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mercoledì 5 settembre 2012

L'enigma dei numeri primi



Recensione a: M. Du Santoy, L’enigma dei numeri primi, Rizzoli, Milano, 2004



Come spesso accade, i libri migliori sono quelli che casualmente capitano tra le mani. Quel che è rilevante è che l’Enigma dei numeri primi è una lettura stimolante e in gran parte affascinante. Volendola definire in qualche modo, si potrebbe dire che si tratta di una storia romanzata della matematica occidentale. Oppure, si potrebbe non volerla definire, e considerarla soltanto quale una presentazione dell’avventurosa ricerca matematica compiuta dal genere umano. Forse così entrambe le esigenze sono fatte salve. Comunque, il testo scritto da Du Santoy è certamente una perla, divorata avidamente dal momento della scoperta, ma scoperta solo qualche anno dopo la pubblicazione italiana. Questo a ragione della provvida casualità che ha reso possibile l’incontro con una pubblicazione da tenere religiosamente presente assisa nella propria biblioteca.


È interessante per la filosofia una disamina della ricerca matematica? Per di più, intorno ad un argomento oltremodo settoriale e specialistico quale quello della natura dei numeri primi? Ai tempi dei primi filosofi certamente sì, oggi, quando, cioè, in molti asseriscono essersi separate le vie della prima e le vie della seconda, ugualmente sì. Infatti, sebbene si tratti di materie diverse, non altrettanto si può sostenere che siano due materie irrelate tra loro. Anzi, si farebbe un torto alla propria intelligenza pensandola così. Peraltro, la separazione succitata, tra scienze esatte e scienze umane, è sottoposta ad una continua critica e ad un biasimo crescente. Forse, dopo il tempo dell’enfasi posta sulla specializzazione, e conseguente divisione del lavoro, ci s’è accorti che, in realtà, la separazione porta non solo buoni frutti ma anche frutti avvelenati, tali da richiedere un parziale passo indietro, un parziale ritorno all’unità originaria. Infatti, matematica e filosofia promanano dall’unica e comune funzione universale dell’essere umano: l’intelligenza. Così, secondo il presente punto di vista, calcolare e pensare non possono venir considerate in abstracto come due funzioni separate, ma, al contrario, vanno intese intimamente relate.


È interessante per la filosofia l’argomento del libro, e per uno svariato numero di ragioni, succintamente: (1) vigente la succitata unità di matematica e filosofia, il problema dei numeri primi è importante per il pensiero; (2) la continua sfida posta all’intelligenza dall’enigma dei numeri primi necessita un ulteriore progresso dell’intelligenza e dei suoi relativi strumenti formali; (3) la continua sfida posta all’intelligenza dalla natura problematica dei numeri primi comporta un continuo tornare a pensare da parte della razionalità umana. Come si vede, la serie di ragioni addotte (1) – (3), alcune tra le tanti che si potrebbero indicare, impone che la filosofia si ponga il problema dei numeri primi, e come una questione di (filosofia della) matematica e come un problema attinente più strettamente ai limiti formali del pensiero umano.



Forse, capita di osservare come la nostra giornata sia regolata secondo un ritmo ben preciso: giorno e notte. Lo sapevano bene anche gli antichi, ma quando ce ne accorgiamo, uscendo dalla mera ripetitività quotidiana, ecco allora che si può fare esperienza dell’aristotelica meraviglia. Se si considera che questo ritmo si ripete per un intero anno, ossia per 365 volte, ecco che la bellezza assume un aspetto diverso da prima. Se poi si aggiunge che ciò accade per secoli, ossia per centinaia di altre volte, l’esperienza estetica assume connotazioni ulteriori. Se poi si riflette anche sul fatto che il singolo momento di tale ritmo, ad esempio il giorno, è calibrato su sottofasi, a loro volta secondo sequenze ben ordinate, ecco allora che il concetto stesso di ritmo deve essere riformulato. Un suo esempio certamente caratteristico è costituito dalla musica: esecuzione regolata di battiture in maniera armonica. Anche in questo caso, lo sapevano bene gli antichi, al punto che un tale Alcmeone di Crotone, certamente un adepta della setta pitagorica, formulò lo strano pensiero secondo il quale mediante la musica sarebbe possibile curare la gente. Infatti, l’armonia musicale avrebbe potuto ristabilire l’armonia perduta del corpo malato. Oggi, appare una scempiaggine, con l’evidente peccato dell’ingenuità. Tuttavia, è bene osservare come questo pensiero sia alla base della cosiddetta musicoterapia. Certo non si tratta più di ristabilire armonie perdute, ma solo di costituire delle comunità di relazioni. La bellezza di un’armonia è data da un ritmo, ossia da una sequenza precisa che si ripete nell’arco di un certo tempo. Questo in termini molto generali. Pensando alla matematica, si sa bene che i numeri assumono una sequenza precisa: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, etc. Un divenire cumulativo frutto della successiva addizione di ciascun numero al numero uno. Per esempio, avendo 2 vi si somma 1 e si ottiene il numero successivo della serie: 3. E così via. Si sa anche che alla sinistra di 0 v’è una numerazione opposta, di natura negativa: -1, -2, -3, -4, -5, -6, -7, -8, -9, -10, etc. Questi ultimi prendono il nome di numeri negativi mentre i precedenti il nome di numeri positivi. Immaginando ora di disporre graficamente i numeri positivi e i numeri negativi, si ha la seguente retta dei numeri:


  • ∞ ... -8 | -7 | -6 | -5 | -4 | -3 | -2 | -1 | 0 | +1 | +2 | +3 | +4 | +5 | +6 | +7 | +8 … +∞


Stando così le cose, sembrerebbe che di nessuna importanza sia la questione dei numeri primi. Al contrario, «L’ipotesi di Riemann è un problema centrale per l’intera matematica» (p. 9). Infatti, con la suddetta ipotesi si tenta «di comprendere gli oggetti più fondamentali della matematica: i numeri primi» (p. 14). È tramite di essi che si costruisce l’intero edificio dell’aritmetica, essi «hanno il potere di costruire tutti gli altri numeri» (p. 15). Infatti, qualsiasi numero intero che non sia primo «può essere costruito moltiplicando questi elementi di base primari» (p. 15), «ogni numero è un prodotto di numeri primi» (p. 69). Ma nonostante la loro apparente semplicità, «i numeri primi restano gli oggetti più misteriosi studiati dai matematici» (p. 15). Oltre alla loro capacità di produrre l’intero spettro dei numeri, sinora non si è riuscito a formulare un modello completo che consenta di spiegarne l’origine numerica. Se, infatti, si pone mente per un attimo alla loro sequenza si avrà l’impressione di un ordine casuale, non matematicamente quantificabile:


2
3
5
7
11
13
17
19
23
29
31
37
41
43
47
53
59
61
67
71
73
79
83
89
97
101
103
107
109
113
127
131
137
139
149
151
157
163
167
175
179
181
191
193
197
199
211
223
227
229
233
239
241
251
257
263
269
271
277
281
283
293
307
311
313
317
331
337
347
349
353
359
367
373
379
383
389
397
401
409
+∞











In Wikipedia, l’enciclopedia libera di internet, è presente una gif animata (reperibile all’indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Animation_Sieve_of_Eratosth-2.gif) che simula la ricerca dei numeri primi.



Fu Riemann il primo ad intravedere la presenza di una nascosta armonia dietro tale ordine. Un’intuizione sfortunatamente rimasta senza dimostrazione matematica e tale da affascinare nei secoli i matematici. Chi sarà in grado di dimostrarla «sarà in grado di spiegare perché i numeri primi danno un’impressione così convincente di casualità» (p. 23), in modo da trovare «una spiegazione all’apparente caos dei numeri primi» (p. 24), «una procedura molto rapida e assolutamente certa per individuare un numero primo» (p. 26). Prima di Riemann già i greci nel IV sec. a. C. compresero «che ogni numero primo poteva essere creato moltiplicando fra loro dei numeri primi» (p. 46). Ma restava loro occulta la ragione di ciò. In particolar modo, quale dovesse essere il numero seguente nella successione. Molti secoli dopo, lo stesso Gauss, nei suoi studi astronomici si scontrò con la medesima difficoltà dei numeri primi: «non riusciva a scorgere alcuna regola che gli dicesse di quanto avrebbe dovuto saltare per trovare il numero primo successivo» (p. 48). I matematici hanno, allora, cercato una procedura che consentisse di individuare l’ordine di successione dei numeri primi. In termini filosofici, ciò consiste anche nel rendere conto della natura stessa dei numeri primi. Si cercava un algoritmo, una funzione, una formula matematica adatta all’uopo. Un esempio è costituito dalla formula di Fibonacci: «si calcola ciascun numero sommando i due che lo precedono» (p. 52). In questo modo, avendo i numeri 2 e 3 il prossimo della lista sarà 5. Successivamente, avendo i numeri 3 e 5 il successivo sarà 8. E così via. Solo che i numeri di Fibonacci non corrispondono puntualmente ai numeri primi. In effetti, la «formula per generare i numeri di Fibonacci si basa su un numero speciale chiamato rapporto aureo, un numero che comincia con 1,618 03…» (p. 53). Una sorta di π per generare la sequenza numerica. La quasi ossessione dei matematici per la formulazione di una funzione in grado di spiegare l’ordine dei numeri primi si spiega con la necessità di dimostrare un’ipotesi che è colta intuitivamente. Infatti, fintantoché non viene dimostrata un’intuizione resta relegata nell’alveo dell’irrazionale, e non può in alcun modo entrare a far parte del regno della conoscenza. Sebbene esistano regole e metodi ben precisi per produrre dimostrazioni, la «matematica è un’arte creativa» (p. 67). Nello specifico, poi, i «numeri primi sono come le note di una scala musicale, e ciascuna cultura ha scelto di suonare queste note nel proprio modo specifico» (p. 67). Ora trovare una procedura certa di individuazione dei singoli numeri primi in un punto imprecisato della serie consente di «conoscere il modo per salire una scala infinita senza dover portare a termine fisicamente l’impresa» (p. 71). Da qui, dunque, l’importanza della sfida matematica: mettere a punto una procedura che spieghi la struttura dei numeri primi. Il primo a darle la caccia fu Euclide. Successivamente, vi provarono Hardy, Gauss, Fermat ed Eulero. Fu, tuttavia, Bernhard Riemann a cogliere l’essenza del problema, e lo fece interessandosi inizialmente ai numeri immaginari, via per ovviare allo scandalo pitagorico dei numeri irrazionali. Infatti, i «numeri irrazionali e i numeri negativi ci permettono di risolvere molte equazioni diverse» (p. 127). In più, arrischiscono la retta dei numeri. Ad esempio, √2 si colloca tra il numeri +1 e +2. Invece, ½ tra i numeri 0 e +1. Introdurre i numeri immaginari, a dispetto dell’iniziale impressione fantastica, consente di risolvere un maggior numero di equazioni, ossia di combinazioni numeriche, finendo con l’arricchire l’insieme dei numeri. Infatti, a seguito della loro scoperta, si è etichettato l’insieme complessivo dei numeri con il nome di numeri reali, comprendendo in essi, quelli positivi, negativi e irrazionali. Così, il problema dei numeri irrazionali veniva superato. Infatti, ogni «equazione aveva una soluzione che consisteva in una combinazione di ordinari numeri reali (cioè le frazioni e i numeri irrazionali) e di questo nuovo numero, i» (p. 129). Così, l’importanza di Riemann è presto detta: «aveva scovato un passaggio che conduceva dal mondo familiare dei numeri a una matematica che sarebbe parsa assolutamente aliena ai matematici greci che avevano studiato i numeri primi duemila anni prima di lui» (p. 155). In altri termini, era come passare attraverso lo specchio, per dirla elegantemente con Lewis Carroll, non a caso ingegno logico. I matematici «hanno usato il linguaggio della matematica per allenare le loro capacità di visualizzazione mentale, in modo che li aiuti a «vedere» simili strutture» (p. 157). D’altra parte, la matematica, come qualsiasi altra scienza rigorosa, è un linguaggio formale che mediante un lessico adeguato sia in grado di render conto delle ragioni dei numeri. Il problema, semmai, è stato quello di costruire di volta in volta, passo per passo, tale linguaggio.


Il contributo di Riemann è stato quello di spostare il discorso dai numeri primi «situati a livello del mare» (p. 179) ai numeri primi collocati «sulla mappa del mondo immaginario» (p. 179). Ciascun punto consisteva in un’onda, «una nota emessa da un qualche strumento matematico» (p. 179). Il segreto dell’armonia nascosta dei numeri primi, «Riemann aveva finalmente individuato la misteriosa struttura che per secoli e secoli i matematici avevano desiderato ardentemente di scorgere mentre osservavano i numeri primi» (p. 182), di colpo «l’enigma della casualità dei numeri primi nel mondo reale è stato sostituito dal tentativo di comprendere l’armonia di questo paesaggio immaginario oltre lo specchio» (p. 183). In altri termini, «Riemann aveva capito che cercare di comprendere le strutture e gli schemi alla base del mondo matematico era più proficuo che concentrarsi su formule e calcoli noiosi» (p. 196). Prima di Riemann, comunque, fu Hilbert ad indirizzare la scienza matematica verso le equazioni e le formule non esplicite. Egli, infatti, «considerava irrilevante la realtà fisica degli oggetti» (p. 201), indirizzandosi a «studiare le connessioni e le strutture astratte» (p. 201). Un aiuto gli venne dalla precedente scoperta delle cosiddette geometrie non euclidee. Infatti, Hilbert «capì che un forte nesso logico legava geometria non euclidea e geometria euclidea» (p. 204): le geometrie non euclideee potevano contenere delle contraddizioni nel caso in cui «anche la geometria euclidea ne conteneva» (p. 204). In altri termini, la modifica dell’assiomatica euclidea, in particolar modo quello relativo «all’esistenza di rette parallele» (p. 201), non comportava l’incoerenza della conoscenza matematica, ma il suo potenziamento. Infatti, «la scoperta di Hilbert significava che quei modelli non euclidei dovevano poggiare sulle stesse fondamenta logiche» (p. 204) dei modelli euclidei. Le sue considerazioni «sui fondamenti stessi della disciplina gli fornirono la piattaforma da cui lanciare questa nuova pratica di una matematica astratta» (p. 206). Partecipando, poi, al Congresso Internazionale di Matematica del 1900 egli indicò nella soluzione del problema dei numeri primi una delle principali sfide della matematica. Una sfida, però, tutt’oggi non vinta. Una possibile strategia vincente è stata intuita da Riemann, ma senza che si sia tradotta in una accettabile dimostrazione matematica.


Nel XX sec. la ricerca continuò, ma senza quell’ingegno che la prematura scomparsa di Riemann privò per sempre la matematica. Su questa linea si collocano i tentativi di Ramanujan, Siegel e Selberg. Poi, come spesso accade, il vento di guerra interruppe bruscamente l’evoluzione della matematica europea, spostando negli USA la ricerca vera e propria, anche per venire incontro ad esigenze di sostentamento assai più impellenti di quelle della conoscenza.


Un’ultima eccezione è costituita dall’estro di Turing, genio a disposizione della causa alleata contro il nazismo, e si suoi codici militari di comunicazione. Il suo nome, infatti, «sarà sempre associato alla decifrazione di Enigma, il codice segreto usato dai tedeschi durante la Seconda Guerra mondiale» (p. 321). Perché Turing nell’attuale problematica? Perché il «suo sogno era che quel marchingegno meccanico potesse avere il potere di dimostrare l’infondatezza del problema che, fra i suoi ventitré problemi, Hilbert preferiva: l’ipotesi di Riemann» (p. 322). L’idea di Turing era di trasferire in una macchina l’idea formulata anni prima da Hilbert: «una procedura meccanica che potesse essere applicata all’equazione e rispondere «sì» oppure «no» alla domanda «questa equazione ha soluzioni?» senza bisogno di alcun intervento da parte di un operatore» (p. 335). In altri termini, Hilbert aveva concepito un software in assenza dell’hardware, ossia della macchina in grado di mandarlo in esecuzione. Turing, invece, si rivolse alla progettazione del modello di una macchina universale in grado di computare, ossia di calcolare in maniera analoga al pensiero umano, «una macchina calcolatrice universale che potesse essere programmata per eseguire una gran varietà di compiti» (p. 352). Un passo importante nella storia dell’informatica, un momento della ricerca attorno ai numeri primi. Infatti, il «successo di Turing nella progettazione delle macchine per decrittare Enigma deve qualcosa al suo apprendistato nel calcolo degli zeri della funzione zeta di Riemann» (p. 351). Il retroterra culturale sul quale si muoveva Turing comunque era quello introdotto da Gödel, secondo cui «la matematica non era stata in grado di dimostrare l’ipotesi di Riemann perché i suoi assiomi non erano sufficienti a farlo» (p. 333). L’idea di Turing avrebbe aiutato in ciò? Sicuramente sì, visto che dato «un insieme di assiomi e alcune regole di deduzione, è possibile istruire un computer in modo che sforni teoremi matematici a bizzeffe» (p. 387). E non è un caso, infatti, che i principali avanzamenti nella ricerca sui numeri primi siano provenuti dai laboratori di ricerca dei colossi informatici, l’AT&T in primis: è mediante la potenza di calcolo degli apparati informatici che il lavoro creativo del matematico può essere potenziato. La decrittografia di Turing prima, la crittografia oggi al tempo di Internet, richiede potenza di calcolo che solo le macchine sono in grado di fornire. Ma la struttura di calcolo alla base dei procedimenti di decrittazione dei codici e di crittografia è il medesimo algoritmo fondamento della trasmissione delle informazioni, in poche parole: dell’informatica. E gli stati elettrici alla base del trattamento informatico delle informazioni si realizzano in termini matematici. E qui si torna al problema di partenza: qual è la struttura dei numeri primi?


Stranamente, un aiuto provenne alla teoria dagli straordinari progressi della fisica. Infatti, un avanzamento nella ricerca sui numeri primi fu reso possibile dalla teoria del caos quantistico. In altri termini, la frequenza dei numeri primi poteva essere considerata alla stregua di altrettanti quanti di energia. Un ritmo musicale che si colloca al punto di congiunzione tra i livelli energetici e gli elettroni di un atomo. Alla stessa maniera, la progressione matematica mostrava un’evidente analogia statistica, secondo la visione di Diaconis. Tuttavia, l’incontro di matematica e fisica quantistica condusse ad interpretare in termini fisici l’ipotesi di Riemann: «l’esistenza di una musica insita nei numeri primi» (p. 517). Infatti, «Riemann aveva trasformato i numeri primi in funzioni d’onda» (p. 517), mentre Berry, da fisico, tradusse queste onde in suoni reali. Era, forse, la dimostrazione principale «del fatto che l’ipotesi di Riemann ha qualcosa a che fare con il caos quantistico» (p. 523)? Probabilmente sì.


Ad ogni modo, è certo che «nel corso degli ultimi cinquant’anni, lo stesso linguaggio della matematica è andato incontro ad una profonda evoluzione che è tuttora in corso, e molti ricercatori sono convinti che fino a quando questo processo non sarà completato, non avremo a disposizione un linguaggio sufficientemente avanzato per articolare una spiegazione del perché i numeri primi si comportano secondo quanto predetto dall’ipotesi di Riemann» (p. 538).


Per concludere, Riemann ha sollevato parzialmente il velo d’ignoranza sui numeri primi, ma ha lasciato ai posteri il compito, tutt’ora inevaso, di fornire una dimostrazione matematica della sua ipotesi sulla loro natura. Un impegno che non manca di affascinare l’umana intelligenza.




(immagine tratta da: http://img3.libreriauniversitaria.it/BIT/240/843/9788817008433.jpg)

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