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venerdì 12 settembre 2014

L'arte di insegnare ...

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Il testo di Isabella Milani, pseudonimo di un’insegnante, dal titolo L’arte di insegnare. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi, è interessante sotto molti punti di vista, in modo particolare per la tipologia di lavoro che svolgo, nei suoi alti come nei suoi bassi. Vista la sua mole, però, dovrò limitarmi a prenderne in esame solamente alcuni punti.



In primo luogo, un docente dovrebbe sapere che gli alunni in genere, e soprattutto quelli “difficili”, ci vedono come ci vediamo noi, vale a dire che «comunichiamo loro l’idea che abbiamo di noi stessi» (p. 21). Di conseguenza, avere una bassa autostima, ad esempio, esercita una profonda influenza negativa circa il nostro ruolo di insegnanti. Un insegnante con le idee confuse circa il proprio ruolo non saprà mai gestire in maniera efficace una classe. Non si dovrebbe mai farsi mancare di rispetto, così come dovrebbe esservi rispetto reciproco. Infine, un docente non dovrebbe mai fare l’«amicone», altrimenti salterebbe del tutto l’asimmetria del rapporto educativo.



Un altro elemento importante, da tenere in altissima considerazione, è la composizione del gruppo classe, vale a dire la complessità delle dinamiche interne alla stessa. Di conseguenza, ciascuna classe è diversa, non ne esistono due uguali. Ne deriva, ovviamente, che strategie efficaci in una classe possono non andare bene in altre. Gli alunni presi a solo sono diversi da come si presentano calati all’interno di un gruppo classe. Pur essendo tutti diversi, però, gli alunni sono simili, vale a dire che rientrano in determinate categorie o insiemi di categorie (p. 38). A ciascuna categoria corrisponde una tipologia di alunno, dal timido al demotivato, dal prevenuto al simpaticone, passando per i DSA, l’alunno straniero e l’alunno diversamente abile. L’estrema eterogeneità nel processo di composizione della classe si riverbera sull’estrema complessità delle dinamiche relazionali interne al gruppo classe In genere, però, se si riesce a gestire gli alunni “difficili” la difficoltà nel tenere la classe diminuisce in maniera considerevole. Il problema, infatti, è riuscire, pur nei numeri elevati, si parla di almeno trenta alunni per classe, ad instaurare un rapporto personale e diretto con ciascuno (p. 44).  Almeno ciò sarebbe quel che andrebbe fatto, ma non è possibile. Pertanto, la cosa migliore è dimostrare simpatia e reale interesse per ogni alunno.



Importante è anche la prima entrata in classe, in quel preciso istante si decidono i destini dell’anno scolastico. Infatti, bisogna dare l’impressione «di essere la persona che loro si aspettano come insegnante» (p. 49), preparata, che sa il fatto suo, che li capirà, che sarà divertente, che sarà giusta. L’entrata in classe per la prima volta è il momento durante il quale «si stabiliscono i ruoli» (p. 54) e nulla può essere lasciato al caso. Al contrario, bisogna avere tutta la classe sotto controllo, comunicare serenità e calma nell’imporre le regole del rapporto, sempre evitando che si manchi di rispetto. Bisogna, così, stabilire regole chiare e certe, pretendere un comportamento corretto ed evitare di generare l’impressione di essere aggressivi.



Un problema, sovente ignorato nella concreta pratica didattica, è la conoscenza del linguaggio del corpo. Infatti, se la voce è lo strumento principale della relazione con la classe, non si dovrebbe mai dimenticare che comunichiamo anche con il nostro corpo ed eventuali incoerenze tra quanto detto a voce e quanto espresso tramite il corpo abilita comportamenti scorretti da parte degli alunni. Se gli alunni capiscono quel che pensiamo di noi stessi, anche noi dovremmo essere capaci della stessa cosa ed anticipare i loro movimenti o le loro intenzioni. Se comunichiamo loro come ci sentiamo o ci vediamo, bisogna allora prestare la massima cura alla nostra immagine, dimostrando sempre tranquillità, fermezza, autorevolezza. Dunque, se al contrario, si hanno difficoltà con le classi, bisogna studiare la genesi di tale rapporto, come mai si è arrivati a questo esito, cosa non ha funzionato e ingegnarsi su come risolvere la situazione, ricercando quali correttivi siano possibili, come migliorare il proprio portamento o il proprio ruolo in cattedra.



Un insegnante capace è colui che appare come una guida, vale a dire una figura «che insegna e aiuta a crescere» (p. 101), in una progressiva costruzione di autorevolezza che si costruisce ogni giorno, anche perché sono gli alunni che danno autorità o, meglio, autorevolezza. La disciplina non si ottiene con la paura o con la promessa di ritorsioni, ma con la ferma imposizione di un ruolo docente chiaro e giusto. Anche perché gli alunni di oggi sono, per lo più, alunni educati male e vivono contesti di povertà educativa e culturale. Di conseguenza, se l’educazione non viene loro impartita almeno a scuola, dove altro possono incontrarla? Spesso, però, se scambiano la scuola per la pubblica piazza, la colpa è nostra, come classe docenti, e non loro. In tal caso, «non diamo la colpa ai ragazzi» (p. 115).


Spesso dimentichiamo anche, colpevolmente, che a scuola non si insegnano solamente contenuti, e che, invece, dovremmo insegnare loro un metodo di studio, quel che serve loro per «studiare in autonomia» (p. 118). La lezione, dunque, dovrebbe essere partecipata, costruita mediante la partecipazione attiva da parte degli alunni, i quali, quindi, vanno coinvolti, e non un’enorme quanto noiosa esposizione ad un megafono. I docenti dovrebbero essere «convincenti, interessanti e autorevoli» (p. 123). Altrimenti, si pretende forse che gli alunni studino senza merito da parte nostra? Senza impegno da parte nostra? Senza motivazione al compito da parte nostra? Rispetto alle aule di oggi, è solo nostalgia di un passato mitico, probabilmente mai verificatosi.



In ogni caso, i docenti devono mettersi in discussione e analizzare bene le proprie pratiche educative e didattiche. Al riguardo, è interessante il paragrafo dedicato alla motivazione degli studenti. Cosa si può fare per motivarli allo studio? La motivazione non è innata, ma va attivata e potenziata da parte del docente che ha chiaro in mente cosa vuole fare e cosa desidera ottenere dai suoi alunni, che combatte la noia, che non perde mai il controllo dell’attenzione della classe e che riesce a mostrare ai propri alunni come si studia e che chi non sa non riesce a scegliere.



Trovo illuminante il capitolo sulla disciplina ove l’autrice sfata il mito della diseducazione dei giovani alunni. Talvolta, a dire il vero piuttosto spesso, «ci sono colpe che i ragazzi non hanno» (p. 188). I ragazzi maleducati sono stati, molto più semplicemente, «educati male» (p. 189), e a nulla serve sperare che un giorno i ragazzi male educati scompaiono dalla circolazione. Semplicemente, non avverrà e classi con alunni simili vanno gestite, nonostante tutto. Come? Milani propone una road map fatta di alcuni passaggi fondamentali, In primo luogo, la lezione vera e propria non può cominciare se non si è gestita la classe e non si è ottenuto silenzio. Se la classe non ascolta, a cosa serve cominciare la lezione? Se l’attenzione non è attiva e rivolta al docente, a cosa serve tenere una lezione destinata a scivolare via? L’attenzione dovrebbe essere massima anche durante l’interrogazione alla quale, di buona norma, dovrebbe partecipare tutta la classe e non solamente i diretti interessati. Nel caso di classi difficili, poi, ci sono alcuni passi da compiere, sia prima di conoscerla davvero (informandosi con i colleghi e leggendo la presentazione della classe stilata dagli insegnanti che l’hanno avuta in precedenza) sia pianificando nel dettaglio il primo incontro con la classe. A questo punto, l’autrice stila un elenco di possibili situazioni concrete di classe difficile, suggerendo anche cosa fare, quali azioni compiere, quali strategie mettere in campo, sempre al fine di ristabilire i ruoli e l’autorevolezza. Bisogna saperla gestire, guadagnarsi la loro fiducia, resistere, modificare le nostre pratiche, aiutare i ragazzi svantaggiati, interessarci loro, a come vedono e vivono la scuola, ma, in ogni caso, non bisogna «tollerare comportamenti irrispettosi» (p. 203), nemmeno la minima «mancanza di rispetto» (p. 203). Allora, bisogna addestrare la propria mimica facciale, il tono vocale, ad avere le idee chiare su cosa fare e come. I docenti devono sapere che se un alunno «si comporta così, la colpa è anche nostra» (p. 207). La scuola deve sempre «recuperare e rieducare» (p. 207). Le punizioni, in genere, servono a poco, quasi sempre a incrudelire il rapporto. Invece, se «si riesce ad avere un buon rapporto con la classe e con gli alunni, non c’è bisogno di provvedimenti disciplinari» (p. 228).


L’ultimo capitolo è dedicato al rapporto con gli adulti, sia tra colleghi sia con il personale ATA sia con i genitori dei nostri alunni.




Si tratta di un volume che presenta una serie di suggerimenti pratici in vista di situazioni concrete e reali, a differenza, ad esempio, delle situazioni idilliache ma irreali della teoria pedagogica e/o didattica accademiche. Non un manuale di sopravvivenza nelle classi complesse di oggi, ma qualcosa che vi si avvicina e che mette in chiaro i difetti del ruolo docente ma anche cosa si potrebbe fare per invertire la china e per ribadire la centralità della scuola nella formazione ed educazione dei nostri giovani male educati e soverchiati da moltissimi modelli negativi enfatizzati dai social e mass media.


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