In genere, non è mio costume discettare di “come fare filosofia” su internet, ma stavolta dico la mia.
Da sempre la comunicazione filosofica ha assunto varie forme, dialogiche, trattatistiche, aforistiche, e così via. Basterebbe scorrere l’indice dei vari filosofi per averne una succinta, ma efficace, idea. Con la stampa poi le cose si sono semplificate e sempre più i libelli dei vari autori hanno conosciuto maggiore diffusione. Le cose si sono, se si vuole, complicate con Internet … il motivo? È semplice: la standardizzazione del medium informativo via l’agorà irreale del virtuale ha consentito a (quasi) tutti di potersi cimentare con la disciplina e di dire la propria. Ciò, se da un primo punto di vista potrebbe apparire come un processo solamente democratico, ha un indubbio difetto: privare la comunicazione filosofia della selezione dei contribuenti. In definitiva, chiunque, se lo volesse, potrebbe parlare di filosofia, più o meno con cognizione di causa, più o meno a sproposito. Andando a rimorchio dello sviluppo di internet, e della sua capillare diffusione, si è registrato anche un proliferare di siti, blog, riviste, (para)riviste, pagine personali, volti a divulgare al vulgo dei naviganti la propria idea, la propria visione, il proprio programma, e così via.
Personalmente, non ho nulla in principio contro questa evoluzione della comunicazione umana. Il problema, a mio sommesso parere, sorge quando il controllo scientifico delle affermazioni sfugge ad un tipo di comunicazione ove l’opinione del singolo è uguale a quella di altri. Il rischio, insomma, è la produzione di un immenso calderone all’interno del quale sia possibile cucinare qualsiasi ricetta, dalla più ortodossa alla più originale … solo che i cuochi non sono tutti bravi alla stessa maniera e internet non consente di verificarlo!
Potrebbe anche sembrare come suddetto proliferare sia il tentativo, magari estremo, di singoli di farsi spazio, di aprirsi una varco nella considerazione scientifica. In tempi così di magra, questi tentativi sono umanamente comprensibili, ma pubblicare qualcosa, un saggio, un articolo, una nota, una recensione, su pagine personali o su blog, privi peraltro di comitato di redazione e senza controllo di referaggio non vuol dire possedere un chissà quale livello di preparazione o di avere chissà idea originalissima o innovativa.
In tutti questi casi, come in altri distanti dai presenti, un pizzico di buon senso eviterebbe di gravare di dati superflui la rete, anche perché non c’è nulla di male nel riconoscere i propri limiti. Se, invece, si è incapaci di scorgerli … beh, questa è un’altra storia.
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