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domenica 10 novembre 2013

Non una scuola per "chi", ma una scuola per "cosa"



"Quando il ragazzino di Lettera a una professoressa s'indigna che gli venga insegnata l'Iliade del Monti e sogna invece che gli si parli delle cose che lui conosce già perché fanno parte del suo mondo, in realtà si autocondanna a rimanere quel che è"


(P. Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, Parma, 2011, p. 111)


Giustissimo.


Come rovesciare la scuola da strumento emenacipatorio -  con sforzo personale, è ovvio! - a party adolescienziale - senza sforzo, è ovvio! - in pochi passi ...


Quand'è che abbiamo cominciato a precipitare?


Semplice.


Quando la missione educativa e il valore intrinseco dell'istituzione Scuola sono diventati "accompagnare gli alunni lungo il (loro) sviluppo" divertendoli e trattandoli da amici ... 


.... quando, cioè, l'informale ha corroso e soppiantato il formale, con tutti i suoi ruoli e stati personali ...



Così, quasi di colpo, o in un brevissimo lasso di tempo, sono scomparsi il "rispetto" - da qui discende la dequalificazione professionale di chi lavora nel mondo della scuola - e i "saperi", sfumati ed annacquati da una (presunta) competenza di tutti, alunni e loro genitori in primo luogo ...



Per ironia della sorte, allora, forse, dobbiamo riconoscere che una ri-sollevazione della scuola potrà aversi solo come rovesciamento del don milanismo ...



E se torneremo ad intendere l'inclusione nei suoi termini corretti. Ovvero, non: poco (o nulla) a tutti; ma: tutti nelle medesime condizioni per poter accedere a tanto ...



Quand'è che la scuola italiana è defunta?



Quando è defunta la società italiana.



E quando è defunta la società italiana?



Questo, francamente, non lo so ... e non so nemmeno se si stia parlando di due cose differenti e nei termini di una causa e l'altra conseguenza ...


Per ora, almeno.

venerdì 18 ottobre 2013

Deficiente



"Un genitore che va da un professore a dirgli che non capisce nulla, perché se solo capisse qualcosa suo figlio non avrebbe un'insufficienza, è un genitore che trasforma un professore in un deficiente"



(A. Bajani, Domani niente scuola, Einaudi, Torino, 2008, p. 78)




Se quel genitore è anche un legislatore, improvvisamente il quadro si fa chiaro ed assume senso la maniera sfacciata con la quale la parte datoriale così mortifica e sanziona la parte dipendente!

martedì 15 ottobre 2013

Listato ...



Recentemente mi sono occupato, in maniera "estesa", della dequalificazione professionale che caratterizza il lavoro dei docenti i quali ogni maledetta mattina vanno a svolgere ugualmente il loro lavoro.



In questa sede, rammendo solo alcune delle varie puntate di questa triste storia, fornendo una relativa lista di links:


1. Le 24 ore d'insegnamento (in luogo delle 18 del CCNL);
2. La ridicola mercede dell'operaio docente (altro che lavorar poco!).




Se altre idee mi verranno in mente, questo stesso elenco subirà modifiche.


Per intanto, che altro aggiungere?


Semplice, l'invito pressante ai miei colleghi di ...



RESISTERE! RESISTERE! RESISTERE!




D'altra parte, se non siamo noi a pensare a noi stessi chi lo farà per noi?



(immagine tratta da: http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTedbUhArC9ICsVpSKls-6X9DdypsUPpskwcVRCR7AwHjAEglEC)

venerdì 11 ottobre 2013

I docenti lavorano poco?



Sembra uno strano mantra ripetuto a tutte le latitudini e in genere da quanti questo lavorano non lo svolgono ogni maledetta mattina con utenti a dir poco "non scolarizzati" ...

I docenti lavorano poco ...

Siccome, però, è uno stereotipo, che ha a che fare, proprio per sua natura, con l'insondabile inconscio sociale che ci agita e che decide al posto nostro quali debbano essere i punti "del fare" nell'agenda politica, anche in negativo s'intende, lo metto da parte, e rovescio la domanda:

I docenti lavorano poco?

Questa dovrebbe essere, a mio sommesso parere, "la" domanda che, infine, si sostanzia in un'altra, ben più materiale, ma importante ai fini esistenziali degli operatori in questo settore:

I docenti guadagnano a sufficienza?

Recentemente, Ichino è andato raccontando una sciocchezza che suonava più o meno così, e che manco a dirlo strizzava entrambi gli occhi al mantra precedente: "I docenti percepiscono poco perché lavorano poco" ...

Perché è una sciocchezza? Per il semplice fatto che si decontestualizzano dei dati per avallare una progettualità politica manco tanto nascosta, e consistente nel dequalificare, anche se a dirla tutta non se ne sente davvero il bisogno, specie agli occhi di utenti che già ci considerano "servi della gleba", il lavoro da noi diligentemente svolto ogni maledetta mattina. Ci dicono che dalle stime UE e dalle proiezioni OSCE il docente italiano lavora per un numero di ore ben al di sotto della media. Ragion per cui, appare scontata la conclusione finale: non può che guadagnare poco! A chi, però, lavora nel settore, questo ragionamento, che ormai ha conquistato i cuori dei più dei nostri rappresentanti parlamentari, suona non poco sinistro ...

Infatti, se desideriamo di più, dobbiamo lavorare di più ...

Ma lavorare di più, cosa significa per questo mestiere? Il problema dell'istruzione, pare ci dicano i nostri delegati assembleari, probabilmente gente che mai ha svolto in passato questo lavoro e che, ovviamente, si guarda bene dall'entrare in incognito in una normalissima classe del Regno per rendersi conto con i propri occhi cosa sia davvero questo lavoro, e di quanta energia richieda, e di quanto stress, umano e materiale, generi, è tutto nell'orario settimanale di servizio ...

Ergo, 25 ore  per le classi dell'infanzia, 22 ore settimanali per la primaria e 18 per la secondaria (art. 28 CCNL) sono poche ... se fossero almeno 40 cominceremmo ad adeguarci all'Europa!

Ma v'è un inghippo in tutto questo, un tranello infido ed occulto dietro tale ragionamento, apparentemente buono ... quale? Questo: un docente a 40 ore settimanali quanto dovrebbe essere retribuito? Infatti, quel che la parte datoriale ci dice è solo questo: "Lavori poco! Devi lavorare di più!" ...

Bene, e con quale stipendio?

Anche l'attuale contrattazione ministeriale relativa al rinnovo del contratto, scaduto nel 2009 e non più rinnovato, verte esclusivamente sulla parte normativa, sulla discussione inerente ai carichi di lavoro, ma non si mette sul piatto non un solo euro lordo in più ...

Si potrebbe pensare che data la ristrettezza economica, il Governo non se la senta di promettere quanto non può mantenere, ma che rinnovo contrattuale è se restiamo fermi alle posizioni stipendiali concordate nel 2006? Da allora son già passati sette anni e se consideriamo un rincaro medio del costo della vita del 2% annuo, vedete come il valore dello stipendio del docente sia diminuito del 15% ...

... e qui si parla solo dell'orario settimanale di servizio, e non delle ore gratuite elargite a titolo individuale per tutte le attività funzionali all'insegnamento che il docente deve svolgere a casa perché non può fare altrimenti, dato che, revisione della spesa appesa sul collo delle istituzioni scolastiche, il suo "ufficio" di lavoro non garantisce più né supporti digitali né supporti materiali per l'effettuazione dell'offerta formativa ... dove correggere i compiti? E quando? E come preparare le lezioni? E dove? E dove trovare gli strumenti digitali opportuni? E quando? E così via ...

E lasciamo stare il discorso formazione in servizio perché faremmo notte!

Quindi lavora poco, allora è legittimo che guadagni poco.

Ma se lo facciamo lavorare di più, è legittimo che prenda altrettanto di ora?

Il cavallo di Troia della valutazione scolastica, infatti, è funzionale a questa retorica: non aumentiamo di un centesimo la spesa corrente, ma distribuiamo non più "a pioggia", vale a dire indistintamente, le risorse attuali, e diamo qualcosina in più a pochi e tanto meno a tutti gli altri ...

Così, futuribili assetti organizzativi, peraltro pensati e voluti "dall'esterno", pensano solo a giustificare pesanti aumenti dell'orario di servizio senza però concedere nulla dal punto di vista retributivo ...

Il tono sempre più imperativo al riguardo esprime forse un epocale cambiamento di prospettiva sull'istruzione: settore strategico, ma non per il futuro del Paese, ma perché consente il risparmio di risorse con operatori che tirano il carretto a qualsiasi condizione e senza rifiutarsi in blocco di farlo ancora ... se ci aggiungiamo che le classi sono ormai ingestibili, diventa chiaro che la scuola italiana sia più un'agenzia pubblica di baby sitting che luogo di formazione e promozione umane ...

Ma veniamo alle tasche dei docenti ...

Sulla base dell'orario previsto all'art. 28 del defunto contratto (innovato in parte ed unilateralmente in questi anni nel senso di una progressiva riduzione dei diritti di quanti lavorano a scuola ...), i docenti italiani prendono rispettivamente, udite gente:

docente scuola infanzia e primaria: € 19324,27 su dodici mensilità;
docente scuola secondaria primo grado: € 20973,22 su dodici mensilità;
docente scuola secondaria secondo grado: € 20973,22 su dodici mensilità.

Ora facciamo due conti e ci accorgiamo che lo stipendio lordo mensile di un docente alla posizione più bassa, inizio carriera (condizione che sostanzialmente accompagna il docente per gran parte della sua vita professionale ...), è di

docente scuola infanzia e primaria: € 1610,35
docente scuola secondaria primo grado: € 1747,76
docente scuola secondaria secondo grado: € 1747,76

Se poi consideriamo che comunque un docente paga le ritenute IRPEF direttamente "alla fonte" e deve anche contribuire (di tasca propria), sempre "alla fonte", alla costituzione dei suo TFR, su questi emolumenti, riceverà tramite bonifico bancario una cifra molto al di sotto. Di quanto? Prendiamo il mio caso ...

Posizione iniziale,

pago lo 0,350% su quota 100 per il Fondo credito;
pago il 2,50 % su quota 80 per il TFR;
pago lo 8,800 su quota 100 come contributo INPDAP;
aliquota IRPEF compresa tra il 24,170 e il 27% su un imponibile pari al 70% della retribuzione lorda;

risultato:

€ 211,33 se ne vanno "alla fonte" come totale delle ritenute previdenziali (ma li rivedrò mai un giorno sotto forma pensionistica?);
€ 347,59 se ne vanno come ritenute IRPEF.

Tutto finisce qui? Ovviamente, no.

In genere, bisogna aggiungervi:

addizionali IRPEF, regionale e comunale, acconto e saldo, che mensilmente (per nove mesi l'anno), per tutto l'anno solare 2013, ammontano a € 57,45;
eventuale contribuzione a Fondo pensionistico complementare (per il discorso della pensione a fine carriera o, se si preferisce, fine vita, data l'irritante retorica della long life ...), nel mio caso pari al 5% della retribuzione lorda, quindi altri € 96,25 se ne ve vanno alla fonte ...

Finiamo adesso i nostri calcoli ... quanto è il totale delle trattenute in busta paga? € 667,98 ...
Quant'era il lodo? ... € 1964,67 (allo stipendio tabellare su dodici mensilità vanno aggiunte altre mance come la IIS conglobata, eventuali assegni familiari per prole, la voce retribuzione professionale docenti, l'indennità da vacanza contrattuale cui fa da contraltare un aumento progressivo della tassazione che ometto per privacy ...) ...
Quanto resta al mese? ... € 1336,48 ...

Molto? Ogni valutazione in merito, però, andrebbe rapportata a cosa significa davvero svolgere questo lavoro ... e non pretendere al contrario di moralizzare ...

Ergo, un qualsiasi ministro della Repubblica, e segnatamente quello dell'economia, oltre ovviamente a quello competente in materia, andrebbe catapultato direttamente dentro una qualsiasi classe prima di un nido, o di primaria, o seconda delle medie o prima di un professionale, anche solo per un'ora e solo dopo dovrebbe dire se quel totale netto è molto ...

Diciamoci la verità, a ben guardare è una miseria, uno stipendio da fame, uno stipendio ridicolo, ma chi ragiona astrattamente in termini di carichi di lavoro non solo non ha idea di cosa sia oggi questo mestiere ma nemmeno vuol saperlo perché ha a cuore un altro obiettivo (far quadrare i conti gravando tutto il peso sull'istruzione) ...

Volete sapere qual è? Giochiamo tutto sulla disperazione della gente ed assecondiamo l'adagio popolare secondo il quale "mal comune, mezzo gaudio" in modo tale da peggiorare le condizioni di tutti anziché provare ad elevare lo standard ...

Si tratta di un adagio profondamente ipocrita che risponde al desiderio di vedere rovinati gli altri, ma è cieco perché non consente di rendersi conto che nel frattempo anche noi siamo rovinati ...

Mal comune, infatti, è solo mal comune ...

Sul masochismo del personale, comunque, mi riservo di tornare ...

E questo è tutto gente!


(immagine tratta da: http://www.ceisroma.it/upgrade/wp-content/uploads/2012/07/docente-comandato-comunita-terapeutiche-droga.jpg)



martedì 3 settembre 2013

La disfatta della scuola italiana ...



É facile comprendere quel che è accaduto alla scuola italiana, la natura di quello tsunami che l'ha resa ancora più povera e scassata e i suoi operatori ancora più dimessi e dequalificati di quanto non fossero solo trent'anni a questa parte. 


Certo, la scuola è sempre stata la “cenerentola” della spesa pubblica (si dice che le priorità sono altre …), ma negli ultimi dieci anni le cose sono decisamente peggiorate, e per giunta con un trend che, visto da dentro, comincia a fare davvero paura. 


Ora, per comprendere il progressivo definanziamento della scuola, e il ragionamento perverso che vi sta dietro, basta prendere in considerazione quanto dice Floris:

invece di affrontare il problema della qualità della spesa, nei momenti di crisi ci limitiamo a chiudere il rubinetto, magari dirottando risorse dalla scuola alla sanità, altro gioiello dell'«azienda Italia». É come se noi, avendo a disposizione un'automobile vecchia, disastrata, che consuma troppo, invece di cambiarla ci limitassimo a ridurre continuamente la benzina che le mettiamo nel serbatoio. Risultato: la macchina si ferma. Null'altro[1]



Se ci pensiamo bene il ragionamento della precedente ministra dell'Istruzione, non di quell'attuale, suonava, più o meno così, “siccome spendiamo troppo senza un'adeguata efficienza, riduciamo la spesa” …



Questo abbiamo fatto alla scuola italiana: siccome va male, l'abbiamo priviamo delle risorse!



Ovviamente, qui non si parla di risorse aggiuntive o straordinarie, ma di quelle ordinarie, vale a dire quelle che servono al suo funzionamento attuale ...


Così, a mali cronici, come la fatiscente edilizia scolastica, abbiamo aggiunto una povertà imposta “a furor di popolo”, per via della qualunquistica crisi.



E le abbiamo aggiunto anche: 1) un contratto collettivo degli operatori scaduto nel 2009, e basato sull'inflazione attesa per il biennio 2007 – 2009, certo non quella reale – cosa di per sé utopistica – e non più rinnovato; 2) il blocco delle progressioni di carriera basate in precedenza su scatti retributivi automatici in funzione della raggiunta anzianità di servizio; 3) annuali provvedimenti di spending review millantati come revisioni di spesa, ma efficaci solo come ulteriori tagli lineari ad un settore già pesantemente colpito e danneggiato, nel fisico come nel morale.


Un'auto lasciata a secco, può solo fermarsi. E la scuola italiana lo sta facendo …


Ma Floris aggiunge ancora:


In realtà, mentre un'automobile si può fermare, la scuola non lo può fare. La macchina scuola deve continuare necessariamente a marciare, e quindi sapete chi li mette i soldi per il carburante?[2]


Floris non lo dice, ma la risposta è banale quanto disarmante: sempre noi!


Prima paghiamo tasse per servizi non più né garantiti né effettuati (la scuola …) e dopo paghiamo ancora (contributo scuola; donazioni; cessioni; elargizioni; raccolta fondi; etc.) per mandare avanti, seppur malamente, quegli stessi servizi che la crisi ha eliminato per spostare le risorse verso altre priorità …


Come non pensare all'IMU o all'IVA? Queste sì che sono priorità, mica gli effetti a medio – lungo termine sul PIL e sulla qualità dei futuri cittadini dello spegnimento progressivo, e tombale, dell'automobile scuola!


Note

[1] Cfr. G. Floris, La fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana, Rizzoli, Milano, 2008, p. 151.
[2] Ibidem.



(immagine tratta da: http://static.haisentito.it/haisentito/fotogallery/625X0/29593/scuola-alunni.jpg)

martedì 16 luglio 2013

La scuola di pochi ...

"le stesse forme di sapere e di pensiero tradizionalmente coltivate nei sistemi scolastici e formativi generano nuove forme di disparità, nuove barriere cognitive e comunicative che ostacolano la costruzione attiva e critica della conoscenza"

(R. Buono, Conoscenza e inclusione formativa, ESA, Pescara, 2010, p. 47)

La scuola divide.

Anche i suoi utenti.

Alcuni innalza, altri abbassa.

Sempre arbitrariamente.

Violentemente, anche.

Ma le moderne patologie che affollano la vita comune trovano un singolare risalto a scuola: incomunicabilità; barriere di varia natura; nuove disparità; e così via.

Se il contesto appare irrimediabilmente questo, come comportarsi di conseguenza? Quali azioni mettere in pratica, perlomeno per "salvarsi"? Quantomeno per apparire almeno un poco "decenti"?

La scuola di "tutti" diventa sempre più la scuola di "pochi", e non per forza di cosa anche "buoni" (la mia esperienza personale parla da sola ...).

E il mio lavoro, in passato il lavoro "per tutti", diventa sempre più l'avvilente e squalificante lavoro per "pochi", con una gamma schizofrenica di variazioni sul tema che passano dal "docente tutto-fare" al docente "usciere", passando ovviamente per il docente "secondino".

Che fine ha fatto la nostra speranza? che fine hanno fatto i nostri sogni quando pensavamo di esercitare in futuro proprio questa professione? E se si appiattiamo allo squallore del quotidiano, di una realtà già di per sé disperata, che merito ne avremo? In cosa saremo i cosiddetti "promotori di speranza"?

Ad internet, spero non equivalga al generico "nulla", affido questi miei pensieri "ad alta voce" ...


(immagine tratta da: http://www.ceisroma.it/upgrade/wp-content/uploads/2012/05/docenti.jpg)