Stamane mi sono recato, come talvolta mi accade, bimbo permettendo, all'edicola per acquistare una certa uscita settimanale. Ho trovato un capannello di gente, tutta di una certa età, più avanzata della mia, che con fare "misterioso", ma con una certa intesa muta, indugiavano nell'angusto spazio interno dell'edicola. Il titolare mi riconosce e parte subito in quarta, forse aspettandosi solidarietà da parte mia "Il futuro è loro!", alludendo, evidentemente, al bimbo che reggevo in petto. "perché?", chiedo ingenuamente, il significato contestuale mi sarebbe divenuto chiaro solo in seguito. "Come perché? Mica è nostro! E' loro! Noi ormai sappiamo che lo Stato fa schifo!". Ed io "Ah ... sì?", memore dell'umore sempre discontinuo del vulgo. E lui ancora: "Sai cosa sarebbe buono? Di cosa avremmo bisogno? Ne stavamo giusto parlando ...". Ed io, sornione, dato che oramai l'antifona m'è chiara, ma preferisco stare al gioco "Che cosa?". E lui "La rivoluzione! Dovremmo farla!" Ma io, non contento, "e perché? Non capisco ...". E lui "Perché lo Stato fa schifo! Non si può lavorare! Non più! Colpisce gli operai e Loro si arricchiscono!". Avrei voluto replicare, ma ho lasciato cadere la cosa, anche perché mio figlio non è certo un fuscellino, comincia a pesare e senza aggiungere altra benzina sul fuoco, ho concluso la transazione che mi stava a cuore, ho salutato e son rincasato. Nel frattempo, la congiura s'è sciolta normalmente, come sovente accade in Sicilia "tanto rumore, e poi nulla!" oppure "prima le parole, dopo solo parole".
(immagine tratta da: http://www.polistampa.com/public/images/sognanev.jpg)
La cosa sarebbe finita lì, con lo sfogo umorale di una categoria di lavoratori che sente sulle proprie spalle il peso del risanamento economico, del "rigore" voluto dai "tecnici". Poi, però, ho pensato anche che pure io sono un appartenente ad una categoria sulla quale pesa direttamente la politica di rigore attuale, una di quelle che versa direttamente alla fonte, senza che possa in alcuna misura modificare l'imponibile o il reddito lordo. E però non la penso con il mio edicolante, persona che stimo, che reputo intelligente, simpatica, capace nel suo lavoro (lungi da me criticare quanti svolgono un lavoro diverso dal mio: come potrei se non so in cosa consista?) ... ma se anch'io sento il peso dei "tecnici", come mai la penso diversamente?
Non credo si tratti di una questione culturale, o di mentalità (sempre eterne e multiformi in Sicilia), e nemmeno generazionale. Ma io non parlerei affatto di "rivoluzione", non perché la trovi anacronistica, fuori del tempo (e, forse, anche dello spazio), ma perché temo che nell'ebbrezza del movimento alcuni guadagnino delle posizioni di vantaggio che cercheranno in tutti i modi di conservare anche dopo l'esaurimento della fase rivoluzionaria. Questa è, in genere, la vulgata di qualsiasi rivoluzione che storicamente ha avuto luogo: sono cambiati i suonatori, rispetto a prima, ma la sonata è rimasta (pressoché) la stessa!
Allora, mettiamo da parte la rivoluzione, prendiamo congedo da questa forma di "lotta politica", e torniamo, a mio sommesso parere, alla concretezza della questione.
Se partecipare al risanamento pubblico è certamente un impegno gravoso, che si traduce in rinunce, sacrifici, tradimento di sogni in cui ci si cullava in precedenza, tanto da percepire l'attuale politica anche come l'abrogazione di diritti (non è affatto così, ma intanto ...), allora è bene pensare all'intera questione in termini concreti, quasi quotidiani. La rivoluzione è una categoria politica troppo astratta, idealizzata, inflazionata, troppo raffinata per le urgenze del quotidiano.
Cosa significa ciò? Penso sia semplice: sono i comportamenti singoli e quotidiani che vanno cambiati se desideriamo che cambi la sonata. Siamo arrivati a questo punto perché ce ne siamo "fregati" del bene comune, perché abbiamo espropriato la res publica, la cosa pubblica, con i nostri interessi soggettivi. interessi, talvolta legittimi, per carità, ma non diritti soggettivi! L'interesse privato, così, ha scalzato sovente l'interesse pubblico, addebitando alle generazioni successive il peso, materiale e morale, di tale malcostume. Qualcuno desidera parlare di "questione morale", personalmente preferisco, e di gran lunga, parlare di "anarchismo morale" traducibile, grosso modo, nella forma seguente: "intanto magno, e poi si vede".
Allora, non necessitiamo di alcuna rivoluzione, ma solo di una renovatio nei comportamenti quotidiani, con semplici prassie. Un esempio su tutti, paghi tutto sino all'ultimo centesimo? Se vai in pizzeria, esigi lo scontrino fiscale con l'importo esatto pagato. Oppure, vai dal barbiere? E paghi 20 €? Bene, esigi ricevuta fiscale con quell'importo. Non lasciare che altri possano risparmiare in tasse, che poi gravano invece, in misura allora doppia, sulle tue spalle. Infatti, da quell'evasione deriva un mancato introito finale che, in qualche modo, dovrà essere colmato. E come se non andando a prendere dove si è sicuri di trovare "ottimi pagatori"? Verranno da te, che hai una busta paga, che sei un lavoratore dipendente ...
(immagine tratta da: http://www.piazzaffari.info/wp-content/uploads/2011/07/Euro-perde-terreno-sul-dollaro.jpg)
Più in generale, però, basta poco: esigi che anche gli altri rispettino le leggi come le rispetti tu. Pretendi che anche gli altri paghino sino all'ultimo centesimo dovuto, esattamente come fai tu. Anche esigendo maggiori controlli fiscali, anche maggiore trasparenza, e tracciabilità, nei pagamenti. Ma esigi anche che gli altri sprechino meno denaro pubblico, il tuo, quello che versi ... anzi, pardon! Che ti detraggono direttamente alla fonte in busta paga!
E' ovvio, chiaramente, che, giunti a questo punto, dato un tal disavanzo, i soldi da qualche parte bisognerà pur trovarli, che in qualche modo l'intero sistema economico dovrà pur essere riavviato! E questo costa, umanamente e materialmente. Chi può negarlo? Anche perché se la coperta diventa improvvisamente corta, tira di qua, tira di là, ci sarà sempre qualcuno che resterà parzialmente scoperto!
Allora, caro edicolante, anch'io vorrei che mi restasse qualche soldino in più in tasca, anch'io vorrei servizi efficienti, anch'io vorrei un mondo migliore, ma alla demagogia di chi spaccia la rivoluzione come la soluzione al disagio attuale, francamente, non credo. Chi controllerebbe in tal caso i rivoluzionari? E cosa mi garantisce che l'ordine nuovo che ne scaturirebbe sarebbe migliore?
(immagine tratta da: http://cetri-tires.org/press/wp-content/uploads/2012/02/riv-franc.jpg)