Quanto segue è un articolo pubblicato per la prima volta su "Dialegesthai" nel 2010. Tuttavia, le idee di fondo sono state già sviluppate nel mio volume: Viaggio al centro della logica, Aracne, Roma, 2009.
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Logica si dice in molti modi. Un viaggio concettuale dentro la ragione umana
Il presente lavoro nasce come momento di sintesi dei risultati raggiunti durante varie ricerche, talvolta tra loro del tutto eterogenee, svolte durante gli ultimi anni.
In modo particolare, con la presente ricognizione s'intende esplorare il possibile significato teoretico di una parola utilizzata da tanti autori e con sfaccettature sovente irriducibili le une alle altre: logica. Così, la presente riflessione cercherà di operare una sintesi, quanto più stringente e comprensiva, dei vari significati attribuiti al termine 'logica'. Pertanto, la questione fondamentale che si cercherà di affrontare, da un punto di vista certamente filosofico, sarà la seguente: che cos'è la logica?
Tuttavia, senza nulla togliere alla pregnanza della stessa, per ragioni espositive e per altri motivi che verranno esplicitati progressivamente durante lo sviluppo della presente, tale questione verrà riformulata nel modo che segue: cosa vuol dire 'logica'? In effetti, innanzitutto e per lo più, chiunque si occupi di filosofia possiede già un significato, più o meno vago, più o meno preciso, di cosa significhi la parola 'logica'. Piuttosto, dalla nostra visuale particolare, è proprio la pluralità delle sue declinazioni ad imporre lo svolgimento di un lavoro di tipo diverso, per l'appunto il presente: cercare di astrarre dai vari significati disponibili una sintesi esplicante l'orizzonte di senso del termine in questione.
Così, quanto ci si accinge a leggere, in fin dei conti, è una narrazione che segue sincronicamente le varie fonti filosofiche le quali hanno trattato, in vario modo e con sensi profondamente differenti, il concetto qui tematizzato: illógos.
1. Lógos si dice in tanti modi
Sono certamente tanti i topoi filosofici presso i quali è possibile attingere a specifiche configurazioni semantiche del termine 'logica'. Questo perché sussiste un certo orizzonte semantico attorno alla parola in questione, il quale è così concettualmente denso da rendere ostico anche solo definirne il senso, tentare di indicarne l'essentia speculativa. Siccome, in genere, definire il senso di qualcosa vuol dire esprimere concettualmente l'essentia della stessa, tornano certamente utili le parole di Gilardoni:
la definizione è la chiarificazione di una parola (o di un simbolo) ottenuta attraverso la relazione tra questa, che rappresenta ciò che è da definire (definiendum) , e un gruppo di simboli o segni, che sono ciò che definisce (definiens), i quali hanno un significato noto.1
Definire qualcosa, detto altrimenti, consente di attingere al vero significato di quest'ultimo, indicare cioè l'orizzonte di senso a lui più prossimo, socraticamente nominarne linguisticamente l'essenza.
Analogamente, in questo modo, allora, s'intende definire la 'logica' al fine di render conto della sua essenza.
La presente occasione, dunque, consente di tornare a pensare, nel circolo, e compito, irrisolto della ratio filosofica, alla sistemazione concettuale che i filosofi a noi antecedenti diedero della nozione stessa di 'logica'.
Dunque, ci troviamo in presenza di un ben preciso divenire storico della parola in oggetto sotto le innumerevoli forme speculative della storia filosofica occidentale. È adesso giunto il momento di intraprendere la «fatica» prefissa. Una fonte tra le tante disponibili, e che torna utile in questa sede, afferma quanto segue:
Il termine 'logica' deriva come noto da 'logos'.2
La parola 'logica', dunque, prima ancora di costituirsi nella forma di una branca specifica della conoscenza filosofica, sembra avere un'origine precisa: derivare dal greco lÒgoj, lógos. Essa è, cioè, la specificazione filosofica della maniera di pensare derivante da lógos. Infatti, in tanto la 'logica'è il modo di pensare proprio degli uomini in quantológos significa 'pensiero', 'discorso', 'conoscenza', 'ragione', 'principio'.
In questo senso, si può riconoscere senza difficoltà che, per via del suo etimo, la logica è lo studio «del pensiero, del linguaggio».3 Un'opinione senz'altro condivisa da molti autori. Solo che, in merito, Husserl avvisa subito come:
La parola lógos, da cui è derivato il nome di «logica», ha un gran numero di significati.4
Dunque, anche solo ad una prima analisi, sembra proprio che il termine 'logica' possieda una indiscussa polisemia. Ciò suggerisce anche come non si constati una concordanza di opinioni intorno al significato compiuto da attribuirvi. Tuttavia, tale condizione non coinvolge né il suo etimo né l'individuazione della genesi della 'logica' in quanto disciplina filosofica ad hoc. Infatti, si concorda generalmente come essa sia una particolare creazione di Aristotele:
La creazione della logica come disciplina autonoma risale ad Aristotele5
Sebbene di significato non condiviso, comunque, il termine 'logica' sembra intrattenere una relazione serrata con la 'ragione' umana, con il pensiero degli uomini in quanto animali razionali.
Sempre Aristotele così configurava il processo conoscitivo della teoretica umana:
l'immaginazione è per Aristotele un prodotto «inerziale» della sensibilità animale: data un'impressione sensoriale, questa prima affezione ne produce una seconda [...] la quale può sussistere anche quando l'impressione sensoriale è cessata.6
Bordoni, nel brano citato, si riferisce espressamente alla phantasía, una facoltà umana riconosciuta dallo stagirita ma che funziona benissimo anche ai presenti fini: l'organizzazione della conoscenza non è altro che lacategorizzazione dei dati sensoriali attraverso, e all'interno di, schemi predefiniti. Questi ultimi sono in tutto e per tutto i cosiddetti «concetti puri» di Kant, aggregati simbolici che economizzano l'interazione con l'ambiente esterno. Nelle parole ostiche del filosofo tedesco:
la conoscenza propria di ogni intelletto, almeno dell'intelletto umano, è una conoscenza per concetti: non intuitiva, ma discorsiva. Tutte le intuizioni riposano su affezioni; i concetti, dunque, su funzioni. Ma io intendo per funzione l'unità dell'atto che ordina diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. I concetti dunque si fondano sulla spontaneità del pensiero.7
I «concetti puri» di Kant, dunque, non sono altro che specifiche funzioni cognitive mediante le quali i dati sensorialivengono organizzati per concetti e giudizi. Aggiunge, infatti, Bordoni:
è proprio solo dell'uomo è la capacità di produrre suoni che siano simboli (cioè segni arbitrari) di un mondo di affetti dell'anima non semplicemente sensibili. La dimensione caratteristica del lógos umano è dunque, possiamo dire, la funzione simbolica.8
In altri termini, gli uomini sintetizzano i dati empirici mediante signa simbolici, espressi concettualmente, sotto forma di 'pensieri', e linguisticamente, sotto forma di 'verba'. Nelle parole di Geymonat:
Aristotele afferma [...] che il primo oggetto della ragione, cioè il concetto, è direttamente ricavabile dall'esperienza. Il metodo per ricavarlo è l'astrazione.9
Quel che fece Aristotele, in altri termini, fu individuare i poli essenziali del rapporto conoscitivo, quegli stessi che, passando per Kant ed Husserl, verranno definiti come «polo soggettivo», del soggetto che, a partire dalle proprie possibilità conoscitive, conosce, e come «polo oggettivo», del mondo di oggetti, ed esperienze, che vengono conosciuti. Per il tramite di un processo astrattivo, è possibile dunque distinguere tra il «chi» e il «cosa» della conoscenza.
Pertanto, allora, sembra sia possibile scorgere l'origine della 'logica' proprio nell'intersezione di intenzionalità conoscitiva ed espressione verbale.
In realtà, a tutta prima, è invece un punto oscuro della teoretica umana, benché importante ai fini presenti. In altri termini, siamo certamente in grado di indicare la zona dalla quale promana la 'logica', ma non siamo altrettanto capaci di illuminarla in maniera adeguata. Così, in genere, tendiamo a mettere in correlazione stretta (1) l'episteme; (2) il linguaggio; e, (3) l'esperienza degli uomini. L'interazione, ed intersezione, di (1), (2) e (3) può essere intesa quale la sede propria a partire dalla quale è possibile avere: (a) un pensiero; (b) una comunicazione; e, (c) unaconoscenza. Detto altrimenti, la teoretica umana sembra consistere per l'appunto nell'interazione stretta di tre elementi: (x) episteme; (y) linguaggio; ed, (z) esperienza.
La connessione tra episteme, linguaggio ed esperienza è stata messa in questione durante l'ultimo secolo, ma era uno degli assunti fondamentali della filosofia medievale. Come sostiene, infatti, de Rijk:
fin dall'undicesimo secolo la relazione tra pensiero e linguaggio fu un tema centrale del pensiero medievale (...) si riteneva che il pensiero fosse ristretto nei limiti del linguaggio dalla sua stessa natura; si presumeva che pensiero e linguaggio fossero in relazione l'uno con l'altro e con la realtà nei loro elementi e nella loro struttura. In ultima analisi, linguaggio, pensiero e realtà erano ritenuti logicamente coerenti.10
Se non è possibile parlare di identità tra i tre elementi, certamente non è possibile considerarli l'uno isolato rispetto agli altri due. Anche perché non appare concepibile una teoretica umana che prescinda dalla loro reciproca interazione. Questo significa che nonostante la dura critica operata dai filosofi contemporanei, non è ancora giunto il momento di potersi disfare di suddetta relazione tra i tre elementi (1) -- (3), o (a) -- (c), oppure ancora tra gli elementi (x) -- (z).
Dunque, proprio alla luce di quanto appena detto, emerge, più o meno chiaramente, l'idea secondo la quale la 'logica' sarebbe la scienza del lógos, ossia della maniera attraverso cui la teoretica umana interagisce con la realtà esterna. In che termini si dà tale rapporto? Qual è il rapporto tra pensiero ed essere? Sicuramente, è un rapporto diconnessione e correlazione tra episteme, linguaggio ed esperienza. Ciò vuol dire che il pensiero sta all'essere come l'episteme sta all'esperienza per il tramite della copula linguistica. Il riferimento va direttamente al cosiddetto triangolo semiotico il quale pone in evidenza suddetto rapporto come interazione biunivoca tra due poli per volta (ossia: episteme e realtà; espisteme e linguaggio; linguaggio e realtà; realtà e linguaggio; linguaggio ed episteme).
Tuttavia, per potersi riferire meglio, e con maggiore efficacia, tanto agli oggetti empirici quanto ai prodotti concettuali del proprio lavoro, la teoretica umana utilizza dei simboli, ossia dei signa che stiano al posto degli oggetti, ideali o reali che siano. In merito a tale rapporto tra segni ed oggetti, appaiono interessanti le parole di Boyer:
L'uomo si differenzia dagli altri animali soprattutto per l'uso del linguaggio. Lo sviluppo di quest'ultimo ha avuto una importanza essenziale per il sorgere del pensiero matematico astratto: tuttavia le parole che esprimono concetti numerici si vennero formando con relativa lentezza. Segni numerici probabilmente precedettero le parole che indicavano numeri.11
Si tratta di un discorso molto vicino a quello condotto parecchi secoli prima già da Aristotele. V'è, comunque, un sottinteso in tutto ciò, e che è bene esplicitare. Nelle parole sempre di Bordoni:
Aristotele intende proporre uno stretto isomorfismo tra piano psichico e piano linguistico: secondo noi esso vale anzitutto nel senso che il linguaggio riflette la struttura del pensiero.12
In questo senso, infatti, concorda Husserl:
noi stabiliamo nello stesso tempo l'universalità della coincidenza di linguaggio e pensiero.13
Se v'è non proprio un isomorfismo, ma quantomeno una corrispondenza, tra linguaggio e pensiero, allora appaiono interessanti le parole di Raggiunti in merito ad Husserl:
La logica come scienza si identifica, dunque, con la ragion pura.14
Si tratta, dunque, di un'impostazione certamente interessante, ma distante dalla maniera attuale di discutere le facoltà del pensiero in quanto espressione di un'attività giudicativa razionale. Ad ogni modo, proprio essa si avvicina al discorso sin qui condotto da parte nostra: il pensiero, in quanto ragion pura, deve potersi applicare ai dati sensoriali, ossia deve basarsi sul presupposto che la realtà esista e che sia fatta in maniera tale poter esser sussunta sotto concetti puri e giudizi. La questione kantiana dello schematismo trascendentale e dell'immaginazione, una facoltà umana tanto pura quanto empirica, è il presupposto del suddetto isomorfismo tra pensiero ed essere, ed è anche alla base del suddetto triangolo semiotico: senza tale questione oscura per la teoretica, non sarebbe possibile darsi alcun rapporto tra pensiero, linguaggio e realtà.
In merito, tuttavia, è rilevante osservare come Aristotele si sia posto in qualità di anticipatore di tale maniera di pensare e di considerare le cose. Infatti, scrive Reale:
La logica considera, invece, la forma che deve avere qualsiasi tipo di discorso che pretenda di dimostrare qualcosa e, in genere, che voglia essere probante. La logica mostra, quindi, come proceda il pensiero quando pensa, quale sia la struttura del ragionamento, quali gli elementi di esso, come sia possibile fornire dimostrazioni, quali tipi e modi di dimostrazione esistono, di che cosa e quando siano possibili.15
In realtà, scavando un po' nella sedimentazione culturale del termine 'logica', è possibile scorgere nella concezione greca della «scienza» la genesi di tale modus operandi. Infatti, scrive Agazzi:
secondo il modello di conoscenza esplicitamente teorizzato dalla filosofia greca, il sapere autentico si raggiunge solo quando, dopo aver appurato una verità, si è anche in grado di darne la ragione, ossia di darne il perché [...] offrire unadimostrazione.16
La logica, pertanto, viene concepita dai greci come uno «strumento», un organum, mediante il quale render contodelle verità raggiunte in ambito gnoseologico. Secondo tale punto di vista, allora, la funzione della logica, la sua ragion d'essere, la sua finalità specifica, sarebbe quella di giustificare razionalmente i risultati conoscitivi conseguiti, con l'onere di distinguere sempre con certezza tra verità e falsità. Detto altrimenti, in Aristotele giunge a maturazione un processo innescato secoli prima e che aveva trovato già in Parmenide, nei Sofisti e in Platone un'iniziale, per quanto incompleta, formulazione: mettere a punto un insieme di strumenti concettuali in virtù dei quali render conto delle nostre conoscenze e dei modi adoperati per conseguirle, ossia giustificare la nostra conoscenza, specialmente rispetto all'errore e alla falsità. Ancora, infatti, aggiunge Reale:
[la logica aristotelica] è nata da una riflessione intorno ai procedimenti che i precedenti filosofi avevano messo in atto, principalmente a partire dai sofisti, e soprattutto intorno al procedimento socratico, specialmente come era stato amplificato e approfondito da Platone.17
Reale sostiene pure che:
la logica aristotelica ha pertanto una genesi squisitamente filosofica: essa segna il momento in cui il logos filosofico, dopo essere ormai completamente maturato attraverso la strutturazione di tutti i principali problemi, diventa capace di porre a problema se medesimo e il proprio modo di procedere, e così diventa in grado, dopo aver imparato a ragionare, di stabilire che cos'è la stessa ragione, ossia come si fa a ragionare, come quando e su che cosa è possibile ragionare18
D'altro canto, è pure bene aggiungere che considerare la ratio umana quale un tutto non ulteriormente analizzabile in facoltà distinte e in regole di funzionamento mette capo all'esito ultimo di Husserl: considerare il lógos un anello di congiunzione tra il pensiero umano e la concreta modalità conoscitiva propria degli esseri umani. Ma una coscienza non è tale sui generis, possiede un'indubbia universalità. In questo caso, l'individualità della coscienza non esclude affatto l'universalità della ragione.
Dunque, tornando ai sentieri che, seppur con difficoltà, si stanno cercando di battere, sembra proprio che neanche l'etimo greco appaia prima facie di qualche concreta utilità. Infatti, subito ci troviamo immersi nelle complesse sedimentazioni concettuali della parola greca lÒgoj, facendo esperienza di una polisemia alla fine davvero sconfortante.
Tuttavia, ciò non vuol dire che sia impossibile individuare alcuni significati possibilmente validi. In altri termini, possiamo benissimo elencare dei significati principali della parola 'logica':
- la parola;
- il discorso;
- il contenuto del discorso;
- l'atto del dell'asserire;
- la facoltà razionale;
- la facoltà di formare concetti legittimi.
Per dirla con Aristotele, allora, certamente lÒgoj si dice in tanti modi. Ma può dirsi lo stesso di 'logica'? Oppure, si può affermare in una maniera davvero sensata che 'logica' si dica in tanti modi? La logica, infatti, non è soltanto una scienza, non nel mero significato della parola conoscenza. Nemmeno è una mera «scienza del discorso». Assolutamente non è una «scienza dei contenuti dei discorsi». Ancora, non è certo una «scienza dell'asserire». Dunque, sembra proprio che la parola 'logica' non possieda un rapporto stringente con i primi quattro significati indicati.
Sugli ultimi due significati dell'etimo greco, invece, è possibile trovare un accordo che possieda un significato sensato. Infatti, la logica appare essere tanto una «scienza della facoltà razionale» quanto una «scienza della facoltà di formare concetti legittimi». In altri termini, la 'logica' appare essere, almeno in via provvisoria, una scienza che mira a formalizzare il funzionamento dell'attitudine razionale. Ovviamente, non ci si riferisce, per ovvie ragioni, all'intera, ed assolutamente generale, facoltà razionale. Al contrario, ci si limita ad una sua funzione particolare, e ben delimitata: quando essa mira a formare concetti. In altri termini, pertanto, si dà logica solo quando la facoltà razionale umana «ragiona», quando cioè si costruiscono ragionamenti, si formano argomentazioni. Altrimenti, infatti, non sarebbe possibile scorgere più alcuna differenza con la psicologia, la conoscenza della fisiologia mentale.
Invece, in maniera più pregnante, la 'logica' può essere intesa quale lo studio delle «condizioni di possibilità del pensiero umano». Tuttavia, però, ancora una volta si fa esperienza di una certa imprecisione ogniqualvolta si cerchi di definire il significato della parola 'logica'. Infatti, certo si tratta di una considerazione delle condizioni di possibilità del pensiero umano. Ma di quale pensiero umano si tratta? Sicuramente, non di tutte le sue potenzialità, altrimenti avremmo a che fare con qualcosa di diverso dalla logica stessa. Per dirla con Husserl, la 'logica'è lo studio non di tutte le condizioni di possibilità del pensiero umano, ma soltanto delle condizioni legittime di possibilità del pensiero. Esiste, dunque, una duplicità potenziale per il pensiero umano: (1) essere tout -- court, così come si svolge spontaneamente; e, (2) essere in modo legittimo. La prima possibilità rimanda di certo alla spontaneità umana, fatta di giravolte improvvise e di trovate sovente inconsuete. La seconda possibilità, invece, delimita nel potenziale intellettivo umano esclusivamente le maniere degne, valide, legittime di pensiero.
In questo modo, allora, è possibile registrare, stavolta in positivo, la pluralità di voci, recante, ciascuna, uno specifico significato della parola 'logica'. Ad esempio, per Berto, noi
definiamo la logica a partire da quelli che secondo molti (ancorché non tutti) sono il suo oggetto principale e il suo scopo. La logica è la disciplina che studia le condizioni di correttezza del ragionamento. Il suo scopo è dunque elaborare criteri e metodi, attraverso i quali si possano distinguere i ragionamenti corretti, detti anche validi, da quelliscorretti, o invalidi.19
Cosa fa, dunque, la logica? Da un lato ricerca i principi primi della ragione umana, e, dall'altro lato, ne prescrive l'assoluto rispetto se si desidera formare ragionamenti corretti, validi, legittimi. Essa è, cioè, bifronte: (a) in tantoconosce i principi della ragione umana; (b) in quanto li prescrive ogni volta che si intende pensare in una maniera quanto meno fondata. In merito, appare rilevante l'opinione di Frixione:
tra le discipline che studiano il ragionamento, la logica è la disciplina normativa per eccellenza: essa specifica a quali condizioni un ragionamento deduttivo risulta logicamente corretto.20
La 'logica' sarebbe, allora, non la scienza di qualsiasi concetto possa produrre la nostra ragione, ma soltanto la scienza dei concetti validi, legittimi, in fin dei conti corretti. Essa, dunque, è la scienza che ci consegna le regole per il retto pensare, il cui rispetto conferisce correttezza, e quindi anche validità, ai nostri pensieri. Come afferma Lolli:
La logica è una disciplina antichissima, la più antica forse con l'astronomia e la matematica, ma nel corso dei secoli ha avuto significati e obiettivi diversissimi. Il denominatore comune è stato lo studio, o la codifica (e non sono la stessa cosa) dei ragionamenti corretti, o accettabili, o sicuri.21
Quel che fa la 'logica', allora, è prescrivere quali regole bisogna rispettare per formare pensieri sensati, pensieri retti, pensieri validi.
Se la 'logica' ci dice a quali condizioni i nostri ragionamenti sono corretti, allora la si può definire in maniera molto più concisa seguendo l'affermazione di Varzi, Nolt e Rohatyn secondo i quali:
La logica è lo studio delle argomentazioni.22
Dello stesso tenore sono le parole di Copi e Cohen:
La logica è lo studio dei metodi e dei principi usati per distinguere il ragionamento corretto da quello scorretto.23
Se c'è un modo corretto di pensare, ve ne sarà almeno un altro scorretto. Ecco, dunque, che la 'logica' deriva dalla filosofia il medesimo atteggiamento, alla fin fine dualistico: esiste una differenza, non mediata né mediabile, tracorrettezza e scorrettezza, tra validità e invalidità, tra verità e falsità. Dunque, la prima molla che ha spinto gli uomini sul sentiero della logica è stata la necessità di disporre di canoni chiari e sicuri in virtù dei quali distinguere, e separare, le due facce della medesima realtà, la certezza da una parte e l'errore dall'altra parte. In questo siamo sicuri di poter accettare la seguente affermazione della Facco secondo la quale:
Alle origini della logica si trova la fondamentale esigenza dell'uomo di conoscere il vero, di evitare cioè le insidie della falsità e dell'errore.24
Senza scomodare l'antropologia, secondo la quale la logica nasce dal bisogno umano di disporre di un metodo affidabile che consentisse di distinguere la verità dalla menzogna, in effetti, sembra proprio che
La ragione è lo strumento da cui noi esseri umani dobbiamo dipendere quando il nostro obiettivo è quello di formarci giudizi che diano affidamento.25
Ma se la 'logica', pertanto, condividerebbe con la filosofia le medesime esigenze di fondo, è possibile stabilire un momento preciso nella statuizione di tale bisogno? A nostra modesta opinione sì: è con Parmenide che si fissa in maniera compiuta, e durevole, l'esigenza teoretica di distinguere tra verità e menzogna; il bisogno, cioè, di disporre di un metodo in forza del quale discernere, e discriminare, tra certezza ed errore. In proposito, sono estremamente interessanti le parole di Borzacchini:
Questo è il primo fondamento del pensiero greco, esplicitato progressivamente dagli ionici a Parmenide: la necessità di una «sostanza», di qualcosa capace di permanere nel cambiamento.26
Vero è che Parmenide riprende nozioni già elaborate dalla cultura greca, cercando anche di rispondere alle medesime questioni intorno allo scarto intuitivo tra il mutamento globale degli esseri e la permanenza nel tempo degli enti, ma rispetto agli autori precedenti egli mette meglio a fuoco, e in maniera nettamente più precisa, «la» questione della cultura greca: render conto del fondamento delle cose. In altri termini, spiegare cosa sia questa «cosa qui» che sta sotto le numerose determinazioni mutevoli e che permane nonostante il fluire del tempo. Detto altrimenti, Parmenide intende dare conto della sostanza, in forza della quale è possibile distinguere tra verità eapparenza, tra certezza ed errore. Mutatis mutandis, il filosofo di Elea non fa altro che ricercare il lógos delle cose.
Pertanto, seguendo tale discorso, Parmenide può benissimo essere considerato il primo logico, ossia il primo autore ad essersi posto il problema delle regole razionali da rispettare se si vuol pensare in modo sensato, ossia in modo conforme al lógos. In merito, soddisfacenti appaiono le parole di Odifreddi:
il ragionamento di Parmenide, per quanto elementare, si basava implicitamente su tre ingredienti niente affatto banali, che sono poi entrati a far parte del bagaglio degli attrezzi della logica. Primo: dire che «il non essere non è l'essere» significa dare una definizione di verità della negazione («il non essere è») come falsità del negato («non è l'essere»). Secondo: dire «il non essere è il non essere» significa affermare il principio di identità, secondo cui ogni cosa è uguale a se stessa. Terzo: dire che «il non essere non può allo stesso tempo essere e non essere» significa intravedere il principio di non contraddizione, secondo cui una cosa non può allo stesso tempo avere e non avere una stessa proprietà.27
Dello stesso tenore Geymonat:
[la grandezza di Parmenide sta] nell'aver posto in primo piano il problema della verità del linguaggio e del pensiero, il problema della «via», cioè del metodo, che linguaggio e pensiero dovevano percorrere per giungere alla realtà.28
Ancora, aggiunge Borzacchini:
Nella nostra scienza moderna siamo tanto abituati alla granitica «bivalenza» vero/falso, un aut-aut rigido dominato dal principio di non contraddizione e dal principio del terzo escluso.29
Pertanto, l'origine della 'logica' appare del tutto analoga, sia pure su un piano diverso, a quella della filosofia: come la filosofia mira a trovare un fondamento che conferisca certezza e validità alle nostre conoscenze, così la 'logica' mira a trovare un fondamento cognitivo che conferisca certezza e validità alle nostre elucubrazioni, ai nostri pensieri, ai nostri ragionamenti.
D'altra parte, è comunque innegabile che sussista un certo isomorfismo tra pensiero e linguaggio. Come sostiene Bordoni:
il pensiero si esprime nel lógos apofantico.30
Questa è un'espressione linguistica dovuta alla perfetta coincidenza aristotelica, ma già parmenidea, tra il pensieroe il linguaggio. Infatti, aggiunge Bordoni:
strutturale corrispondenza o isomorfismo tra pensiero e linguaggio.31
In altre parole,
Aristotele dice cioè che le forme semantiche del linguaggio, ovvero nome, verbo, enunciato, sono corrispettivi delle forme del pensiero, cioè concetti e proposizioni: alla presenza delle une nel linguaggio deve corrispondere la presenza delle altre nell'anima.32
A ciò si aggiunga quanto sostiene Reale:
la verità (o la falsità) non è mai nei termini singolarmente presi, ma solo nel giudizio che li connette, e nella proposizione che esprime tale connessione.33
Tuttavia, sostiene ancora Borzacchini:
di fronte al termine logos dobbiamo cercare di trovare un senso del termine che ci dia conto da un lato dell'amplissimo spettro di significati, «discorso», «ragione», «enunciato», «definizione», «rapporto matematico», e dall'altro lato delle radici lessicale ed etimogologiche, derivate da lego, «porre», «giacere», «prendere», «raccogliere», «contare».34
Seguita la provocazione concettuale della polisemia costitutiva della parola 'logica', è adesso opportuno porsi la seguente questione: possiamo derivare dei risultati sensati dal discorso sin qui condotto? In altri termini, al di là delle difficoltà mostrate, quante logiche sono davvero possibili?
2. Quanti tipi di 'logica'?
Durante la sezione precedente si è giunti ad asserire che di logica non ne esiste una sola, analogamente a come sono possibili innumerevoli modi di esprimere il lógos. Allora, se 'logica' si dice in molti modi, quante logiche sono possibili? Sostiene, infatti, Dalla Chiara Scabia:
Il termine logica viene usato indubbiamente con molti sensi diversi.35
Tutto ciò è certamente sorprendente se si pensa che la 'logica' possiede una storia molto lunga. Infatti, come afferma Quine:
la logica è una materia molto vecchia, e dal 1879 ha rivestito una grande importanza. Ce n'è da riempire molti libri.36
Dunque, esistono almeno due scuole di pensiero le quali veicolano altrettanti significati del termine 'logica', una diversità semantica nella misura in cui si conferisca maggiore rilevanza a valori diversi. La D'Agostini precisa:
«Logica» per la tradizione trascendental-dialettica e per la filosofia che più o meno direttamente vi si collega ha in particolare due significati degni di essere considerati separatamente: designa la teoria dell'inferenza valida (dunque il significato che viene poi ereditato dalla logica come disciplina autonoma) e la teoria del «logico», ossia l'indagine sugli oggetti del pensiero puro (concetti, numeri, categorie, strutture, idee) ».37
E
Nella tradizione analitica, per «logica» senza ulteriori specificazioni si intende senz'altro logica formale (...) l'idea di «logica filosofica» sopravvive nelle seguenti varianti: a) locuzione impropria di «filosofia della logica», ossia: riflessione informale sulla semantica formale, sulla natura degli operatori logici e il loro legame con il linguaggio naturale, sui problemi in largo senso «filosofici» sollevati dai formalismi e dal loro uso; b) applicazione degli strumenti della logica formale (standard o non-standard) ad argomenti tradizionalmente detti «filosofici» (...); c) esplicazione delle strutture del linguaggio naturale; d) «filosofia del pensiero».38
Nella misura in cui la parola 'logica' deriva dal greco 'lÒgoj', è possibile darne una definizione chiara e, possibilmente, univoca? A tutta prima, sembra proprio di no. Infatti, la ricerca di quei principi primi della ragione di cui s'è detto in precedenza può assumere varie forme, per non dire anche svariate sfumature semantiche. Molto brevemente, sembra di poter isolare i seguenti vari tipi di ricerca logica:
- studio (e conoscenza) del lógos;
- studio delle argomentazioni;
- studio della 'ragion pura';
- studio dell'«essere puro»;
- ricerca della cd. 'leggi del pensiero'.
Se si individuano alcune tipologie di lavoro logico, è possibile farsi un'idea, più o meno completa, sia pure in maniera derivata, di che cosa sia la 'logica'.
Il primo tipo caratterizza la scienza logica come una tensione conoscitiva volta a conoscere tutti gli aspetti, che abbiamo visto essere diversi e numerosi, del lógos. Di conseguenza, una 'logica' così intesa non è molto diversa dalla sua considerazione medievale: è 'logica' la modalità di pensiero che assume, come non scindibili tra loro, linguaggio,episteme e grammatica.
Il secondo tipo caratterizza la disciplina logica come uno studio (esclusivo) delle argomentazioni frutto della ragione umana e, quindi, dell'attività giudicante umana. In questo caso, compito della 'logica' sarebbe indicare le condizioni in forza delle quali la ragione umana formula argomentazioni sensate.
Il secondo tipo caratterizza la 'logica' quale uno studio della facoltà umana di giudicare, prima ancora che quest'ultima venga in contatto con i dati sensoriali. In merito, è bene aggiungere quanto segue: si utilizza una terminologia sicuramente d'altri tempi, ma v'è un diretto riferimento al lessico kantiano. Infatti, nelle parole di Kant:
Il giudizio dunque è la conoscenza mediata di un oggetto, e però la rappresentazione di una rappresentazione del medesimo. In ogni giudizio c'è un concetto che si conviene a molti, e che tra questi molti comprende anche una rappresentazione data, la quale ultima vien riferita immediatamente all'oggetto.39
Il terzo tipo configura la scienza logica quale una disciplina che intende individuare i principi primi della ragion pura, quegli stessi che, in modo alquanto misterioso, valgono anche per l'essere in quanto tale. Una prospettiva che, in modo certamente sorprendente, è possibile rinvenire anche nel cosiddetto «primo Wittgenstein». Infatti, come scrive Gargani:
La logica [...] rappresenta l'immagine speculare del mondo nel senso che ne rispecchia le proprietà formali alle quali sono simmetricamente coordinati i termini e le strutture del simbolismo.40
La novità introdotta da Wittgenstein sta tutta qui: approfondire la concezione tradizionale della verità, introducendo limitazioni semiotiche alla stessa. V'è da dire, comunque, che Wittgenstein riprende, nella sua speculazione, i risultati raggiunti dall'indagine logica da parte di Frege il quale nella sua giustamente celebreIdeografia
Propone dunque di sostituire l'analisi «soggetto-predicato» degli enunciati con l'analisi «argomento-funzione»: un enunciato viene pensato come l'applicazione di una funzione ad uno o più argomenti, non come la predicazione di qualcosa in relazione ad un soggetto.41
Questo perché sempre secondo Mariani
Nella logica tradizionale erano compresenti due nozioni di soggetto, una ontologica [...] ed una «linguistica» (soggetto è ciò attorno a cui verte l'enunciato, e che è normalmente espresso da un termine in posizione di soggetto grammaticale).42
Il quarto tipo di 'logica' considera la materia come lo studio delle proprietà prime dell'essere, da intendere non tanto come la realtà che viviamo quotidianamente quanto piuttosto come la realtà che siamo in grado di pensare, di raffigurarci mentalmente, la realtà, per dirla à la Lévinas, che viene all'idea. Ma 'venire all'idea' vuol dire, detto in altri termini, che la nostra ragione sia in grado di rappresentarsi mentalmente la realtà, che possegga cioè le facoltà per farlo, le risorse necessarie. In questo modo, ad essere tematizzata, però, non è più la realtà in sé, ma la realtàper aliud, per come, cioè, viene pensata dalla ragione umana. In questo modo, infatti, la 'logica' studierebbe come il pensiero percepisce, ossia, pensa, la realtà, sotto la forma di un essere puro, l'unica determinazione accettabile da un punto di vista fenomenologico, in una pura ottica intenzionale. In termini molto schietti, tuttavia, questo è il tipo meno probabile di logica, molto probabilmente perché eccessivamente confuso con questioni d'altro genere, come, ad esempio, la teoria gnoseologica oppure la teoria delle mente, e così via. Se di logica si vuol parlare, è certamente una logica ibrida, mista a considerazioni e categorie d'altro genere.
Il quinto tipo di 'logica', invece, salva tutte le presupposizioni dei precedenti tipi e consente, al tempo stesso, di sviluppare una nozione comprensiva certamente sensata. In questo caso, infatti, la 'logica'è quella disciplina che mira ad individuare le principali leggi di funzionamento della ragione umana, quelle stesse il cui rispetto assicuravalidità, certezza e chiarezza ai nostri pensieri, ai nostri ragionamenti, alle nostre argomentazioni.
Il lógos, dunque, funziona secondo precise leggi, intese anche con la locuzione 'leggi del pensiero': specifiche facoltà mentali, le quali sono formalizzabili in vere e proprie verità logiche.
3. Conclusioni
A questo punto è possibile trarre alcune conclusioni dal discorso sin qui condotto. Avendo seguito la provocazione iniziale, secondo la quale lógos si dice in molti modi, in quanto si può parlarne solo nella misura in cui si è disposti a confrontarsi con la zona oscura della teoretica umana, quella che mette in relazione diretta tra loro il pensiero, illinguaggio, e l'essere, è emerso come esista una pluralità di significati attribuibili alla parola di cui s'intende indicare l'orizzonte semantico. Di conseguenza, nella misura in cui la 'logica'è uno studio del lógos, allora è vero anche che esistano molte logiche possibili, molti possibili tipi di logica. L'esame delle singole proposte dei vari autori nel corso dei secoli, consente, però, di isolarne un tipo il quale, facendo salve le esigenze alla base della suddetta polisemia di partenza, appare essere quello più adatto, più funzionale, a render conto della maniera concreta mediante cui gli uomini riescono a distinguere tra verità e falsità, tra certezza ed errore. Pertanto, è possibile concludere il discorso condotto in questa sede fornendo una risposta alla questione di partenza: la logica vuol dire individuare le leggi di funzionamento della nostra ragione, a partire dalle quali è possibile assicurare validità, certezza e chiarezza ai nostri pensieri, ai nostri ragionamenti, così come alle nostre argomentazioni.
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Copyright © 2010 Alessandro Pizzo
Alessandro Pizzo. «Logica si dice in molti modi. Un viaggio concettuale dentro la ragione umana». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 12 (2010) [inserito il 20 dicembre 2010], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [55 B], ISSN 1128-5478.
Copyright © Dialegesthai 2010 (ISSN 1128-5478)
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