Didattica a distanza ... ce la faremo? Sopravviveremo? Chissà! Intanto, bisogna provare a non perdere terreno, anche a distanza, pur tra mille difficoltà (e tanti errori in postproduzione).
Blog personale di Alessandro Pizzo "Caro utente, sappi che il mio blog non incorpora strumenti di profilazione di terze parti. Ergo, dovrebbe rispettare, almeno ch'io sappia, il recente GDPR. Consulta l'omonima pagina in alto a destra. Grazie"
Cerca nel blog
Visualizzazione post con etichetta essere. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta essere. Mostra tutti i post
mercoledì 11 marzo 2020
venerdì 5 luglio 2019
Syria #1
Una piacevole scoperta, in questa estate caldissima ...
Etichette:
canzonette,
essere,
in te,
Pezzali,
Syria
domenica 12 giugno 2016
Zambrano su pensiero e poesia #2
"La cosa del poeta non è mai la cosa concettuale del pensiero, ma complessissima e reale, la cosa fantasmagorica e vagheggiata, quella inventata, quella che ci fu e quella che non ci sarà mai. Vuole la realtà, ma la realtà poetica non è solo quella che c'è, quella che è, ma anche quella che non è; abbraccia l'essere e il non-essere in ammirevole giustizia caritativa, giacchè tutto, proprio tutto, ha diritto ad essere, finanche ciò che non ha mai potuto essere"
(M. Zambrano, Filosofia e poesia, Pendragon, Bologna, 2010, p. 45)
E qui Zambrano illumina le peculiarità del sentiero poetico, quello che diverge nettamente dalla filosofia, ovvero la tensione che possiede il poeta nello sforzo commovente e pietoso di voler cogliere tutto, il possibile con l'impossibile, la realtà con l'assenza, l'unità con la molteplicità ...
Il filosofo distingue e separa, il poeta include ed abbraccia tutto, anche quel che non è, quel che non fu, quel che non sarà mai ...
Ma non è forse questo l'anelito ultimo dell'umano, ovvero il tendere a quel Tutto che innerva ciascun essere?
(url: https://libros.com/files_ck/images/16296081788_389f573486_o.jpg)
domenica 5 giugno 2016
Zambrano su pensiero e poesia #1
"il cammino inizia a divergere nel momento in cui il filosofo si dirige verso l'essere che si cela dietro le apparenze e il poeta resta immerso nelle apparenze stesse. l'essere era stato definito soprattutto come unità, perciò era occulto, siffatta unità aveva calamitato la violenza filosofica"
(M. Zambrano, Filosofia e poesia, Pendragon, Bologna, 2010, pp. 42 - 3)
In queste poche battute Zambrano illustra il nodo che rela tra loro i sentieri del pensiero e della poesia, gemelle divise nel momento aurorale ed originario della scissione, ovvero quando il filosofo ha preferito andare dietro l'essere, e la sua correlata evidenza, mentre il poeta ha preferito rimanere immerso nelle nebbie dell'apparenza ...
Un modo originale di ripensare il nesso e la storia impossibile della filosofia e della poesia ...
Briciole di riflessione divergente!
(url: http://www.enciclopediadelledonne.it/wp-content/uploads/2014/03/106maria-zambrano144.jpg)
lunedì 6 luglio 2015
Autocitazione ...
"L'iniziato esce fuori di sé (fr. 28B 1 DK) per giungere a diretto colloquio
con la fonte esterna di conoscenza, la dea, theà, che illustra a Parmenide
il contenuto della conoscenza,
due vie e le uniche possibili, odoì
moûnai dizhèsiós eisi nohêsai, che si possono intuire, pensare. La
traduzione di Tonelli insiste sul carattere misterico del linguaggio parmenideo mentre tutte
le altre traduzioni preferiscono rendere 'nohêsai' con 'pensabili', che si possono pensare. Il
passo è importante in quanto, sempre secondo Tonelli, Parmenide formula per la
prima volta nella storia del pensiero occidentale una delle sue strutture
fondamentali, il principio di
non contraddizione, insito appunto nel significato greco di 'dízhesis',
discernimento, separazione, distinzione. E Parmenide, per l'appunto, distingue
tra due vie di ricerca, l'una che "è", e che non è possibile che non
sia, he mèn ópos éstin te kai
os ouk éestin mhè eînai; il "sentiero della Persuasione", dal
greco 'Peithó', uno degli attributi della divinità dell'Amore,
fascinazione, seduzione, convinzione. Nella trama simbolica della parola
'iniziatica', 'sciamanica', 'misterica', si fa strada la «necessità razionale»,13 la
persuasione cioè conduce alla verità, Alhetheíhei
gàr ophedeî, la via che dice che l'essere è e non può non essere. La
parola della dea, pertanto, fa da tramite, congiunge; costituisce allora «il
punto in cui la misteriosa e distaccata sfera divina entra in comunicazione con
quella umana, si manifesta nell'udibilità, in una condizione sensibile»,14 e
accompagna Parmenide alla conoscenza. L'altra via pensabile è quella che
"non è", e che è necessario che non sia, he d'os ouk éestin te kai os chreón
esti mhè eînai. Dunque, l'essere si
contrappone al non -- essere,
l'uno è, l'altro non è, il primo è esistenza, il secondo è non
esistenza. Qui Parmenide conia un registro linguistico dal quale il nostro
Occidente non potrà più prescindere, gli usi della copulazione, ossia dell'«è», la
struttura base delle frasi. Nelle parole di Moro, apprezzabili anche in senso
filosofico, pur denunciando la loro appartenenza al registro linguistico, «non
c'è da sorprendersi che proprio il verbo essere sia divenuto, nella tradizione greco-latina
prima e moderna dopo, un termine chiave della riflessione filosofica».15 Il pensare, il considerare
qualcosa come pensabile, o anche solo intuibile, passa attraverso l'uso della
copula «è», ossia per l'attribuzione di contorni, proprietà, per il confronto, la distinzione, il discernimento, con altri
oggetti, simili e diversi. Infatti, di «ogni individuo, astratto o concreto che
sia [...] si deve poter dire qualcosa, cioè a ogni cosa si deve poter dire
qualcosa, cioè a ogni cosa si deve poter assegnare un predicato».16 In
altri termini, Parmenide fonda il logo occidentale"
(A.
Pizzo, Ontologia in Parmenide: come e cosa si pensa quando si dice «è»,
“Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia”, anno 14 (2012) [inserito il 10
luglio 2012], disponibile su World Wide Web:
<http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [93 KB], ISSN 1128-5478,
contenuto on – line: http://mondodomani.org/dialegesthai/ap20.htm)
Di Parmenide, teoretica occidentale e molto altro!
Basta leggere ...
martedì 30 giugno 2015
I nomi del verbo 'essere'
"Si
possono rintracciare almeno tre scuole di pensiero che considerano il verbo essere,
per così dire, il nome di tre concetti diversi, in stretta dipendenza con il
modo nel quale la linguistica loro contemporanea interpretava la natura del
linguaggio in generale: il nome del tempo, il nome dell’affermazione e il nome
dell’identità"
(A. Moro, Breve
storia del verbo essere. Viaggio al centro della frase, Adelphi, Milano,
2010, p. 26)
Così, almeno a quanto pare, l'evoluzione moderna del verbo essere dal greco antico mette capo a tre differenti, ma forse tra loro relate, declinazioni:
1. uso temporale;
2. uso assertivo;
3. uso identificativo.
Com'è possibile osservare, pertanto, e senza tema di confondere troppo le idee, l'essere verbale funge da (a) identificazione delle coordinate temporali; (b) identificazione della funzione assertiva; e, infine, (c) identificazione degli elementi costitutivi una stringa enunciativa.
Detto altrimenti, il verbo essere consente di dare un nome alla successione temporale, alle affermazioni e, dulcis in fundo, alle identità.
Pregevole, a mio avviso, l'utilizzo, in chiave chiarificatrice, della linguistica contemporanea al fine di render conto dei molti, ma sempre contemporanei, usi del verbo 'essere'.
(url immagine: http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcT8Dyc0peZE0RlZ5bYrKn2lOZrZDp577svp1dL7tty-z2M3sTQYyA)
Etichette:
essere,
linguistica,
Moro,
verbo
lunedì 22 aprile 2013
Cosa v'è da aggiungere?
Rileggiamo quanto i "saggi" ci dicono:
"dalla prospettiva logica vediamo che i valori e le norme etiche sono proposte […] e non proposizioni indicative. L'etica non descrive; essa prescrive. L'etica non spiega; essa valuta. Difatti: non esistono spiegazioni etiche, esistono solo spiegazioni scientifiche. Esistono spiegazioni scientifiche e valutazioni etiche. Né si danno previsioni etiche (o estetiche). L'etica non sa. L'etica non è scienza. L'etica è senza verità. La scienza non produce (non produce logicamente) etica. Dalle proposizioni descrittive non è possibile dedurre asserti prescrittivi. Dall'intera scienza non è possibile spremere un grammo di morale. La “grande divisione” tra fatti e valori – la cosiddetta legge di Hume – ci dice che dall'”è” non deriva il “deve”, dall'”essere” non si deduce il “dover essere” […] La scienza sa; l'etica valuta. L'etica non sa; la scienza non valuta. I fatti non sono valori. Le norme non si riducono a fatti"
(Antiseri D. (2001), La conoscenza filosofica, in Reale G. - Antiseri D., Quale ragione?, Milano, Raffaello Cortina, p. 137)
E siamo ancora qua, alla separazione tra conoscenza ed etica, tra proposizioni indicative e proposizioni normative.
La conoscenza non valuta, l'etica sì.
L'etica non conosce, la teoria sì.
Con le proposizioni teoriche, ossia quelle indicative, si costruiscono ragionamenti e, quindi, anche, inferenze; con le proposizioni pratiche, ossia quelle normative, non si costruiscono ragionamenti, e, quindi, anche, inferenze.
Come detto in un altro momento, la presente è una glossa di un tema molto famoso, e giustamente, la cd. Is - Ought Question. Ma non dice nulla di più o di nuovo, lascia l'argomento immutato nella sua attuale sistemazione.
Io però vorrei spingermi un po' più in là per provare a guardare le cose da un'altra prospettiva, per valutare, ed eventualmente "come", se sia possibile una diversa sistemazione del rapporto tra essere e dover essere, due diverse facce sì, ma dell'unica medaglia, ossia della realtà.
E non mi si venga a dire che quest'ultima non esiste e che è solo un'interpretazione: altrimenti di cosa sarebbe interpretazione se non v'è nulla oltre l'interpretazione?
(immagine tratta da: http://www.filosofico.net/antiseri.jpg)
Alessandro Pizzo

Crea il tuo badge
lunedì 4 marzo 2013
Bentornato Parmenide, oh caro vecchio!
Siamo debitori nei confronti di Parmenide, tanto rispetto al suo apporto alla filosofia occidentale quanto nei confronti della sua elaborazione culturale in merito agli usi del verbo essere. È vero che, generalmente, in filosofia le due cose vanno di pari passo, ma è bene in questa sede, almeno preliminarmente, tenerle separate al fine di far evincere al meglio la particolarità della novità speculativa costituita da Parmenide nei primi travagliati vagiti della riflessione filosofica occidentale.2 D'altra parte, come diverrà più chiaro in seguito, ci riferiamo al filosofo eleate come all'autore di una vera e propria "svolta ontologica", tanto rispetto ai filosofi precedenti quanto rispetto ad una data maniera di concepire il "mestiere" filosofico, il "fare filosofia", il pensare alla realtà circostante.
(continua a leggere)
(immagine tratta da: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/20/Sanzio_01_Parmenides.jpg)

Crea il tuo badge
lunedì 7 gennaio 2013
A proposito di (neo)realismo ...
"Il che, in certa misura, è coerente con gli scopi presenti dato che proprio in Parmenide ravvisiamo la fondazione di tale questione: una svolta ontologica che è, nel contempo, anche logica. Dunque, l’essere è perché al limite imponderabile della riflessione v’è una congiunzione, alquanto paradossale, tra essere e pensare, visti e considerati equipollenti in uno dei frammenti più noti dell’eleate.
Il discorso parmenideo, giunti a questo punto, è di facile comprensione. A differenza di altri autori a lui coevi, l’eleate mette a punto un dato tipo di ricerca speculativa che prende in considerazione il tutto che esiste e cerca di spiegarlo non facendo ricorso a ragioni religiose o tradizionali, ma sulla base della semplice ragione.
L’uso corretto delle facoltà razionali consente agli uomini di percorrere tutta la strada che conduce alla ben rotonda verità, ossia alla conoscenza fondata. Questa doppia movenza, ontologica e logica insieme, con ogni probabilità dovuta al retaggio culturale dell’epoca di Parmenide, costituisce una svolta che avrebbe segnato in profondità l’intera filosofia occidentale, restando viva ed operante anche ai giorni nostri. Anzi, proprio ai nostri giorni quando si realizza una sorta di Anselmo renaissance, possibile solo attraverso una ripresa del registro filosofico parmenideo[1], ivi compresa quell’iniziale trattazione delle modalità[2]. Ma, in fin dei conti, Parmenide non fa altro che compiere quella incessante attività filosofica di scavo nella realtà di quelle caratteristiche che la rendono tale, ossia la possibilità, e le sue varie declinazioni. Forse, non ha torto Heidegger quando scrive come «La fenomenologia è il modo di raggiungere e di determinare dimostrativamente ciò che deve costituire il tema dell’ontologia. L’ontologia non è possibile che come fenomenologia»[3], come indicazione del ventaglio modale dell’essere (che siamo e conosciamo)"
Questa è la conclusione di un mio recente articolo[4] e riassume, a mio sommesso parere, gran parte, sia pure metaforicamente - nel senso che il lettore dev'essere in grado di coglierla -, i termini dell'attuale diatriba tra realismo e non - realismo. Pamernide, tanto ignorato e tanto misconosciuto, ben insegnava come non del nulla si possa parlare e pensare.
Note
[1] Cfr. C. Arata (2009), Dio oltre il principio di non contraddizione, Brescia, Morcelliana, p. 21.
[2] Cfr. A. Pizzo (2009), Argomento ontologico. Una storia convergente per un’interpretazione divergente, Roma, Aracne, p 82 e sgg.
[3] Cfr. M. Heidegger (2000), Essere e tempo, Milano, Longanesi, p. 56.
[4] Cfr. A. PIZZO (2012). La svolta ontologica in Parmenide: come e cosa si pensa quando si dice "è", in I. Pozzoni (cur.), Elementi eleatici, VILLASANTA, Casa Editrice Limina Mentis, ISBN 9788895881720, p. 357-388.
Alessandro Pizzo

Crea il tuo badge
Iscriviti a:
Post (Atom)