"per
essere il più saldo di tutti, tale principio deve avere una certa
«proprietà» che mostra in che consista la saldezza del principio.
Diorismós è la parola che Aristotele introduce per indicare
questa «proprietà» - «caratteristica», o «determinazione» -
essenziale (1005b 23) […] «l'impossibilità di trovarsi in errore
rispetto alla bebaiotáte arché pasȱn» […] e cioè […]
«la necessità che sia sempre compiuto l'opposto dell'errare, cioè
l'essere nella verità […] rispetto a tale principio"
(Cfr.
e. severino,
Fondamento della contraddizione,
Adelphi, Milano, 2005, pp. 23 – 24)
Diorismós o non Diorismós?
Questo pare essere il problema fondamentale della dimostrazione aristotelica del principio più saldo di tutti, il bebaiotáte arché pasȱn, vale a dire la sicurezza di non potersi trovare in errore, ossia di trovarsi al di qua della falsità.
Ma il principio di non contraddizione garatisce proprio ciò? O è, piuttosto, una garanzia attiva nel senso di costringere il locutore razionale ad impegnarsi ad evitare la falsità?
Questo Aristotele non lo dice, e non poteva certo dirlo dal momento che l'ostacolo principale alla dimostrazione del principio di non contraddizione è proprio il rischio della circolarità: adoperare per dimostrare il principio di non contraddizione proprio l'oggetto della dimostrazione, ossia il principio medesimo ...
Ma se così è, sinceramente non riesco a comprendere per quale motivo Aristotele senta il bisogno di dimostrare il fondamento del pensiero stesso, il limite invalicabile di qualsiasi dimostrazione.
E penso anche che ciò sia stato così per motivazioni storiche che inevitabilmente ci sfuggono e continueranno a sfuggirci in futuro.
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