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venerdì 21 novembre 2014

Quale l'interesse di un bimbo di una coppia di genitori dello stesso sesso?

Mio figlio mi dà da pensare ...

Su annotazione della madre, scopro che ovunque vada si porta con sé tre dinosauri, papà tirannosauro, mamma tirannosauro e piccolo tirannosauro ....



Tra i tanti a sua disposizione, preferisce sempre i tre che prefigurano una famiglia al completo: mamma; papà e figlio! Tutti gli altri, infatti, non costituiscono una famiglia completa. L'identificazione della sua condizione filiale è scopertamente presente nel modello di oggettualizzazione ...


Bene, una normale proiezione oggettuale di una condizione esistenziale ben precisa, si direbbe.

Ma nei nostri tempi così incerti, confusi e ipocriti, si sostiene sempre più che non ci sarebbe nulla di male, anzi in molti casi sarebbe addirittura auspicabile, che coppie dello stesso sesso possano adottare dei figli. Allora, immagino la situazione possibile e mi chiedo: "quale proiezione oggettuale compirebbe un figlio di una coppia di genitori dello stesso sesso?". Due dinosauri mamma? Due dinosauri papà?

Poco male, risponderebbero i paladini delle pari opportunità, basta adattare opportunatamente i modellini e il problema è risolto. Ma questo è solo make up familiare nel senso che, ipocritamente, risolviamo il problema adattando la sua rappresentazione ...

Detto altrimenti, dotare il piccolo dinosauro di cui sopra di due genitori dello stesso sesso, risolve il problema dell'identificazione? E, conseguentemente, della costruzione della propria identità personale? Purtroppo non credo ...

Credo, piuttosto, che l'adattamento vada visto "alla rovescia". Infatti, non è la raffigurazione oggettuale che viene adattata alla (nuova) realtà genitoriale, ma è lo stesso modello familiare che si desidera adattare (verso nuove ed inedite configurazioni)! In altri termini, dotare il piccolo dinosauro di due genitori dello stesso sesso significa equiparare il modello familiare eterosessuale a nuove ed inedite configurazioni, con la, neanche tanto segreta, speranza che ciò basti a risolvere i tanti problemi che, invece, rimangono insoluti sullo sfondo.

Già, quali problemi? In breve:

1) una coppia eterosessuale genera, una coppia omosessuale non genera;
2) la prole di una coppia eterosessuale è generata, la prole di una coppia omosessuale è adottata;
3) la prole di una coppia eterosessuale è voluto in sé, la prole di una coppia omosessuale è voluto come mezzo di affermazione (sociale) di una parificazione;
4) una coppia eterosessuale ricerca l'interesse della propria prole, una coppia omosessuale non ricerca l'interesse della propria (?) prole.

Quindi, riassumendo, quel che preme alle coppie omosessuali non è tanto la procreazione in sé quanto piuttosto la procreazione quale strumento per l'affermazione narcisistica di una propria uguaglianza, in quanto "coppia", con l'analoga coppia eterosessuale. Ma, stanti i problemi taciuti (1) - (4), tale equiparazione è solamente una forzatura ideologica, poco naturale, e che suona uno scherzo, come offrire a mio figlio la raffigurazione di una famiglia omosessuale di dinosauri: due genitori dello stesso sesso e un figlio capitato là in mezzo non si sa bene come! 


Peraltro, il perseguire a tutti i costi un mezzo per superare il limite biologico alla procreazione configura una concreta ipotesi di privazione deliberata alla possibilità di conoscere la propria origine biologica come asse portante della propria identità personale. Tornando a mio figlio. Guardando i dinosauri, collega il piccolo di tirannosauro alla mamma dinosauro ("era dentro la pancia di ..."), inserendolo all'interno di una rete di relazioni parentali (la mamma - il papà - il piccolo - la "pancia" - l'uovo). Dunque, qual è l'interesse di un bimbo di una coppia di genitori dello stesso sesso? Soddisfare l'ego dei propri genitori oppure costruire un proprio "io"? E può costruirlo se, come nel caso presente, è sottratto alla base dalla conoscenza della propria origine biologica? Su quale asse portante potrebbe, di conseguenza, costruirlo?


lunedì 22 luglio 2013

Il matrimonio omosessuale è un diritto? FAQ

Il matrimonio omosessuale è un diritto? FAQ


(immagine tratta da: http://ioamolitalia.it/public/immagini/_resized/matrimonio-omosseuale_530X0_90.png)

Sollecitato in tal senso, offro una versione più "divulgativa" del precedente post (http://alessandropizzo.blogspot.it/2013/06/il-matrimonio-e-un-diritto.html). Spero sia apprezzato almeno tanto quanto lo è stato il precedente.

FAQ

Come mai per i "matrimoni gay" non può parlarsi di "diritto" rispetto ai soggetti che vorrebbero contrarlo?

L'unione tra due persone eterosessuali, libere e in possesso della capacità giuridica (18 anni), è inquadrata, dal Codice Civile come un negozio giuridico, in forza del quale un uomo e una donna dichiarano di volersi prendere rispettivamente come marito e moglie, e come un rapporto dal quale discendono conseguenze di natura e personale e patrimoniale. Questa è la famiglia, rigidamente eterosessuale.

Cos'è dunque la famiglia?

La famiglia è quindi l'effetto del matrimonio eterosessuale, ossia tra due persone di sesso differente, le quali contraggono unione agli occhi della legge, impegnandosi reciprocamente e conseguendo da tale unione precisi effetti civili, ossia patrimoniali.

Chi sono i coniugi?

Il Codice Civile declina in concreto l'inquadramento che della materia offre la Carta Costituzionale la quale (art. 29) parla nei termini di una società naturale fondata sul matrimonio e sulla parità, morale e giuridica, dei coniugi.
Nello stesso Codice peraltro si parla sempre di "marito" e di "moglie" ad indicazione del ruolo sociale attribuito ai singoli in quanto rispettive espressioni di due sessi differenti.
Ma il matrimonio è un diritto? 

Se lo è, sorgono dei dubbi, più o meno legittimi, sull'esclusione di alcuni soggetti dal poterlo liberamente contrarre. Ma il matrimonio eterosessuale tutto è fuorché un diritto nel senso che i soggetti interessati, un uomo e una donna, possono liberamente contrarlo ma non viene affatto loro garantita la relativa fruizione. 

E come mai due persone dello stesso sesso non potrebbero "sposarsi"?

Il nostro Codice Civile, in esecuzione del dettato costituzionale, stabilisce come i due contraenti il matrimonio assumano nuovi stati personali, di marito, nel caso del contraente uomo, e di moglie, nel caso del contraente donna. Ammesso, e non concessa, la possibilità di matrimoni per esponenti dello stesso sesso, sorge il problema dei relativi stati personali addotti dai due soggetti dello stesso sesso uniti in matrimonio.

Ma se lo vogliono, negarlo non è la violazione di un diritto?

V'è, nella cultura moderna, un perdurante e imbarazzante equivoco il quale porta a pensare che qualsiasi desiderio personale, o, se si preferisce, capriccio, sia un diritto, ossia una pretesa personale legittima, e, quindi, meritevole di tutela: da promuoversi da parte della propria collettività di appartenenza. Il Codice Civile non qualifica la fattispecie del "matrimonio" nei termini di un diritto soggettivo, ossia di una pretesa legittima da promuovere, ma di un contratto stipulato liberamente tra due parti.

Se è equivoca la nozione comune di diritto, come mai la questione dei matrimoni omosessuali è irta di equivoci?

Ritengo come nel caso presente l'equivoco sia doppio: 1) si equivoca sul significato, in termini di diritti, della parola 'matrimonio'; e, 2) s'intende il matrimonio tutta quella serie di effetti giuridici e patrimoniali che il matrimonio come rapporto comporta. In realtà, infatti, è l'esclusione da questi effetti per le coppie dello stesso sesso che provoca reazione e, in alcuni casi, porta a parlare di discriminazione o di violazione di diritti dei soggetti. Ma è concettualmente infondato parlare del matrimonio omosessuale nei termini di un diritto: non lo è per le coppie eterosessuali, perché dovrebbe esserlo per quelle dello stesso sesso?

Allora perché gli omosessuali vi insistono?

In genere, essi argomentano più o meno nella maniera seguente:

Se i diritti non discendono dal tipo di coito che viene realizzato liberamente da due persone di diverso sesso, perché negare gli stessi diritti a due persone dello stesso sesso le quali liberamente decidono di dedicarsi al coito?

Esaminiamo questa argomentazione.

Essa presenta due possibilità diverse in equilibrio simmetrico: il coito eterosessuale e il coito omosessuale. In forza di questa simmetria, vieta qualsiasi differenza per relativi trattamenti giuridici pena la discriminazione degli uni come degli altri. Ma siccome nel primo caso sono garantiti dei diritti, in genere di natura patrimoniale tra i coniugi, e nel secondo caso no, ecco che scatta il meccanismo della rivalsa: siamo in presenza di una discriminazione in quanto ad alcuni vengono negati gli stessi diritti.

L'argomentazione è però erronea perché si contraddice dal momento che finisce con il legare il godimento di determinati diritti alla pratica del coito piuttosto che legarli alla personalità di chi la pratica. Se presa sul serio, allora, tale argomentazione finisce con lo spostare la titolarità del diritto in quanto tale dall'essere una persona al praticare una determinata azione. Fatto questo, dato che il desiderio soggettivo viene equiparato ad un 'diritto', si sostiene come nessuno possa impedirlo.

Dunque, sarebbe un diritto?

Se davvero il matrimonio è un diritto questo non discende dal fatto che un uomo e una donna pratichino il coito, ma dal fatto che decidono liberamente di unirsi nel rapporto giuridico del matrimonio. Il coito, per dirla altrimenti, è secondario rispetto alla liceità della contrazione di matrimonio. Peraltro, gli effetti personali e patrimoniali, cruccio delle coppie omosessuali, non derivano dal tipo di coito che viene praticato, etero o omo, ma dal matrimonio come rapporto (tra due persone di sesso differente). Questo perché non ha senso far discendere una conseguenza giuridica, peraltro delicatissima come un diritto soggettivo, non dall'essere una persona, ossia dalla nascita, ma dal momento in cui la stessa sceglie di praticare il coito in una certa maniera.

Nel voler giustificare la pretesa del matrimonio omosessuale si finisce con il rovesciare il fondamento antropologico del diritto, spostando il soggetto del diritto dalla naturalità della persona in quanto tale, alla secondarietà della persona che, ad un certo punto, sceglie di vivere in un certo modo e, conseguentemente, produce determinate pratiche materiali.

In conclusione?

Il matrimonio non è un diritto e non può essere invocato come tale dalle coppie dello stesso sesso. Il non prevederne la possibilità non è, per logica conseguenza, una discriminazione: non sussistendo in caso contrario un diritto, quanti vengono esclusi non possono in alcun modo sentirsi privati di una possibilità positiva. Piuttosto, dal momento che in ogni caso bisogna parlare dei diritti delle persone è pensabile ad un miglioramento del trattamento patrimoniale dei soggetti costituenti delle coppie omosessuali. Questo è fattibile, ma senza mettere mano al diritto di famiglia. Peraltro, se il reale desiderio delle coppie omosessuali è godere di maggiori diritti, che senso potrebbe avere forzare l'istituto del matrimonio secondo i propri desiderata?
Non sarebbe più facile praticare questa via anziché scegliere di "scimmiottare" il matrimonio eterosessuale?




mercoledì 5 giugno 2013

Il matrimonio è un diritto?



Il matrimonio è un diritto?
Perché quello omosessuale  non lo è.

Alieno a qualsiasi ipocrisia sulla materia, pur essendo il Nostro un Paese fondamentalmente ipocrita, e certo di farmi dei nemici per quel che dirò, e sosterrò (ma non pretendo ipocritamente di essere amico di tutti), spiegherò brevemente perché, a mio sommesso parere, nel caso dei cosiddetti "matrimoni gay" non può in nessun caso parlarsi di "diritto" (dei soggetti che vorrebbero contrarlo).


La  mia idea segue due strade differenti, una prende ad esempio il caso dei matrimoni eterosessuali mentre l'altra cerca di prendere sul serio una delle argomentazioni in forza della quale i sostenitori parlano di "violazione dei diritti", analizzando (almeno) una delle conseguenze paradossali che proprio tale argomento comporta (se preso sul serio).


L'unione tra due persone eterosessuali, libere e in possesso della capacità giuridica, che nel Nostro ordinamento si consegue al compimento della maggiore età (18 anni), è inquadrata, come materia giuridica, dal Codice Civile il quale lo definisce nei termini di negozio giuridico, in forza del quale un uomo e una donna dichiarano di volersi prendere reciprocamente come marito e moglie, e come un rapporto dal quale discendono conseguenze di natura e personale e patrimoniale. 


La famiglia è pertanto l'effetto del matrimonio eterosessuale, ossia tra due persone di sesso differente, le quali contraggono unione agli occhi della legge e s'impegnano personalmente nel loro rapporto, conseguendo dallo stesso precisi effetti civili, ossia patrimoniali.


Il Codice Civile, peraltro, declina in concreto l'inquadramento fondamentale che della materia offre la Carta Costituzionale la quale all'art. 29 ne parla nei termini di una società naturale fondata sul matrimonio e sulla parità, morale e giuridica, dei coniugi[1].


Nello stesso Codice peraltro si parla sempre di "marito" e di "moglie" ad indicazione del ruolo sociale attribuito ai singoli in quanto rispettive espressioni di due sessi differenti.


Ora, il matrimonio così stabilito è un diritto? Se lo è, sorgono dei dubbi, più o meno legittimi, sull'esclusione di alcuni soggetti dal poterlo liberamente contrarre. Questo almeno uno dei sentieri che i fautori del matrimonio omosessuale battono nella loro rivendicazione: essendo un diritto, escludere dei soggetti dal poterlo contrarre si configura nei termini di una discriminazione, ossia di una violazione dei diritti che spettano alle persone in quanto tali.


Ma il matrimonio eterosessuale tutto è fuorché un diritto nel senso che i soggetti interessati, un uomo e una donna, possono liberamente contrarlo ma non viene affatto loro garantita la relativa fruizione. La funzione del Codice Civile, peraltro, stabilisce come i due contraenti il matrimonio assumano nuovi stati personali, di marito, nel caso del contraente uomo, e di moglie, nel caso del contraente donna[2]. Ammesso, e non concessa, la possibilità di matrimoni per esponenti dello stesso sesso, sorge il problema dei relativi stati personali addotti dai due soggetti dello stesso sesso uniti in matrimonio.


V'è, nella cultura moderna, un perdurante quanto imbarazzante equivoco il quale porta a pensare che qualsiasi desiderio personale, o, se si preferisce, capriccio, sia un diritto, ossia una pretesa personale legittima, e, quindi, meritevole di tutela: da promuoversi (da parte della propria collettività di appartenenza). Il Codice Civile non qualifica la fattispecie del "matrimonio" nei termini di un diritto soggettivo, ossia di pretesa legittima da promuovere, ma di un contratto stipulato liberamente tra due parti.


Francamente, penso che l'equivoco nel caso presente sia doppio: 1) si equivoca sul significato, in termini di diritti, della parola 'matrimonio'; e, 2) s'intende il matrimonio tutta quella serie di effetti giuridici e patrimoniali che il matrimonio come rapporto comporta. 

In realtà, infatti, è l'esclusione da questi effetti per le coppie dello stesso sesso che provoca reazione e, in alcuni casi, anche sdegno e che, con molta probabilità, suppongo, porta a parlare di discriminazione o di violazione di diritti dei soggetti.


Ma è concettualmente infondato parlare al riguardo del matrimonio omosessuale di un diritto: non lo è per le coppie eterosessuali, perché dovrebbe esserlo per quelle dello stesso sesso?



Veniamo ora all'esame di un'argomentazione che i sostenitori dei matrimoni gay generalmente usano per giustificare la loro pretesa ad una tutela giuridica delle unioni tra soggetti dello stesso sesso.

Costoro argomentano più o meno nella maniera seguente:

Se i diritti non discendono dal tipo di coito che viene realizzato liberamente da due persone di diverso sesso, perché negare gli stessi diritti a due persone dello stesso sesso le quali liberamente decidono di dedicarsi al coito?

Mettendo tra parentesi la presenza di fondo dell'equivoco di cui sopra circa la natura e la definizione dei 'diritti', esaminiamo questa argomentazione.

Essa presenta due possibilità diverse in equilibrio simmetrico: il coito eterosessuale e il coito omosessuale. In forza di questa simmetria, vieta qualsiasi differenza per relativi trattamenti giuridici pena la discriminazione degli uni come degli altri. Ma siccome nel primo caso sono garantiti dei diritti, in genere di natura patrimoniale tra i coniugi, e nel secondo caso no, ecco che scatta il meccanismo della rivalsa: siamo in presenza di una discriminazione in quanto ad alcuni vengono negati gli stessi diritti.


Vista più nello specifico, l'argomentazione è erronea in quanto si contraddice internamente dal momento che finisce con il legare il godimento di determinati diritti alla pratica del coito piuttosto che legarli alla personalità di chi la pratica. Come a dire, se presa sul serio, che tale argomentazione finisce con lo spostare la titolarità del diritto in quanto tale dall'essere una persona al praticare una determinata azione. Peraltro, cosa che comincia con il non sostenere, giungendo infine, invece, proprio a sostenere tale derivazione.


Se davvero, ma non è certo questo il caso, per le ragioni viste in precedenza, il matrimonio è un diritto questo non discende dal fatto che un uomo e una donna praticano il coito, ma dal fatto che decidono liberamente di unirsi nel rapporto giuridico del matrimonio. Il coito, per dirla altrimenti, è secondario rispetto alla liceità della contrazione di matrimonio. Peraltro, gli effetti personali e patrimoniali, il vero cruccio delle coppie omosessuali, non derivano dal tipo di coito che viene praticato, etero o omo, ma dal matrimonio come rapporto (tra due persone di sesso differente). Questo perché non ha senso far discendere una conseguenza giuridica, peraltro delicatissima come un diritto soggettivo, non dall'essere una persona, ossia dalla nascita, come recita il Codice Civile, ma dal momento in cui la stessa sceglie di praticare il coito in una certa maniera.

Nel voler giustificare surrettiziamente, ossia senza alcun appiglio alle fonti del diritto interno, gli omosessuali, e chi per loro, finiscono con il rovesciare il fondamento antropologico del diritto stesso, spostando il soggetto del diritto dalla naturalità della persona in quanto tale, e prima di qualsiasi sua attività concreta, alla secondarietà della persona che, ad un certo punto, sceglie di vivere in un certo modo e, conseguentemente, produce determinate pratiche materiali.

Il matrimonio non è un diritto e, pertanto, non può essere invocato come tale dalle coppie dello stesso sesso. Il non prevederne la possibilità non è, per logica conseguenza, una discriminazione: non sussistendo in caso contrario un diritto, quanti vengono esclusi non possono in alcun modo sentirsi privati di una possibilità positiva.

Piuttosto, dal momento che in ogni caso bisogna parlare dei diritti delle persone, oggetti non disponibili alla contrattazione culturale e/o politica, è pensabile ad un miglioramento del trattamento patrimoniale dei soggetti costituenti delle coppie omosessuali. Questo è fattibile, ma senza mettere mano al diritto di famiglia.


Peraltro, se il reale desiderio delle coppie omosessuali è godere di maggiori diritti, che senso potrebbe avere forzare l'istituto del matrimonio secondo i propri desiderata?


Anzi, se l'obiettivo concreto sono i diritti soggettivi da fruire, per quale perverso motivo accanirsi contro il modello del matrimonio eterosessuale? Non sarebbe più facile, e meno irto di difficoltà, culturali e giuridiche, praticare questa via anziché scegliere di "scimmiottare" il matrimonio eterosessuale?


La stessa esperienza francese insegna come aprire ai matrimoni omosessuali presenti uno sconvolgimento tale del diritto interno, e che tocca materie diverse ma collegate, da chiedersi se il matrimonio ottenuto sia lo stesso cui si tendeva o non piuttosto una sorta di surrogato giocato tutto sul politically correct della lingua.

Per alcuni la forma è sostanza, per me, piuttosto, si scherza con le parole senza accedere mai per davvero alla sostanza delle cose. I diritti, per carità, sono ben altra cosa ed andrebbero difesi per davvero ai nostri giorni dal momento che sempre più concretamente vengono messi a repentaglio dalla comoda scusa della crisi per far venir meno il loro sostentamento, ossia la loro tutela e promozione, restando scomodi ma graditi ospiti sulla carta di qualche dichiarazione o invocazione.

Note
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[1] Art. 29 Cost.: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge e garanzia dell'unità familiare".
[2] Art. 143 c.c.




(immagine tratta da: http://www.pronews.it/wp-content/blogs.dir/3817/files/2013/02/matrimonio-gay-2.jpg)