Recentemente, mi
sono occupato della natura dialettica della dimostrazione indiretta
del principio di non contraddizione. Vorrei riprendere in questa sede
solamente l'opinione di Donà non adeguatamente messa in luce in
quella occasione.
Quella aristotelica
appare una dimostrazione convicente. Tuttavia, non è dello stesso
avviso Donà. D'altra parte, anche il più sfegatato estimatore dovrà
riconoscere come, ad una lettura attenta, la dimostrazione elenctica
lascia aperte alcune perplessità, che vertono non tanto sulla
validità del principio in questione, quanto sull'efficacia della
dimostrazione stessa.
Scrive Donà che il
divenire elenctico, descritto da Aristotele
garantirebbe appunto
l'originarietà del principio in questione, facendo leva sulla
dimostrazione dell'impossibilità della sua 'negazione' […]
chiunque tentasse di negare un tale principio negherebbe se stesso
(perché, per negare quel principio, dovrebbe presupporne la verità),
ossia, per dirla con Aristotele, si costituirebbe come un semplice
tronco … e le sue parole non sarebbero tali, ma puro flatus
vocis […] a ben vedere, i conti non tornano proprio[1]
Dietro l'apparente evidenza della dimostrazione elenctica, una vera e
propria dimostrazione indiretta, per auto-confutazione
del negatore del principio di non contraddizion, si nasconde un non –
detto, non rimosso, ma negato. Secondo Donà:
la presupposizione della ultimatività di quello
stesso principio. Come a dire che si può dimostrare che quello è il
principio ultimo solo presupponendo già, e 'del tutto
ingiustificatamente', la sua ultimatività [2]
Pertanto, allora,
la potenza dell'argomentazione aristotelica dipende
tutta dalla disponibilità dell'obiettore a riconoscere il suo
costituirsi come 'negatore' e non come 'sostenitore' del
principio di non contraddizione[3]
Come detto, infatti, Aristotele risulta vincente proprio per la
maniera con la quale viene costruita la dialettica elenctica. Ma
perché è così centrale questa presupposizione di fondo? Proprio la
clausola aristotelica del 'dire qualcosa di significativo e per lui e
per gli altri'? Donà ha le idee chiare quando esplicita il
significato di questa determinazione:
dal suo accettare di farsi definire proprio in
conformità alla forma del principio di non contraddizione. Un
principio che egli sembrava invece di voler destituire di ogni
primato. Insomma, il negatore di Aristotele è un negatore
apparente. Ché, la sua negazione sarebbe vera negazione
solo in quanto fosse disposta a costituirsi, insieme, come “negazione
ed affermazione” del principio in questione[4]
Per Donà, sembra di poter capire, la dimostrazione
elenctica aristoelica sarebbe solamente un gioco retorico, privo però
di consistenza concreta. Infatti, il negatore ivi presente sarebbe
soltanto una metafora, e non un contraddittore vero e proprio.
Questo basterebbe da solo a svalutare la portata teorica
dell'elenchòs.
Tuttavia, anche l'argomentazione di Donà lascia
perplessi: ammesso, e non concesso, che le cose stiano come detto,
questo è sufficiente per porre in questione la natura essenziale del
principio per ciascun dire e pensare che voglia definirsi sensato? La
mia impressione è che ciò non basti, anche se pone in evidenza la
natura dialettica della dimostrazione aristotelica, costruita
appositamente per vincere la contesa.
Peraltro, è lo stesso Aristotele, nello scorrere del
suo discorso preparatorio alla dimostrazione stessa, ad affermare la
natura “ipotetica” della dimostrazione. Il ragionamento seguito
è, grosso modo, il seguente: “il principio di non contraddizione,
per via della sua specifica natura, non è dimostrabile, ma possiamo
anche far finta di volerlo dimostrare”. In questo modo, se le cose
stanno così, appare risibile la perplessità che la stessa suscita:
non si tratta di una prova atta a convincere tutti della bontà del
principio, ma di una prova atta a mostrare in azione il carattere
ultimativo, quanto fondativo di ciascun dire e pensare, dello stesso.
Così, Aristotele fa finta di negoziare una contesa con un negatore
passivo che accetta tutte le limitazioni imposte dallo stagirita,
sorprendendosi magari, ma solo alla fine, che si trova lui in
contraddizione, e, dunque, decadendo dalla sua stessa posizione di
negatore del principio.
(immagine tratta da: http://profile.ak.fbcdn.net/hprofile-ak-snc4/203487_222872721063181_5695934_n.jpg)
Note
[1]
Cfr. m.
donà,
Sulla
negazione,
Bompiani, Milano, 2004, p. 47.
[2]
Ibidem.
[3] ivi,
pp. 47 – 48.
[4]
Ibidem.
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