É facile comprendere quel che è accaduto alla scuola italiana,
la natura di quello tsunami
che l'ha resa ancora più povera e scassata e i suoi operatori ancora
più dimessi e dequalificati di quanto non fossero solo trent'anni a
questa parte.
Certo, la scuola è sempre stata la “cenerentola”
della spesa pubblica (si dice che le priorità sono altre …), ma
negli ultimi dieci anni le cose sono decisamente peggiorate, e per
giunta con un trend
che, visto da dentro, comincia a fare davvero paura.
Ora, per
comprendere il progressivo definanziamento della scuola, e il
ragionamento perverso che vi sta dietro, basta prendere in
considerazione quanto dice Floris:
invece di affrontare il problema
della qualità della spesa, nei momenti di crisi ci limitiamo a
chiudere il rubinetto, magari dirottando risorse dalla scuola alla
sanità, altro gioiello dell'«azienda
Italia».
É come se noi, avendo a disposizione un'automobile vecchia,
disastrata, che consuma troppo, invece di cambiarla ci limitassimo a
ridurre continuamente la benzina che le mettiamo nel serbatoio.
Risultato: la macchina si ferma. Null'altro[1]
Se
ci pensiamo bene il ragionamento della precedente ministra
dell'Istruzione, non di quell'attuale, suonava, più o meno così, “siccome spendiamo
troppo senza un'adeguata efficienza, riduciamo la spesa” …
Questo
abbiamo fatto alla scuola italiana: siccome va male, l'abbiamo priviamo
delle risorse!
Ovviamente, qui non si parla di risorse aggiuntive o straordinarie, ma di quelle ordinarie, vale a dire quelle che servono al suo funzionamento attuale ...
Così,
a mali cronici, come la fatiscente edilizia scolastica, abbiamo
aggiunto una povertà imposta “a furor di popolo”, per via della
qualunquistica crisi.
E
le abbiamo aggiunto anche: 1) un contratto collettivo degli operatori
scaduto nel 2009, e basato sull'inflazione attesa per il biennio 2007
– 2009, certo non quella reale – cosa di per sé utopistica – e
non più rinnovato; 2) il blocco delle progressioni di carriera
basate in precedenza su scatti retributivi automatici in funzione
della raggiunta anzianità di servizio; 3) annuali provvedimenti di spending
review
millantati come revisioni di spesa, ma efficaci solo come ulteriori tagli
lineari ad un settore già pesantemente colpito e danneggiato, nel
fisico come nel morale.
Un'auto
lasciata a secco, può solo fermarsi. E la scuola italiana lo sta
facendo …
Ma
Floris aggiunge ancora:
In
realtà, mentre un'automobile si può fermare, la scuola non lo può
fare. La macchina scuola deve continuare necessariamente a marciare,
e quindi sapete chi li mette i soldi per il carburante?[2]
Floris
non lo dice, ma la risposta è banale quanto disarmante: sempre noi!
Prima
paghiamo tasse per servizi non più né garantiti né effettuati (la
scuola …) e dopo paghiamo ancora (contributo scuola; donazioni; cessioni; elargizioni; raccolta fondi; etc.) per mandare avanti, seppur
malamente, quegli stessi servizi che la crisi ha eliminato per
spostare le risorse verso altre priorità …
Come
non pensare all'IMU o all'IVA? Queste sì che sono priorità, mica
gli effetti a medio – lungo termine sul PIL e sulla qualità dei futuri cittadini dello spegnimento progressivo,
e tombale, dell'automobile scuola!
Note
[1]
Cfr. G. Floris, La
fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana,
Rizzoli, Milano, 2008, p. 151.
[2] Ibidem.
(immagine tratta da: http://static.haisentito.it/haisentito/fotogallery/625X0/29593/scuola-alunni.jpg)
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