in parole e su argomenti quotidiani, sono estremamente radicali per tutto quel che concerne la loro materia, sono estremamente conservatori nell’applicazione del “verbo” filosofico, per come almeno lo hanno appreso loro, da rifiutare qualsiasi intromissione dall’esterno. Han demolito l’idealismo eppure continuano a coltivare della loro materia, e, forse, anche del loro ruolo, un’immagine troppo idealistica, troppo elitaria, troppo sognatrice, poco utile oggi, troppo distante dalla vita degli uomini e delle donne del 2012 (e degli anni a seguire).
Schiavi, forse, di questa falsa immagine, si guardano bene dall’utilizzare in chiave didattica, al fine di realizzare un’efficace mediazione, i Simpson o dottor House o La filosofia di Twilight. Eppure, potrebbe dire ad un ragazzo molto di più le beghe quotidiane tra Flander e Homer che lo scontro tra Hegel e Feuerbach. Oppure, potrebbe risultare più simpatico un non morto come il vampiro, a metà strada tra l’al di là e l’al di qua, che i vaneggiamenti di Kierkegaard sull’attesa della morte (per non dire di Heidegger). Il primo, infatti, è più vicino alla sensibilità contingente dell’adolescente che comincia a coltivare una strisciante angoscia nei confronti della morte proprio nel periodo della sua vita durante il quale si sente, e si percepisce, come indistruttibile, invincibile. O anche può essere più simpatico Gregory House, con la sua ferrea disciplina semiotica, nella ricerca di tracce, di indizi, per indurre un quadro clinico generale, e particolare, che la classificazione aristotelica delle parti animali. Non fanno, forse, altrettanto, nel loro piccolo, anche i nostri giovani? E che dire poi ancora dell’amore? Più simpatico nella follia della svampita Bella che nel dialogo platonico del Convito. No? E che dire poi del significato della virtù nella società contemporanea? Più pregnante l’esempio dei Simpson che la discussione platonica. No? E che dire allora del valore della cultura nella piccola Lisa, oggetto di sbeffeggiamenti ripetuti da parte degli altri personaggi della serie? Non è, forse, il destino comune che tocca agli intellettuali nel nostro Paese, e nel mondo in genere? No? E che dire del problema di Dio in tutti e tre i casi? Nei Simpson, in House e in Twilight? Non tocca profondamente le angosce esistenziali dei nostri adolescenti? E come avviarli a tale tema se non tramite un riferimento diretto a serie loro molto note? No?
Insomma, molti sarebbero gli spunti che un’adeguata preparazione e organizzazione da parte del singolo docente potrebbe adoperare, e saggiamente, per sortire effetti filosofici di non poco conto nelle giovani menti dei liceali. Eppure si continua a non farlo. Come mai? Ci ho riflettuto e penso che la risposta sia facile e poco buona per i diretti interessati. I docenti non ne approfittano vuoi per quella sorta di ritrosia di cui ho detto all’inizio vuoi per una sorta di difficoltà (inconscia) a modificare il proprio stile d’insegnamento. Così la cultura pop cambia soggetti e una formidabile occasione per comunicare i contenuti filosofici, lo stile di ricerca filosofica, i metodi propri del pensiero filosofico si perde, forse per sempre.
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