(anteprima tratta da: A. Pizzo, Parva Logicalia. Volume I. Didattica, logica e filosofia, Roma, ISBN: 9788891067074, pp. 95 - 113)
Di', se riesci.
Il dilemma della
“prima mossa” nell'elenchòs
aristotelico
Il
ruolo “positivo” della contraddizione,
e del suo corrispettivo divieto, nella costruzione di una teoria
filosofica è difficilmente sottostimabile, benché si registri oggi
una tendenza piuttosto consolidata a rivalutarne il ruolo “negativo”.
Infatti, è solo grazie al suo divieto che diventa possibile
edificare un'architettonica del “vero”, del “credibile”, del
“sensato”, e così via. Sostanzialmente, per ruolo “positivo”
s'intende l'esclusione della contraddizione, e, di conseguenza,
anche dell'incoerenza, dalla teoria. Di converso, diventa così
anche comprensibile cosa s'intenda con ruolo “negativo”,
valutazione che incontra certamente i gusti, la sensibilità e i
desideri di una certa tendenza in filosofia. Personalmente, però,
m'interessa esclusivamente il ruolo “positivo” della
contraddizione, e segnatamente il suo divieto, per la natura
fondamentale che vi ravvedo nella costruzione di un pensieri
coerente, il che equivale a dire sensato, razionale, coerente[1].
In
effetti, un pensiero è coerente se funzione secondo le coordinate
essenziali definite, rispettivamente, dal principio di
non contraddizione e del
principio del terzo escluso.
Nella presente ricognizione parleremo soltanto del primo.
Concludendo questa riflessione inaugurale, ripetiamo con Da Costa che
le formulazioni di questi due principi sono le seguenti:
- Principio di non contraddizione: fra due proposizioni contraddittorie A e non A, una è falsa.
- Principio del terzo escluso: fra due proposizioni contraddittorie A e non A, una è vera[2]
Il principio di non
contraddizione, allora, consente di distinguere tra proposizioni vere
e proposizioni false, esattamente come consente di avvertire la
presenza di errori, magari non del tutto riconosciuti come tali. Ma
dove viene formulato il principio di non contraddizione? Dove trova
piena espressione il divieto di contraddizione, ruolo “positivo”
svolto da quest'ultimo?
Il
topos classico, per
quanto concerne il principio di (non) contraddizione
(PDNC) è certamente Metafisica IV
ove Aristotele cerca di dimostrare la natura fondamentale dello
stesso, evitando nel contempo di cadere in una facile petitio
principii, data la sua
strutturazione esigenziale.
Possiamo leggere,
nella traduzione del Reale, come
Ci sono alcuni […]
i quali affermano che la stessa cosa può essere e non essere, e,
anche, che in questo modo si può pensare […] Noi, invece, abbiamo
stabilito che è impossibile che una cosa, nello stesso tempo, sia e
non sia; e, in base a questa impossibilità, abbiamo mostrato che
questo è il più sicuro di tutti i principi. Ora alcuni
ritengono, per ignoranza, che anche questo principio debba essere
dimostrato: infatti è ignoranza il non sapere di quali cose si debba
ricercare una dimostrazione e di quali, invece, non si debba
ricercare. Infatti, in generale, è impossibile che ci sia
dimostrazione di tutto: in tal caso si procederebbe all'infinito,
e in questo modo, per conseguenza non ci sarebbe affatto
dimostrazione. Se, dunque, di alcune cose non si deve ricercare una
dimostrazione, essi non potrebbero, certo, indicare altro
principio che più di questo non abbia bisogno di dimostrazione[3]
Solo
chi ignora il (PDNC) potrebbe, a detta dello stagirita, desiderarne
anche una dimostrazione. Questo, però, è impossibile dato che esso
è il principio alla base di tutto.
Anzi, Aristotele sembra anche
dire che è proprio grazie all'esistenza del (PDNC) che è
possibile fornire dimostrazione di altri principi. Di conseguenza, il
(PDNC) regge l'intero edificio speculativo, assicurando
sensatezza, coerenza, credibilità, verità alle proposizioni di
quest'ultimo. La stessa metafisica,
in quando scienza che mira a studiare l'essere in quanto
essere, si fonda sul (PDNC), a
sua volta, pertanto, garanzia di dimostrazione.
Pertanto, come
può il (PDNC) esaudire i desideri degli ignoranti i quali, non
convinti della bontà dello stesso, chiedono una sua
dimostrazione? Simpliciter,
il (PDNC) non può dimostrare il (PDNC): un procedere in questo modo
sarebbe vizioso, circolare. Se il (PDNC) cercasse di dimostrare sé
stesso avremmo la situazione paradossale, quanto innaturale,
seguente: lo strumento della dimostrazione che desidera dimostrare sé
stesso. Come può il (PDNC) dimostrare il (PDNC)? Come può lo
strumento farsi a sua volta fine? E come può darsi, in ultima
istanza, questo fine se si dovesse realizzare la condizione
seguente: uno strumento che si fa strumento di sé?
Per questo
motivo, solo per ignoranza, dià apaideusían,
si può volere una dimostrazione del (PDNC), chiederne una prova: è
solo in virtù del (PDNC) che è possibile dare dimostrazione. Come
chiedere dimostrazione dell'organo di ogni dimostrazione?
Semplicemente, non è possibile, è insensato farlo.
In
precedenza, sempre Aristotele aveva sottolineato la natura
essenziale del
(PDNC) per una scienza dell'essere in quanto essere,
episthéme tis hé theoreî tò òn hê òn[4],
e, per lo stesso motivo, i medievali hanno coniato la famosa
espressione firmissimum principium,
ossia il principio più saldo (di tutti),
peraltro traduzione latina dell'espressione aristotelica bebaiotáte
archè, principio
saldissimo[5].
(continua)
Note
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[1] Cfr. F.
Berto, Teorie
dell’assurdo. I rivali del Principio di Non-Contraddizione,
Carocci, Roma, 2009, p. 37: «le sfide più cogenti al (PNC) nel
pensiero contemporaneo vengono dai paradossi logici».
In questa sede, non ci occuperemo dei paradossi
ma è rilevante osservare come l'attuale messa in questione del
principio di non contraddizione si
leghi ad un discreto gusto per il paradosso, non visto più come una
minaccia per la coerenza di sistemi teorici, ma come una conseguenza
inevitabile della fragilità umana. Si tratta, invariabilmente,
di un gusto consono ai molteplici e vari atteggiamenti postmoderni.
Peraltro, comunque, il fascino stesso dei paradossi nasce dalla
constatazione di trovarsi di fronte una contraddizione
la quale, per svariati motivi, risulta inemendabile. Cfr. F.
D’Agostini, Paradossi,
Carocci, Roma, 2009, p. 21: «è abbastanza intuitiva l’idea
che l’aspetto interessante e caratteristico dei paradossi sia
il fatto imbarazzante (e sorprendente) di una contraddizione che per
qualche ragione risulta ineliminabile».
[2] Cfr. n.
c. a. da costa, Prefazione,
a: n. grana,
Contraddizione e incompletezza,
Liguori, Napoli, 1990, p. 9.
[3] Cfr. aristotele,
Metafisica, Bompiani,
Milano, 2000, p. 145 (1005b 35 – 1006a 1 – 10).
[4] Ivi, p. 131 (1003a 20).
[5] Ivi, p. 143 (1005b 15).
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