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venerdì 30 ottobre 2020

venerdì 19 febbraio 2016

Tentazioni

"1-2: In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame.

3-4: Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"».

5-7: Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede"». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: "Non tentare il Signore Dio tuo"».

8-11: Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: "Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto"». Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano"

(Mt IV, 1 - 11)

Queste parole ci interpellano personalmente perché quel che accade a Gesù è lo stesso che accade anche a noi, nella nostra immediata quotidianità, e molto più spesso di quanto non si sia in grado di riconoscere.




Innanzitutto, la situazione iniziale. Il deserto. Non l'amena immagine o fantasia che possiamo coltivare di un luogo esterno privo di civilizzazione, ma, all'esatto contrario, l'assenza di umanità che prova e che prostra, anche quando non ce ne accorgiamo, anche quando così non ci sembra, anche quando non siamo disposti a riconoscerlo. Ecco che lo spazio luminoso e vivido che dimoriamo assume le fattezze sinistre del deserto, dell'abbandono, dell'assenza di umanità, della metafora di quella umana condizione che consiste nella vulnerabilità, nella debolezza, nella fragilità ...




In questi momenti, si prova solitudine, sofferenza, inquietudine, e fame .... fame spirituale certo, ma anche fame morale, anche fame materiale ...




E questa situazione di inaridimento esistenziale ci espone all'attacco, al tranello, alle tentazioni. Gesù condivide con noi, con tutti noi, con ciascuno di noi, la pienezza della condizione umana, eccetto il peccato, e sperimenta su di sé l'asperità della vita terrena, il deserto, la fame, le tentazioni.



Proprio quando è più vulnerabile, l'avversario gli si accosta e si sente la sua voce astuta. Egli conosce ed usa, ma in modo strumentale, le scritture, al fine di indurre nella confusione, nel non retto discernimento, nell'equivoco, e, quindi, nel peccato.

L'invito a tramutare le pietre in pane è la prima e fondamentale tentazione che colpisce l'uomo, ovvero quella di radicarsi nel mondo, in una condizione solamente materiale, disconoscendo così quella spirituale. Il serpente, strisciante e misterioso, colpisce direttamente l'umanità nella sua fragilità. Hai fame? Mangia! Hai fame e sei Dio? Usa i tuoi poteri per trasformare i sassi nel tuo cibo.

Questa è la tentazione del pane ...

Ma Gesù gli replica: il cibo è importante per l'uomo, ma non è tutto. Di gran lunga più importante è la comunione con Dio, ovvero cibarsi del pane del cielo.

Successivamente, allora, ancora, il tentatore lo conduce sulla sommità del Tempio e lo tenta ancora, con le antiche parole delle prime tentazioni ... sei Dio, no? E allora gettati di sotto, tanto gli angeli accorreranno a salvarti. Ancora, il serpente distorce le parole bibliche per ingannare gli uomini, e separarli così da Dio. Pensa a salvarti tu, agli altri penseranno altri. Quante volte abbiamo sentito questa tentazione? quante volte abbiamo concepito questo pensiero? Quante volte la voce del serpente è giunta, sinistra e misteriosa, alle nostre umili orecchie? Pensa a te stesso, degli altri non curarti ...

Ma Gesù, ancora, gli replica: non tentare il Dio tuo! E non facciamo spesso così anche noi? Salvaci, ma lascia morire gli altri ... quante volte l'egoismo si frappone tra noi e Dio? Quante volte il serpente si interpone tra noi e Gesù? Gesù potrebbe fare quanto propostogli dal tentatore, ma non lo fa. Potremmo chiedere a Dio chissà quali prodigi o miracoli, per noi o per altri, ma questa sarebbe fare la sua volontà? Di chi sarebbe, infatti, funzione questa richiesta? Questa preghiera? Questa orazione? Per chi la faremmo?

Questa è la tentazione del prestigio ...




Infine, Gesù viene portato in cima alla vetta di un monte altissimo e dall'alto il serpente gli mostra tutti i regni e le ricchezze della terra e gli pone l'ultimo, e più sottile, inganno: adorami, e tutto quello che vedi sarà tuo ...



Ancora una volta cerca di farsi adorare come un Dio, cerca di sottrarre le creature al Creatore, cerca di frapporsi fra le prime e l'Ultimo ... ma non propone i beni del cielo, solo i beni effimeri della terra! Eppure, la tentazione è forte, non solo per Gesù, ma per ciascuno di noi ... onore e potenza, ricchezza e sazietà!

Gesù, però, lo tacita, lo scaccia, lo disperde, con le parole del primo, e fondamentale, comando divino: solo a Dio renderai culto!

Ma quante volte abbiamo coltivato idoli? Quante volte abbiamo cercato il potere? Quante volte abbiamo ceduto alla seduzione della corruzione? Alla seduzione della potenza terrena? Sul mondo? Sugli altri? Millenni son passati, ma l'uomo è sempre lo stesso del racconto biblico, assaggia il frutto proibito e diventa come Dio ...

La tentazione del potere ...



(url: http://www.it.josemariaescriva.info/image/tentgde.jpg)

giovedì 11 luglio 2013

(Neo)realismo ...

"addio alla verità è non solo un dono senza controdono che si fa al «Potere», ma soprattutto la revoca della sola chance di emancipazione che sia data all'umanità, il realismo, contro l'illusione e il sortilegio"


(Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 112)



Quanti cianciano pro o contra il cd. Nuovo realismo per quale oscuro motivo non riescono a riconoscere nell'appello alla non emendabilità del reale la ragione più forte contro il dispotismo del Potere?


Ergo, se solo il reale può fare da contraltare alle liturgie del Potere, come mai i contrari al realismo non condividono la medesima aspirazione alla libertà?


Oscuri sono i moventi che ispirano gli uni e gli altri, tutti eccetto forse uno: per la necessità di collocarsi in una parte, in uno spazio, sentirsi parte di una fazione, per seguire una moda, con o contro, per restare così a galla nell'oceano dell'anonimato, che non per spirito di critica e/o di problematizzazione.


Abbiam davvero preso congedo da Kant, ma non si capisce bene per andare verso dove ...

lunedì 10 giugno 2013

Ce lo chiede l'Europa? Seconda parte



La ricchezza sul pianeta è a mercato chiuso nel senso che al momento non è possibile commerciare con Marte o Giove ragion per cui, di necessità, sullo stesso pianeta alcuni sono ricchi, altri sono poveri, alcuni esportano, altri importano. É la lezione ultima dell'economia classica: due attori che commerciano tra loro non sono equipotenti, ma uno dei due è più ricco mentre l'altro è più povero. Ma una ricchezza asimettrica nella sua distribuzione significa una cosa soltanto: una sproporzione del livello di vita vissuta dai singoli. La nuova frontiera attuale, infatti, si presenta agli occhi di Canfora come l'inveramento di antiche dottrine politiche, in primo luogo della schiavitù. Oggi certamente “ritorna la schiavitù”[1]. D'altra parte, “nuove schiavitù e virulento ritorno del razzismo si sorreggono a vicenda: sono due facce della stessa medaglia”[2]. Questo curioso fenomeno di ritorno all'antico e di attuali sue declinazioni coevi consente di attingere alle lezioni del passato, anche al fine di “alimentare la coscienza e la sete di giustizia dei moderni”[3].

Ma mentre l'asimettria economica del mondo moderno consente di riabilitare la conoscenza del passato, al fine di interpretare il mondo attuale, un'adeguata, quanto appropriata coscienza storica, consente anche di scorgere i limiti del nostro modello economico, altrimenti, quanto impropriamente, definito nei termini di 'modello di sviluppo'. In altri termini, il profitto non è affatto sacro. Anzi, ed ancor più radicalmente, il profitto non è affatto l'approdo definitivo della storia umana. Appare, allora, del tutto ingenuo a Canfora “immaginare che le società abbiano raggiunto il punto di arrivo, oltre il quale c'è solo la ripetizione in eterno”[4]. Il capitalismo, e con esso la teoria economica classica, è solo un momento, peraltro contingente, della storia umana, e non il suo termine.

É possibile scorgere, allora, una polarizzazione costante attorno a due visioni concorrenti: l'idea in forza della quale il capitalismo è la forma definitiva della storia umana e l'idea secondo la quale, al contrario, il capitalismo è solo uno dei tanti modi “di produzione”[5] scelti dagli uomini nel corso dei secoli, e come tanti altri che lo hanno preceduti, cedrà il passo a sua volta ad un altro, del tutto differente. Tuttavia, l'effetto ottico della fine del socialismo reale ha consentito che, nell'animo dei più, apparisse vincente, quanto eterna, l'idea dell'eternità del capitalismo. Invece, la “crisi che dura ormai da anni sta demolendo, nelle persone in buona fede, questo dissennato idòlum”[6].

Veniamo così al caso presente, ossia al nauseante ritornello con il quale i nostri governanti hanno imposto le imposizioni impopolari della BCE alle esistenze quotidiane di ciascuno di noi.

É l'Europa che ce lo chiede, è lo slogan con il quale è stata sdoganata una sostanziale marcia indietro per i nostri stili di vita, un ritorno a condizioni di lavoro e di vita precedenti al XX secolo. E siamo adesso impegnati nella difficile transizione, nel transito della “terra di nessuno”, dall'era precedente, tutelata e garantita, a quella attuale, povera e insicura. Già qualcuno, ed anche a livello istituzionale, ha cominciato a fiutare il nuovo corso delle cose e si è esposto in nove solenni dichiarazioni di principio. Improvvisamente, allora, scopriamo che il lavoro, proclamato al contrario come tale anche dalla nostra veneranda Costituzione, non è un diritto[7].

Sostanzialmente, allora, si può affermare sensatamente che si fa sta facendo avanti una nuova concezione dei diritti, non più stabiliti dalla coscienza degli uomini, ossia dalla loro sfera morale, ma dall'economia. A guardar bene, però, e Canfora è attento a far scorgere la differenza, la situazione vigente è il risultato dello scollamento moderno di 'morale' e di 'economia': due teorie in principio unite, hanno allontanato reciprocamente i rispettivi passi.

Così, i diritti non sono affatto un puno di approdo, se non definitivo almeno a lungo duraturo, ma una tappa dell'inesorabile cammino dell'età.

Adesso, e tristemente, “sappiamo che è possibile anche una marcia all'indietro, e che essa è cominciata. «Ce lo chiede l'Europa!»”[8].

Anche se non è vero. Anche se sappiamo come, invece, siano i soliti noti a chiderlo, chi è maggiormente favorito dall'attuale possesso del potere economico. Ma giustificare una marcia indietro sui diritti è cosa ardua, senza ricorrere alla strategia del falso nemico, del vertice sommo dal quale è impossibile difettare e con l'utile cappello terroristico della crisi economica.


(immagine tratta da: http://www.slowfood.it/slowine/assets/crisi-economica.jpg)


Note

[1] [1] Cfr. L. Canfora, È l'Europa che ce lo chiede!” (Falso!), Laterza, Roma – Bari, 2012, p. 52.
[2] Ivi, pp. 52 – 3.
[3] Ivi, p. 54.
[4] Ivi, p. 56.
[5] Ivi, p. 58.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 69.
[8] Ivi, p. 76.

venerdì 4 gennaio 2013

Rammendo!

In un recente post, ho preso in considerazione un frammento della Compagnia dell'anello di Tolkien, svolgendo le seguenti brevi riflessioni:

"1. dietro ogni metafora, trovano fusione elementi eterogenei in modo tale che ogni simbolo rinvia ad un insieme di concetti che cadono sotto la polarità bene - male;

2. la vicenda è riassumibile sotto due uniche grandi categorie: (a) la scelta del bene (o del male, a seconda del personaggio); e, (b) lafedeltà a tale scelta iniziale.

3. l'intera storia, lunga e densissima nelle sue molteplici sfaccettature, ha un'impalcatura semplice: metafora della vita umana, continua tensione tra amore (ossia, bene) e morte (ossia, male) lungo un crinale storico che per taluni si allunga vertiginosamente e che per altri si accorcia improvvisamente.

4. Tolkien affronta con ironia le vicende, talvolta davvero pesanti, che toccano i protagonisti, ma anche i comprimari, dall'alto di chi comunica nell'intreccio la sua superiore sapienza, con l'atteggiamento del narratore che crea senza, però, lasciarsi "toccare" più di tanto da quanto prende forma sotto le sue mani"

In questa sede, pensandoci intanto nel corso delle notti insonni, credo di aver tralasciato, più o meno conscientemente, il seguente elemento parimenti importante come i precedenti:

5. la storia collettiva delle varie specie presenti nell'universo simbolico di Tolkien, così come delle esistenze singole dei vari attori, è letta nei termini di una lotta per il potere.

La spasmodica ricerca dell'Unico Anello, la contesa tra i vari attori, le ripicche tra gli stessi, la guerra che serpeggia, l'odio tra umani e non umani, tra le terre libere e le terre sotto il dominio di Mordor, sono espressioni simboliche della segreta legge che presiede ai destini umani terreni, già scorta in passato dalla sapienza antica, come "padre di tutte le cose", e che consiste nel potere che mette chi lo detiene in posizione di vantaggio (e di arbitrio) e chi non lo possiede in posizione di svantaggio. 


Ma, e questo insegna Tolkien, nulla è posseduto per sempre, e il potere può passare di mano in mano. Come accade a Gollum che perde l'anello, come accade a Saruman che lo possiede indirettamente per poco, come accade a Frodo che lo perde a sua volta, come accade a Bilbo che ... e la storia prosegue. 

Così come prosegue la vita umana.


(immagine tratta da: http://www.rohirrim.it/downloads/Desktop/Forze%20oscure/flangbgemring_01_1024x768.jpg)