"Tutti fuggivano la guerra, la
fame, le pestilenze, le rovine, il terrore, la morte, tutti correvano
verso la guerra, la fame, le pestilenze, le rovine, il terrore, la
morte. Tutti fuggivano la guerra, i tedeschi, i bombardamenti, la
miseria, la paura, tutti correvano verso Napoli, verso la guerra, i
tedeschi, i bombardamenti, la miseria, la paura, verso ricoveri pieni
d’immondizie, di escrementi, di gente affamata, sfinita,
istupidita. Tutti fuggivano la disperazione, la miserabile e
meravigliosa disperazione della guerra perduta, tutti correvano
incontro alla speranza della fame finita, della paura finita della
guerra finita, incontro alla miserabile e meravigliosa speranza della
guerra perduta. Tutti fuggivano l’Italia, andavano incontro
all’Italia"
(C. Malaparte, Kaputt, Adelphi, Milano,
2009, pp. 425 – 6)
Nel furor iconoclasta che storicamente ha messo in questione il topos del nesso tra Resistenza e Repubblica, via lo stretto adito costituito dalla Costituzione, s'insiste sulla condizione universale dell'italiano all'indomani dell'armistizio, lasciato a sè stesso e tutto preso da una sostanziale frenesia per la propria sopravvivenza.
Questo avvenne di certo, ma non fu l'unico fenomeno storicamente apprezzabile.
Tutti agirono. Alcuni per sé. Altri per tutti. Non tutti se ne fregarono dello Stato o della Patria.
Solo che il venir meno del velo di Maya dell'organicismo fascista acuisce la percezione del pluralismo che di certo presisteva all'8 settembre del '43 ma era rimosso, occultato, nascosto sotto le liturgie pubbliche del regime, e che, una volta venuto meno quest'ultimo, sembra esplodere improvvisamente, trascinando con sé anche l'amor patrio.
Questo, ovviamente, non significa che quegli anni furono una passeggiata. Anzi, furono durissimi.
Ma non tutti li vissero per il proprio personale tornaconto, sopravvivenza o meno che fosse.
(immagine tratta da: http://www.artapartofculture.net/new/wp-content/uploads/2011/03/IlGioiellino.jpg)
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