Recensione a: M. Du Santoy,
L’enigma dei numeri primi, Rizzoli, Milano, 2004
Come
spesso accade, i libri migliori sono quelli che casualmente capitano
tra le mani. Quel che è rilevante è che l’Enigma dei numeri
primi è una lettura stimolante e in gran parte affascinante.
Volendola definire in qualche modo, si potrebbe dire che si tratta di
una storia romanzata della matematica occidentale. Oppure, si
potrebbe non volerla definire, e considerarla soltanto quale una
presentazione dell’avventurosa ricerca matematica compiuta dal
genere umano. Forse così entrambe le esigenze sono fatte salve.
Comunque, il testo scritto da Du Santoy è certamente una perla,
divorata avidamente dal momento della scoperta, ma scoperta solo
qualche anno dopo la pubblicazione italiana. Questo a ragione della
provvida casualità che ha reso possibile l’incontro con una
pubblicazione da tenere religiosamente presente assisa nella propria
biblioteca.
È
interessante per la filosofia una disamina della ricerca matematica?
Per di più, intorno ad un argomento oltremodo settoriale e
specialistico quale quello della natura dei numeri primi? Ai tempi
dei primi filosofi certamente sì, oggi, quando, cioè, in molti
asseriscono essersi separate le vie della prima e le vie della
seconda, ugualmente sì. Infatti, sebbene si tratti di materie
diverse, non altrettanto si può sostenere che siano due materie
irrelate tra loro. Anzi, si farebbe un torto alla propria
intelligenza pensandola così. Peraltro, la separazione succitata,
tra scienze esatte e scienze umane, è sottoposta ad
una continua critica e ad un biasimo crescente. Forse, dopo il tempo
dell’enfasi posta sulla specializzazione, e conseguente divisione
del lavoro, ci s’è accorti che, in realtà, la separazione porta
non solo buoni frutti ma anche frutti avvelenati, tali da richiedere
un parziale passo indietro, un parziale ritorno all’unità
originaria. Infatti, matematica e filosofia promanano
dall’unica e comune funzione universale dell’essere umano:
l’intelligenza. Così, secondo il presente punto di vista,
calcolare e pensare non possono venir considerate in
abstracto come due funzioni separate, ma, al contrario, vanno
intese intimamente relate.
È
interessante per la filosofia l’argomento del libro, e per uno
svariato numero di ragioni, succintamente: (1) vigente la succitata
unità di matematica e filosofia, il problema dei numeri primi
è importante per il pensiero; (2) la continua sfida posta
all’intelligenza dall’enigma dei numeri primi necessita un
ulteriore progresso dell’intelligenza e dei suoi relativi strumenti
formali; (3) la continua sfida posta all’intelligenza dalla natura
problematica dei numeri primi comporta un continuo tornare a
pensare da parte della razionalità umana. Come si vede, la
serie di ragioni addotte (1) – (3), alcune tra le tanti che si
potrebbero indicare, impone che la filosofia si ponga il problema dei
numeri primi, e come una questione di (filosofia della)
matematica e come un problema attinente più strettamente ai limiti
formali del pensiero umano.
Forse,
capita di osservare come la nostra giornata sia regolata secondo un
ritmo ben preciso: giorno e notte. Lo sapevano bene anche gli
antichi, ma quando ce ne accorgiamo, uscendo dalla mera ripetitività
quotidiana, ecco allora che si può fare esperienza dell’aristotelica
meraviglia. Se si considera che questo ritmo si ripete per un
intero anno, ossia per 365 volte, ecco che la bellezza assume un
aspetto diverso da prima. Se poi si aggiunge che ciò accade per
secoli, ossia per centinaia di altre volte, l’esperienza estetica
assume connotazioni ulteriori. Se poi si riflette anche sul fatto che
il singolo momento di tale ritmo, ad esempio il giorno, è calibrato
su sottofasi, a loro volta secondo sequenze ben ordinate, ecco allora
che il concetto stesso di ritmo deve essere riformulato. Un suo
esempio certamente caratteristico è costituito dalla musica:
esecuzione regolata di battiture in maniera armonica. Anche in questo
caso, lo sapevano bene gli antichi, al punto che un tale Alcmeone di
Crotone, certamente un adepta della setta pitagorica, formulò lo
strano pensiero secondo il quale mediante la musica sarebbe possibile
curare la gente. Infatti, l’armonia musicale avrebbe potuto
ristabilire l’armonia perduta del corpo malato. Oggi, appare una
scempiaggine, con l’evidente peccato dell’ingenuità. Tuttavia, è
bene osservare come questo pensiero sia alla base della cosiddetta
musicoterapia. Certo non si tratta più di ristabilire armonie
perdute, ma solo di costituire delle comunità di relazioni. La
bellezza di un’armonia è data da un ritmo, ossia da una sequenza
precisa che si ripete nell’arco di un certo tempo. Questo in
termini molto generali. Pensando alla matematica, si sa bene che i
numeri assumono una sequenza precisa: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, etc. Un divenire cumulativo frutto della successiva addizione di
ciascun numero al numero uno. Per esempio, avendo 2 vi si somma 1 e
si ottiene il numero successivo della serie: 3. E così via. Si sa
anche che alla sinistra di 0 v’è una numerazione opposta, di
natura negativa: -1, -2, -3, -4, -5, -6, -7, -8, -9, -10, etc. Questi
ultimi prendono il nome di numeri negativi mentre i precedenti
il nome di numeri positivi. Immaginando ora di disporre
graficamente i numeri positivi e i numeri negativi, si ha la seguente
retta dei numeri:
- ∞ ... -8 | -7 | -6 | -5 | -4 | -3 | -2 | -1 | 0 | +1 | +2 | +3 | +4 | +5 | +6 | +7 | +8 … +∞
Stando
così le cose, sembrerebbe che di nessuna importanza sia la questione
dei numeri primi. Al contrario, «L’ipotesi di
Riemann è un problema centrale per l’intera matematica» (p. 9).
Infatti, con la suddetta ipotesi si tenta «di comprendere gli
oggetti più fondamentali della matematica: i numeri primi» (p. 14).
È tramite di essi che si costruisce l’intero edificio
dell’aritmetica, essi «hanno il potere di costruire tutti gli
altri numeri» (p. 15). Infatti, qualsiasi numero intero che non sia
primo «può essere costruito moltiplicando questi elementi di base
primari» (p. 15), «ogni numero è un prodotto di numeri primi» (p.
69). Ma nonostante la loro apparente semplicità, «i numeri primi
restano gli oggetti più misteriosi studiati dai matematici» (p.
15). Oltre alla loro capacità di produrre l’intero spettro dei
numeri, sinora non si è riuscito a formulare un modello completo che
consenta di spiegarne l’origine numerica. Se, infatti, si pone
mente per un attimo alla loro sequenza si avrà l’impressione di un
ordine casuale, non matematicamente quantificabile:
2
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3
|
5
|
7
|
11
|
13
|
17
|
19
|
23
|
29
|
31
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37
|
41
|
43
|
47
|
53
|
59
|
61
|
67
|
71
|
73
|
79
|
83
|
89
|
97
|
101
|
103
|
107
|
109
|
113
|
127
|
131
|
137
|
139
|
149
|
151
|
157
|
163
|
167
|
175
|
179
|
181
|
191
|
193
|
197
|
199
|
211
|
223
|
227
|
229
|
233
|
239
|
241
|
251
|
257
|
263
|
269
|
271
|
277
|
281
|
283
|
293
|
307
|
311
|
313
|
317
|
331
|
337
|
347
|
349
|
353
|
359
|
367
|
373
|
379
|
383
|
389
|
397
|
401
|
409
|
+∞
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In
Wikipedia, l’enciclopedia libera di internet, è presente una gif
animata (reperibile all’indirizzo:
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Animation_Sieve_of_Eratosth-2.gif)
che simula la ricerca dei numeri
primi.
Fu
Riemann il primo ad intravedere la presenza di una nascosta armonia
dietro tale ordine. Un’intuizione sfortunatamente rimasta senza
dimostrazione matematica e tale da affascinare nei secoli i
matematici. Chi sarà in grado di dimostrarla «sarà in grado di
spiegare perché i numeri primi danno un’impressione così
convincente di casualità» (p. 23), in modo da trovare «una
spiegazione all’apparente caos dei numeri primi» (p. 24), «una
procedura molto rapida e assolutamente certa per individuare un
numero primo» (p. 26). Prima di Riemann già i greci nel IV sec. a.
C. compresero «che ogni numero primo poteva essere creato
moltiplicando fra loro dei numeri primi» (p. 46). Ma restava loro
occulta la ragione di ciò. In particolar modo, quale dovesse essere
il numero seguente nella successione. Molti secoli dopo, lo stesso
Gauss, nei suoi studi astronomici si scontrò con la medesima
difficoltà dei numeri primi: «non riusciva a scorgere alcuna regola
che gli dicesse di quanto avrebbe dovuto saltare per trovare il
numero primo successivo» (p. 48). I matematici hanno, allora,
cercato una procedura che consentisse di individuare l’ordine di
successione dei numeri
primi.
In termini filosofici, ciò consiste anche nel rendere conto della
natura stessa dei numeri
primi.
Si cercava un algoritmo, una funzione, una formula matematica adatta
all’uopo. Un esempio è costituito dalla formula di Fibonacci: «si
calcola ciascun numero sommando i due che lo precedono» (p. 52). In
questo modo, avendo i numeri 2 e 3 il prossimo della lista sarà 5.
Successivamente, avendo i numeri 3 e 5 il successivo sarà 8. E così
via. Solo che i numeri di Fibonacci non corrispondono puntualmente ai
numeri
primi.
In effetti, la «formula per generare i numeri di Fibonacci si basa
su un numero speciale chiamato rapporto
aureo,
un numero che comincia con 1,618 03…» (p. 53). Una sorta di π per
generare la sequenza numerica. La quasi ossessione dei matematici per
la formulazione di una funzione in grado di spiegare l’ordine dei
numeri primi si spiega con la necessità
di dimostrare un’ipotesi che è colta intuitivamente. Infatti,
fintantoché non viene dimostrata un’intuizione resta relegata
nell’alveo dell’irrazionale, e non può in alcun modo entrare a
far parte del regno della conoscenza. Sebbene esistano regole e
metodi ben precisi per produrre dimostrazioni, la «matematica è
un’arte creativa» (p. 67). Nello specifico, poi, i «numeri primi
sono come le note di una scala musicale, e ciascuna cultura ha scelto
di suonare queste note nel proprio modo specifico» (p. 67). Ora
trovare una procedura certa di individuazione dei singoli numeri
primi in un punto imprecisato della serie consente di «conoscere il
modo per salire una scala infinita senza dover portare a termine
fisicamente l’impresa» (p. 71). Da qui, dunque, l’importanza
della sfida matematica: mettere a punto una procedura che spieghi la
struttura dei numeri primi. Il primo a darle la caccia fu Euclide.
Successivamente, vi provarono Hardy, Gauss, Fermat ed Eulero. Fu,
tuttavia, Bernhard Riemann a cogliere l’essenza del problema, e lo
fece interessandosi inizialmente ai numeri immaginari, via per
ovviare allo scandalo pitagorico dei numeri irrazionali. Infatti, i
«numeri irrazionali e i numeri negativi ci permettono di risolvere
molte equazioni diverse» (p. 127). In più, arrischiscono la retta
dei numeri. Ad esempio, √2
si colloca tra il numeri +1 e +2. Invece, ½ tra i numeri 0 e +1.
Introdurre i numeri immaginari, a dispetto dell’iniziale
impressione fantastica, consente di risolvere un maggior numero di
equazioni, ossia di combinazioni numeriche, finendo con l’arricchire
l’insieme dei numeri. Infatti, a seguito della loro scoperta, si è
etichettato l’insieme complessivo dei numeri con il nome di numeri
reali,
comprendendo in essi, quelli positivi,
negativi
e irrazionali.
Così, il problema dei numeri irrazionali veniva superato. Infatti,
ogni «equazione aveva una soluzione che consisteva in una
combinazione di ordinari numeri reali (cioè le frazioni e i numeri
irrazionali) e di questo nuovo numero, i» (p. 129). Così,
l’importanza di Riemann è presto detta: «aveva scovato un
passaggio che conduceva dal mondo familiare dei numeri a una
matematica che sarebbe parsa assolutamente aliena ai matematici greci
che avevano studiato i numeri primi duemila anni prima di lui» (p.
155). In altri termini, era come passare attraverso lo specchio, per
dirla elegantemente con Lewis Carroll, non a caso ingegno logico. I
matematici «hanno usato il linguaggio della matematica per allenare
le loro capacità di visualizzazione mentale, in modo che li aiuti a
«vedere» simili strutture» (p. 157). D’altra parte, la
matematica, come qualsiasi altra scienza rigorosa, è un linguaggio
formale
che mediante un lessico adeguato sia in grado di render conto delle
ragioni dei numeri. Il problema, semmai, è stato quello di costruire
di volta in volta, passo per passo, tale linguaggio.
Il
contributo di Riemann è stato quello di spostare il discorso dai
numeri primi «situati a livello del mare» (p. 179) ai numeri primi
collocati «sulla mappa del mondo immaginario» (p. 179). Ciascun
punto consisteva in un’onda, «una nota emessa da un qualche
strumento matematico» (p. 179). Il segreto dell’armonia nascosta
dei numeri primi, «Riemann aveva finalmente individuato la
misteriosa struttura che per secoli e secoli i matematici avevano
desiderato ardentemente di scorgere mentre osservavano i numeri
primi» (p. 182), di colpo «l’enigma della casualità dei numeri
primi nel mondo reale è stato sostituito dal tentativo di
comprendere l’armonia di questo paesaggio immaginario oltre lo
specchio» (p. 183). In altri termini, «Riemann aveva capito che
cercare di comprendere le strutture e gli schemi alla base del mondo
matematico era più proficuo che concentrarsi su formule e calcoli
noiosi» (p. 196). Prima di Riemann, comunque, fu Hilbert ad
indirizzare la scienza matematica verso le equazioni e le formule non
esplicite. Egli, infatti, «considerava irrilevante la realtà fisica
degli oggetti» (p. 201), indirizzandosi a «studiare le connessioni
e le strutture astratte» (p. 201). Un aiuto gli venne dalla
precedente scoperta delle cosiddette geometrie non euclidee.
Infatti, Hilbert «capì che un forte nesso logico legava geometria
non euclidea e geometria euclidea» (p. 204): le geometrie non
euclideee potevano contenere delle contraddizioni nel caso in cui
«anche la geometria euclidea ne conteneva» (p. 204). In altri
termini, la modifica dell’assiomatica euclidea, in particolar modo
quello relativo «all’esistenza di rette parallele» (p. 201), non
comportava l’incoerenza della conoscenza matematica, ma il suo
potenziamento. Infatti, «la scoperta di Hilbert significava che quei
modelli non euclidei dovevano poggiare sulle stesse fondamenta
logiche» (p. 204) dei modelli euclidei. Le sue considerazioni «sui
fondamenti stessi della disciplina gli fornirono la piattaforma da
cui lanciare questa nuova pratica di una matematica astratta» (p.
206). Partecipando, poi, al Congresso Internazionale di Matematica
del 1900 egli indicò nella soluzione del problema dei numeri
primi una delle principali sfide della matematica. Una sfida,
però, tutt’oggi non vinta. Una possibile strategia vincente è
stata intuita da Riemann, ma senza che si sia tradotta in una
accettabile dimostrazione matematica.
Nel
XX sec. la ricerca continuò, ma senza quell’ingegno che la
prematura scomparsa di Riemann privò per sempre la matematica. Su
questa linea si collocano i tentativi di Ramanujan, Siegel e Selberg.
Poi, come spesso accade, il vento di guerra interruppe bruscamente
l’evoluzione della matematica europea, spostando negli USA la
ricerca vera e propria, anche per venire incontro ad esigenze di
sostentamento assai più impellenti di quelle della conoscenza.
Un’ultima
eccezione è costituita dall’estro di Turing, genio a disposizione
della causa alleata contro il nazismo, e si suoi codici militari di
comunicazione. Il suo nome, infatti, «sarà sempre associato alla
decifrazione di Enigma, il codice segreto usato dai tedeschi durante
la Seconda Guerra mondiale» (p. 321). Perché Turing nell’attuale
problematica? Perché il «suo sogno era che quel marchingegno
meccanico potesse avere il potere di dimostrare l’infondatezza del
problema che, fra i suoi ventitré problemi, Hilbert preferiva:
l’ipotesi di Riemann» (p. 322). L’idea di Turing era di
trasferire in una macchina l’idea formulata anni prima da Hilbert:
«una procedura meccanica che potesse essere applicata all’equazione
e rispondere «sì» oppure «no» alla domanda «questa equazione ha
soluzioni?» senza bisogno di alcun intervento da parte di un
operatore» (p. 335). In altri termini, Hilbert aveva concepito un
software in assenza dell’hardware, ossia della
macchina in grado di mandarlo in esecuzione. Turing, invece, si
rivolse alla progettazione del modello di una macchina universale in
grado di computare, ossia di calcolare in maniera analoga al pensiero
umano, «una macchina calcolatrice universale che potesse essere
programmata per eseguire una gran varietà di compiti» (p. 352). Un
passo importante nella storia dell’informatica, un momento della
ricerca attorno ai numeri primi. Infatti, il «successo di Turing
nella progettazione delle macchine per decrittare Enigma deve
qualcosa al suo apprendistato nel calcolo degli zeri della funzione
zeta di Riemann» (p. 351). Il retroterra culturale sul quale si
muoveva Turing comunque era quello introdotto da Gödel, secondo cui
«la matematica non era stata in grado di dimostrare l’ipotesi di
Riemann perché i suoi assiomi non erano sufficienti a farlo» (p.
333). L’idea di Turing avrebbe aiutato in ciò? Sicuramente sì,
visto che dato «un insieme di assiomi e alcune regole di deduzione,
è possibile istruire un computer in modo che sforni teoremi
matematici a bizzeffe» (p. 387). E non è un caso, infatti, che i
principali avanzamenti nella ricerca sui numeri primi siano provenuti
dai laboratori di ricerca dei colossi informatici, l’AT&T in
primis: è mediante la potenza di calcolo degli apparati
informatici che il lavoro creativo del matematico può essere
potenziato. La decrittografia di Turing prima, la crittografia oggi
al tempo di Internet, richiede potenza di calcolo che solo le
macchine sono in grado di fornire. Ma la struttura di calcolo alla
base dei procedimenti di decrittazione dei codici e di crittografia è
il medesimo algoritmo fondamento della trasmissione delle
informazioni, in poche parole: dell’informatica. E gli stati
elettrici alla base del trattamento informatico delle informazioni si
realizzano in termini matematici. E qui si torna al problema di
partenza: qual è la struttura dei numeri primi?
Stranamente,
un aiuto provenne alla teoria dagli straordinari progressi della
fisica. Infatti, un avanzamento nella ricerca sui numeri primi
fu reso possibile dalla teoria del caos quantistico. In
altri termini, la frequenza dei numeri primi poteva essere
considerata alla stregua di altrettanti quanti di energia. Un ritmo
musicale che si colloca al punto di congiunzione tra i livelli
energetici e gli elettroni di un atomo. Alla stessa maniera, la
progressione matematica mostrava un’evidente analogia statistica,
secondo la visione di Diaconis. Tuttavia, l’incontro di matematica
e fisica quantistica condusse ad interpretare in termini fisici
l’ipotesi di Riemann: «l’esistenza di una musica insita nei
numeri primi» (p. 517). Infatti, «Riemann aveva trasformato i
numeri primi in funzioni d’onda» (p. 517), mentre Berry, da
fisico, tradusse queste onde in suoni reali. Era, forse, la
dimostrazione principale «del fatto che l’ipotesi di Riemann ha
qualcosa a che fare con il caos quantistico» (p. 523)? Probabilmente
sì.
Ad
ogni modo, è certo che «nel corso degli ultimi cinquant’anni, lo
stesso linguaggio della matematica è andato incontro ad una profonda
evoluzione che è tuttora in corso, e molti ricercatori sono convinti
che fino a quando questo processo non sarà completato, non avremo a
disposizione un linguaggio sufficientemente avanzato per articolare
una spiegazione del perché i numeri primi si comportano secondo
quanto predetto dall’ipotesi di Riemann» (p. 538).
Per
concludere, Riemann ha sollevato parzialmente il velo d’ignoranza
sui numeri primi, ma ha lasciato ai posteri il compito,
tutt’ora inevaso, di fornire una dimostrazione matematica della sua
ipotesi sulla loro natura. Un impegno che non manca di affascinare
l’umana intelligenza.
(immagine tratta da: http://img3.libreriauniversitaria.it/BIT/240/843/9788817008433.jpg)
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