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lunedì 6 luglio 2015

Autocitazione ...

"L'iniziato esce fuori di sé (fr. 28B 1 DK) per giungere a diretto colloquio con la fonte esterna di conoscenza, la dea, theà, che illustra a Parmenide il contenuto della conoscenza, due vie e le uniche possibili, odoì moûnai dizhèsiós eisi nohêsai, che si possono intuire, pensare. La traduzione di Tonelli insiste sul carattere misterico del linguaggio parmenideo mentre tutte le altre traduzioni preferiscono rendere 'nohêsai' con 'pensabili', che si possono pensare. Il passo è importante in quanto, sempre secondo Tonelli, Parmenide formula per la prima volta nella storia del pensiero occidentale una delle sue strutture fondamentali, il principio di non contraddizione, insito appunto nel significato greco di 'dízhesis', discernimento, separazione, distinzione. E Parmenide, per l'appunto, distingue tra due vie di ricerca, l'una che "è", e che non è possibile che non sia, he mèn ópos éstin te kai os ouk éestin mhè eînai; il "sentiero della Persuasione", dal greco 'Peithó', uno degli attributi della divinità dell'Amore, fascinazione, seduzione, convinzione. Nella trama simbolica della parola 'iniziatica', 'sciamanica', 'misterica', si fa strada la «necessità razionale»,13 la persuasione cioè conduce alla verità, Alhetheíhei gàr ophedeî, la via che dice che l'essere è e non può non essere. La parola della dea, pertanto, fa da tramite, congiunge; costituisce allora «il punto in cui la misteriosa e distaccata sfera divina entra in comunicazione con quella umana, si manifesta nell'udibilità, in una condizione sensibile»,14 e accompagna Parmenide alla conoscenza. L'altra via pensabile è quella che "non è", e che è necessario che non sia, he d'os ouk éestin te kai os chreón esti mhè eînai. Dunque, l'essere si contrappone al non -- essere, l'uno è, l'altro non è, il primo è esistenza, il secondo è non esistenza. Qui Parmenide conia un registro linguistico dal quale il nostro Occidente non potrà più prescindere, gli usi della copulazione, ossia dell'«è», la struttura base delle frasi. Nelle parole di Moro, apprezzabili anche in senso filosofico, pur denunciando la loro appartenenza al registro linguistico, «non c'è da sorprendersi che proprio il verbo essere sia divenuto, nella tradizione greco-latina prima e moderna dopo, un termine chiave della riflessione filosofica».15 Il pensare, il considerare qualcosa come pensabile, o anche solo intuibile, passa attraverso l'uso della copula «è», ossia per l'attribuzione di contorni, proprietà, per il confronto, la distinzione, il discernimento, con altri oggetti, simili e diversi. Infatti, di «ogni individuo, astratto o concreto che sia [...] si deve poter dire qualcosa, cioè a ogni cosa si deve poter dire qualcosa, cioè a ogni cosa si deve poter assegnare un predicato».16 In altri termini, Parmenide fonda il logo occidentale"

(A. Pizzo, Ontologia in Parmenide: come e cosa si pensa quando si dice «è», “Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia”, anno 14 (2012) [inserito il 10 luglio 2012], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [93 KB], ISSN 1128-5478, contenuto on – line: http://mondodomani.org/dialegesthai/ap20.htm)

Di Parmenide, teoretica occidentale e molto altro!

Basta leggere ...


giovedì 6 marzo 2014

La nascita della filosofia occidentale


La nascita della filosofia, secondo Severino.





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lunedì 19 novembre 2012

Triste storia ...

In questo libro viene tentata per la prima volta una prognosi della storia. Ci si è proposti di predire il destino di una civiltà e, propriamente, dell’unica civiltà che oggi stia realizzandosi sul nostro pianeta, la civiltà euro – occidentale e americana, nei suoi stadi futuri

(O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano, 1957, p. 13)

Progetto ardito, ma problematico: la storia è un corpo evolutivamente programmato, e, quindi, anche, prevedibile? Forse Spengler è rimasto abbagliato dalla novità e dalla potenza delle cd. scienze umane le quali, accoppiate a quelle esatte, possono aver sortito l'impressione che (quasi) ogni cosa, sotto il cielo, sia prevedibile.


Bene, Spengler rimarrebbe sorpreso, allora, di conoscere l'attuale epistemologia storica secondo la quale la storia non esiste punto, se non, almeno, dal momento in cui il singolo storico si pone domande ricostruttive della sua realtà presente, e, nel farlo, investe il passato di ipotesi e ricostruzioni, procedendo, dunque, a ricostruirlo. Del futuro, invece, nulla al momento può dirsi.


Ovviamente, però, non era affatto questa la prospettiva singolare dalla quale muoveva, ma quella sorta di "filosofia della storia" che intende fornire, o suggerire, ipotesi ermeneutiche intorno al destino delle civiltà. Sui data è possibile convenire, ma sulle interpretazioni, forse, no. E questo a maggior ragione se, più che di valutazioni su facta, si tratti di meri sogni, ad opera di visionari.


E tuttavia, forse, su un punto Spengler aveva ragione: nel predire la fine del centralismo mondiale dell'Europa, relegata, da lì in poi, al mesto ruolo di "parte" tra le "parti" del globo terracqueo. 


Ma per fare ciò non era, forse, nemmeno necessario produrre quella mole di pagine che è suddetto Tramonto.





(immagine tratta da: http://usnlombardia.files.wordpress.com/2012/08/spengler.jpg)