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sabato 11 maggio 2013

La democrazia dei partiti

"La «democrazia dei partiti» aveva da restare una democrazia fondata sul predominio capitalistico, con l'appoggio dei partiti anche a base popolare favorevoli ad accettarlo o quanto meno disposti, al di là dei loro stessi progetti e delle loro idealità, a prenderne atto. In questo quadro l'elevazione, il progresso civile e politico delle masse, il loro ingresso nella «democrazia» dovevano assumere il carattere non solo di partecipazione alle istituzioni liberaldemocratiche, ma anche di accettazione di quel «cono d'ombra» costituito dall'egemonia sociale del capitalismo e delle forze politiche che se ne rendevano interpreti». La prospettiva di Salvadori è profondamente avvilente dal momento che sconfessa la retorica del cammino verso i diritti con la quale si interpretava la storia novecentesca del diritto occidentale.La «democrazia dei partiti» aveva da restare una democrazia fondata sul predominio capitalistico, con l'appoggio dei partiti anche a base popolare favorevoli ad accettarlo o quanto meno disposti, al di là dei loro stessi progetti e delle loro idealità, a prenderne atto. In questo quadro l'elevazione, il progresso civile e politico delle masse, il loro ingresso nella «democrazia» dovevano assumere il carattere non solo di partecipazione alle istituzioni liberaldemocratiche, ma anche di accettazione di quel «cono d'ombra» costituito dall'egemonia sociale del capitalismo e delle forze politiche che se ne rendevano interpreti"

(M. L. Salvadori, Democrazie senza democrazia, Laterza, Roma – Bari, 2011, p. 51)



La prospettiva di Salvadori è profondamente avvilente dal momento che sconfessa la retorica del cammino verso i diritti con la quale si interpretava la storia novecentesca del diritto occidentale, in modo particolare nei primi anni '90.




In realtà, quel che la ricognizione di Salvadori consente di fare è sfrondare la (facile, e comoda) retorica pubblica dell'inarrestabile progresso verso il meglio, indicando le immancabili ombre che si addensano sulla democrazia, ossia su quella particolare forma di governo che ha vinto il confronto secolare con altre e che tutti noi abbiamo scelto, ossia preferito ad altre.


Una democrazia, per forza di cose, indiretta, ossia rappresentativa, come detto in un altro post, offre sempre il fianco alla sostituzione del bene comune con il bene di parti, o, per meglio dire, la sostituzione dell'elettore con l'eletto, del meccanismo stesso della rappresentanza in luogo degli interessi degli elettori.



Così, in fin dei conti l'elettore può trovarsi espropriato della sua stessa delega e la democrazia svuotata in senso tecnico da organismi politici, che non devono più rispondere a chi li ha votati, ma possono benissimo vivere da sè, in modo perfettamente autoreferenziale, autonomo da qualsivoglia meccanismo di controllo dal basso.



Ecco, allora, come una democrazia di popolo può divenire benissimo una democrazia dei partiti.


Salvadori lega a doppio giro questa possibilità con la supremazia di un ben preciso sistema economico il quale, formalmente, e solo a quel livello, apre alle masse, ma solo al fine di perpetuarsi, ossia di mantenere le posizioni attuali, di predominio, di vantaggio, di profitto.


Fatte queste due considerazioni principali, mentre le altre restano opache sullo sfondo, è possibile prendere in considerazione le ultime elezioni politiche con il legittimo distacco e porci francamente le seguenti questioni:


1) qual è l'apporto di rottura reale con il sistema partitico da parte dell'M5S?

2) qual è la reale natura dei rapporti (elettori - eletti) nel M5S?



Come si vede, infatti, a dispetto della roboante retorica dissacrante messa in campo in tutti questi mesi, e oggettivamente spalleggiata da un'opinione pubblica attraversata, più o meno pesantemente, da moti impolitici e/o qualunquisti, acuiti durante qualsiasi crisi economica, che mette a repentaglio non la qualità della vita, ma lo status sociale che si desidera ostentare, che l'ha premiato, l'M5S è rimasto quel che era: un movimento chiuso che non intende render conto a nessuno, e meno che mai ai propri elettori, di quel che (non) fa. Così facendo, però, manifesta bene e assai facilmente i due aspetti sui quali si appuntava il passo citato di Salvadori:

a) la sostituzione del partito alla volontà popolare;

b) il "cambiar tutto", per non cambiar nulla (che segue al successo elettorale), mantenendo immutati gli attuali equilibri economici (del tessuto sociale).

A parole, ad esempio, Grillo presenta il M5S come il nuovo che deve sconvolgere tutto e, una volta insediatosi a Roma, si ritira da qualsiasi sede di potere, salvo però richiedere "poltrone" per sé e i suoi. Come a dire, non c'importa un fico secco di cosa vuole chi vi ha votato e non ce ne frega nulla di cambiare le cose. 



E a coprire ciò basta bene appunto una foglia di fico.


Ma se scrivo su google, il mantra grillino della democrazia 2.0, ai primi risultati non esce la politica, ma wikipedia che m'informa puntualmente, come s'io non le avessi mai visto prima, su cosa siano le foglie di fico ...

POST SCRIPTUM

Poi però, come il cacio sui maccheroni, spunta anche Grillo che discetta delle foglie di fico di Adamo ed Eva ... 

Meglio coprirsi gli occhi con una foglia di fico allora ... anche se si copre ben poco!


(immagine tratta da: http://www.agraria.org/coltivazioniarboree/ficofoglie.jpg)

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