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Il recente volume di Salvadori mette a fuoco alcune delle caratteristiche delle moderne democrazie occidentali: l'aver sacralizzata la democrazia come l'unica forma possibile di governo dello Stato dimenticando che la concreta sostanza del proprio viver civile non è affatto democratica.
Il ragionamento seguito dall'autore è disarmante nella sua semplicità: se lo Stato nasce storicamente come limitazione del potere economico, lo strapotere attuale delle oligarchie economiche mette in forse l'esistenza stessa dello Stato. E questo proprio mentre quest'ultimo celebra con ogni mezzo la liturgia della democrazia, la miglior forma di governo. Allora, se dice di sé di essere democratico, in realtà non lo è dato che il vero potere non è nelle mani di "tutti", ma solo di "pochi".
In realtà, non m'interessa in questa sede recensire il presente testo, ma trarne alcuni spunti.
Ad esempio, Salvadori mette in luce, bene a mio modesto modo di vedere, l'erosione dello Stato da parte di varie forze e vari movimenti. La cosiddetta "globalizzazione" è, seguendo questo punto di vista, un fenomeno molto complesso e stratificato: la delocalizzazione economica, congiunta con una scomparsa di confini nazionali, sottrae esercizio di sovranità agli elettori di un dato Stato. Ciò comporta anche il sorgere, quasi spontaneo, di fenomeni, più o meno marcati, di razzismo, di ostilità verso i "diversi", equiparati a "nemici", capaci di peggiorare il nostro stile di vita, di attentare alla nostra sicurezza, di toglierci il lavoro, e così via. Una spirale perversa frutto della circolazione delle élites, di quei pochi che davvero controllano il potere pubblico.
Ma vi è ancora un elemento da prendere in considerazione: la scomparsa di un'idea condivisa di "bene pubblico". Quell'egoismo, sociale, fiscale, contributivo, territoriale, che tutti noi abbiamo sotto gli occhi, e che assume di volta in volta forme e colori diversi, dai "Notav" ai "padani", e così via, affonda le proprie radici nel medesimo fenomeno di erosione dello Stato, ossia della "cosa pubblica", della "res publica", sempre più fatta a pezzi e commercializzata, per non dire cannabilizzata, da opposti, e non mediati, interessi personali. Forse, è questa la "vera" questione morale del Paese, o forse, invece, è l'altra faccia della stessa medaglia. Francamente non lo so, ma mi limito a registrare queste impressioni.
Se lo Stato non è in grado di comporre i contrasti e gli opposti interessi legittimi, quale democrazia potrà salvarci? E se questo appare quasi l'esito ineluttabile di un'evoluzione storica - anche se forse potrebbe pure non essere così - qual è il futuro della democrazia?
Leggendo il testo di Salvadori si ha la spiacevole sensazione di vivere in una condizione doppia, un nobile sogno o un incubo, a seconda dello specifico punto di vista che si sia abbracciato.
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