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Franca
D'Agostini si dedica ormai da alcuni anni a ricerche trasversali le
quali rompono la distinzione, apparentemente monolitica, ma
certamente molto più friabile, tra “analitici” e “continentali”.
In modo particolare, l'allieva di Vattimo, si occupa da tempo di
“metafisica analitica”, fondendo idealmente le due tradizioni di
pensiero, e dando luogo a opere originali, e per metodologia di
ricerca e per profondità d'analisi delle questioni e delle fonti
interrogate.
A
questi crismi non sfugge certo il volume Introduzione alla verità
(2011). Si tratta di un testo corposo che non può venir né
analizzato (puntualmente) né recensito (adeguatamente) in questa
sede. Mi limiterò esclusivamente ad estrapolare un'idea ivi presente
che considero teoricamente rilevante.
Nonostante
le secolari critiche, e le sempre nuove re-interpretazioni, sembra
proprio che non sia dato fare a meno della verità.
L'autrice, al riguardo, presenta anche una ricapitolazione della
teoria della verità
che, secondo lei, si compone di tre distinte, ma non anche irrelate,
parti: (i) la nozione di vero;
(ii) le regole per l'uso di vero;
e, (iii) i criteri che regolano il rapporto (di contrarietà) tra
vero e falso.
Alla
confluenza di pensiero
e realtà, per il
tramite del linguaggio,
ecco che fa la sua comparsa la nozione di verità:
essa consente di distinguere tra correttezza
ed errore,
indirizzando verso un certo impegno ontologico rispetto alla realtà.
Non a caso, infatti, la principale teoria della verità è
realistica, nel senso
che si richiama l'enunciazione alla responsabilità nei confronti di
una realtà che desidera rappresentare.
Lo
schema T, che è la principale teoria “robusta” della verità, ed
anche quella maggiormente accreditata dal dibattito secolare,
funziona secondo due momenti distinti, ma collegati: (a) il rilascio;
e, (b) la cattura.
Ossia, per dirla con le parole stesse dell'autrice, la “verità
cattura ogni mia asserzione, e la verità rilascia, lascia libera,
ogni proposizione che abbia in precedenza catturato” (p. 332). In
termini simbolici,
T
{(pVp)&(Vpp)}
Da
un lato, se enunciamo p, allora p è vero, e se p è vero, allora
enunciamo p. Questo è il funzionamento di base della teoria T della
verità, la quale, però, vista sotto questo aspetto appare
quantomeno “strana”.
Detto
altrimenti, la teoria della verità, nello schema T, ossia la teoria
più solida e più studiata, poggia su tre concetti fondamentali, i
quali, però, ne descrivono anche lo sfondo di “stranezza” che da
sempre l'accompagna: (1) la dispensabilità
(non
è necessario farne uso premettendola alle enunciazioni che vengono
asserite); (2) l'ubiquità
(la verità è sempre presupposta in qualsiasi enunciazione venga
fatta); e, (3) la trasversalità
(la verità si colloca tra linguaggio
e
mondo).
A
questo punto, dunque, l'autrice mostra la sua interpretazione
innovativa della verità, discutendo le possibili obiezioni alla
teoria T, salvo, però, dover concedere che della verità non può
farsi a meno, per dispensabile, o triviale, che sia.
Sicuramente,
il presente è un volume che, pur nella sua estensione, presenta una
densità concettuale che, almeno una volta nella propria vita,
andrebbe sperimentata.
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