Cosa lega assieme crisi politica, crisi economica e crisi morale nell'Italia del 2012? La risposta è semplice quanto disarmante: l'equivoco del '92!
Cosa intendo con equivoco del '92? Semplice, quell'insieme di desiderata; errori; confusioni; ignoranza che accompagnano i deliri revisionistici nostrani a partire dal 1992 e che malconsigliano all'opinione pubblica il recepimento della vita legislativa del Paese in tutti questi anni, e anche in questi giorni dopo la brevissima stagione dei tecnici.
Il tam tam dei media è già iniziato: Monti si dimetterà, l'esecutivo andrà in scadenza, le Camere verranno sciolte, si tornerà alle urne, lo spread tornerà a salire, l'UE comincerà a trattarci come la Grecia (non ce ne vogliano gli ellenici per il tono del paragone), gli USA diranno che l'instabilità politica non è un bene, etc. etc. etc. Sono rituali ormai obsoleti, parole già sentite, minacce già presentate, personalmente ne ho memoria sin dal 1992 appunto! L'anno in cui l'onda travolgente di un'indagine giudiziaria, abilmente cavalcata da mezzi di comunicazione di massa, in special modo quelli privati che dovevano contendere con quelli pubblici una maggiore visibilità, presentò all'opinione pubblica l'immagine, certo deformata, di un Paese del tutto corrotto e senza alcuna speranza di redenzione futura. Già allora si profilò la controfigura del politico, ossia il tecnico, più capace del primo, più adatto del primo, più onesto del primo, che avrebbe dovuto condurre il Paese fuori dal guado, fuori dal marasma di Tangentopoli, e commettendo da subito il peccato originale di quella stagione: dimenticare che non è il tecnico, ma sempre il politico, che siede in Parlamento, a decidere cosa e come fare.
Così consigliavano i media di allora, in diretta dal Tribunale di Milano. Così gli italiani intesero la faccenda, in maniera ovviamente riduttiva ma, a suo modo, efficace: il Sistema è definitivamente corrotto e va cambiato riscrivendo le regole del gioco politico.
Facendo aggio sulla proverbiale ignoranza politica, per non dire anche giuridica, degli italiani, ossia dell'opinione pubblica del Paese, alle prese in contemporanea con le rigidità di quella crisi economica, che fece assimilare in chiave limitativa il Trattato di Maastricht (sempre del '92), che cominciò a gustare i frutti proibiti del qualunquismo e dell'impolitica, e a considerare, più o meno conseguentemente, l'intera categoria politica come un insieme ben affiatato di ladri.
Moggi era ancora al di là dal guadagnare gli onori della cronaca, più agevolmente vi riuscirono i politici di allora, travolti dalle indagini e da un'opinione pubblica mal informata.
Prese così forma l'equivoco del '92, ossia quell'insieme di aspettative, più o meno legittime, di desideri, più o meno meschini, di progetti, più o meno arditi, che hanno descritto la storia politica del Paese da allora sino ai nostri giorni.
Penso che siano almeno quattro le tendenze diverse che si contendono la palma del comando all'interno dell'equivoco stesso:
1. la sostituzione della legge ordinaria dalla legge costituzionale;
2. la spoliticizzazione della legge ordinaria in guisa di malintese materie tecniche;
3. la riforma della legge ordinaria per via costituzionale;
4. la riforma dei costumi politici attraverso una riforma delle istituzioni.
Queste tendenze, nei loro coaguli particolari, e spontanei, generano tre effetti diversi, ma contemporanei:
a. confondere il comportamento di singoli come un risultato ineluttabile quanto definitivo, ossia irreversibile, del sistema nel suo insieme (da qui l'esigenza di modificare la forma dello Stato);
b. equivocare la fonte del diritto con il braccio esecutivo (da qui l'esigenza di assicurare stabilità ai governi e di rafforzare il vincolo di voto);
c. confondere l'impoliticismo con il comune sentire della gente (da qui l'esigenza di rafforzare il vincolo territoriale e di aumentare la vicinanza tra istituzioni e territori).
Il coagulo (a) ci ha portato al mantra delle riforme costituzionali: l'ossessione, tutta italiana, di dover modificare a tutti i costi la Costituzione, facendovi entrare norme non più assiologiche ma sempre più tecniche (ora anche il pareggio di bilancio!), prefigurando forme futuribili di organizzazione statuale, senza però pensare che il problema stesse magari nella legge ordinaria piuttosto che in quella costituzionale, che descrive la cornice di riferimento, delegando sovente a quella ordinaria il compito di declinare in concreto quanto previsto in termini di valore dalla legge costituzionale.
Il coagulo (b) ci ha condotto al mantra dell'esecutivismo, con tutti i suoi corollari (presidenzialismo; premierato; iniziativa legislativa; poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri; durata nel tempo del Governo; aumento delle sue prerogative innanzi al Parlamento; etc.), dimenticando che, sempre secondo la Costituzione, seppur lacerata e strappata in più parti dal coagulo (a), la centralità del Potere in Italia non risiede nel Governo, ma nel Parlamento. Aver dimenticato ciò, consente di vedere necessariamente un male nelle crisi di governo, un danno nelle durate dei governi, un limite alla loro azione il meccanismo delle fiducie/sfiducie (dimenticando anche come il Governo non sia affatto eletto dagli elettori, ma il frutto della rappresentanza parlamentare di questi ultimi). La perduranza di ignoranza da parte dell'opinione pubblica al riguardo e di facili giochi elettorali delle parti fanno sì, come accaduto dal '92 sino ad oggi, che si consideri sempre più negativamente la funzione d'indirizzo politico, da parte del Parlamento, e sempre più con favore un aumento dei poteri del Governo, magari anche diminuendoli al Parlamento. L'insistenza sul meccanismo elettorale, sulla necessità che il Capo del Governo sia eletto, che magari anche i ministri vengano eletti dal popolo, è sintomo di questo coagulo, che non tiene in alcun conto la realtà dei fatti, ossia che per la nostra Costituzione il centro del potere politico non sta nell'esecutivo (Governo) ma nel legislativo (Parlamento). Confondere la normale dialettica parlamentare con il trasformismo è anch'esso un sintomo dell'azione eversiva del coagulo (b). Lo stesso dicasi per la valutazione negativa per i compromessi parlamentarsi, considerati inciuci e non, per come correttamente andrebbero intesi, per accordi che rappresentanti politici raggiungono, anche a prezzo di tempo, sforzi, energie, confronti dialettici.
Veniamo, infine, al coagulo (c): credere, a torto, che la crisi della politica possa venir superata attraverso una maggior vicinanza delle istituzioni al territorio, dimenticando come il problema non stia nella struttura, ossia nell'organigramma istituzionale, ma negli uomini che la vivono e la mandano avanti. Eccoci allora all'ennesimo mantra: decentrare le istituzioni, indebolendo il potere centrale e rafforzando i poteri locali. Passi che ciò sia in gran parte anche l'esito, del tutto previsto, ma in salsa nostrana, del glocalismo, ma è a dir poco imbarazzante pensare che ciò possa aumentare il bene comune il quale, invece, viene del tutto perso di vista in nome di non meglio precisati interessi locali e/o giustizie territoriali, il che, al contrario, significa molto più semplicemente enfatizzare le diversità territoriali prendendo atto della naturale diversità, e sproporzione, tra parti del territorio Nazionale. Ecco, dunque, i frutti avvelenati del coagulo (c): federalismo (che non ha molto senso: federare entità sub-statali come le Regioni?); autonomismo (e il nesso territorio - lobbies locali?); indipendentismo (ma se i problemi non si riesce a risolverli assieme, cosa fa credere che sia possibile risolverli da soli?); et similia.
Ora, pur non volendo rompere le uova nel paniere, credo che siano oramai giunto il momento di sbarazzarci definitivamente dell'equivoco del '92, incapace di risolvere davvero i problemi, che ha contribuito ad aggravare (come ad esempio il disavanzo pubblico, frutto della scellerata scelta di aumentare i centri di potere, dando loro facoltà di mettere le mani nella marmellata), e di tornare finalmente ad occuparci dei veri problemi (la morale dei politici in quanto rappresentanti della volontà popolare), di tornare allo spirito della Costituzione (dare esecuzione alle parti ancora non applicate e migliorare alcuni meccanismi istituzionali già previsti), di occuparci seriamente della moralità pubblica (rimuovendo le cause materiali che, rafforzando le diseguaglianze, spingono molti lungo la strada del "compromesso" morale pur di guadagnare posizioni di vantaggio), e di finirla con un sistema mediatico che enfatizza alcune categorie politiche, a scapito di altre, non informando peraltro adeguatamente l'opinione pubblica sulla realtà dei fatti.
(immagine tratta da: http://anpibazzano.files.wordpress.com/2009/11/firmacostituzione.gif)
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