La
ricchezza sul pianeta è a mercato chiuso nel senso che al momento
non è possibile commerciare con Marte o Giove ragion per cui, di
necessità, sullo stesso pianeta alcuni sono ricchi, altri sono
poveri, alcuni esportano, altri importano. É la lezione ultima
dell'economia classica: due attori che commerciano tra loro non sono
equipotenti, ma uno dei due è più ricco mentre l'altro è più
povero. Ma una ricchezza asimettrica nella sua distribuzione
significa una cosa soltanto: una sproporzione del livello di vita
vissuta dai singoli. La nuova frontiera attuale, infatti, si presenta
agli occhi di Canfora come l'inveramento di antiche dottrine
politiche, in primo luogo della schiavitù. Oggi certamente “ritorna
la schiavitù”[1]. D'altra parte, “nuove schiavitù e virulento
ritorno del razzismo si sorreggono a vicenda: sono due facce della
stessa medaglia”[2]. Questo curioso fenomeno di ritorno all'antico
e di attuali sue declinazioni coevi consente di attingere alle
lezioni del passato, anche al fine di “alimentare la coscienza e la
sete di giustizia dei moderni”[3].
Ma
mentre l'asimettria economica del mondo moderno consente di
riabilitare la conoscenza del passato, al fine di interpretare il
mondo attuale, un'adeguata, quanto appropriata coscienza storica,
consente anche di scorgere i limiti del nostro modello economico,
altrimenti, quanto impropriamente, definito nei termini di 'modello
di sviluppo'. In altri termini, il profitto non è affatto sacro.
Anzi, ed ancor più radicalmente, il profitto non è affatto
l'approdo definitivo della storia umana. Appare, allora, del tutto
ingenuo a Canfora “immaginare che le società abbiano raggiunto il
punto di arrivo, oltre il quale c'è solo la ripetizione in
eterno”[4]. Il capitalismo, e con esso la teoria economica
classica, è solo un momento, peraltro contingente, della storia
umana, e non il suo termine.
É
possibile scorgere, allora, una polarizzazione costante attorno a due
visioni concorrenti: l'idea in forza della quale il capitalismo è la
forma definitiva della storia umana e l'idea secondo la quale, al
contrario, il capitalismo è solo uno dei tanti modi “di
produzione”[5] scelti dagli uomini nel corso dei secoli, e come
tanti altri che lo hanno preceduti, cedrà il passo a sua volta ad un
altro, del tutto differente. Tuttavia, l'effetto ottico della fine
del socialismo reale ha consentito che, nell'animo dei più,
apparisse vincente, quanto eterna, l'idea dell'eternità del
capitalismo. Invece, la “crisi che dura ormai da anni sta
demolendo, nelle persone in buona fede, questo dissennato idòlum”[6].
Veniamo
così al caso presente, ossia al nauseante ritornello con il quale i
nostri governanti hanno imposto le imposizioni impopolari della BCE
alle esistenze quotidiane di ciascuno di noi.
É l'Europa che ce lo
chiede, è lo slogan con il
quale è stata sdoganata una sostanziale marcia indietro per i nostri
stili di vita, un ritorno a condizioni di lavoro e di vita precedenti
al XX secolo. E siamo adesso impegnati nella difficile transizione,
nel transito della “terra di nessuno”, dall'era precedente,
tutelata e garantita, a quella attuale, povera e insicura. Già
qualcuno, ed anche a livello istituzionale, ha cominciato a fiutare
il nuovo corso delle cose e si è esposto in nove solenni
dichiarazioni di principio. Improvvisamente, allora, scopriamo che il
lavoro, proclamato al contrario come tale anche dalla nostra
veneranda Costituzione, non è un diritto[7].
Sostanzialmente,
allora, si può affermare sensatamente che si fa sta facendo avanti
una nuova concezione dei diritti, non più stabiliti dalla coscienza
degli uomini, ossia dalla loro sfera morale, ma dall'economia. A
guardar bene, però, e Canfora è attento a far scorgere la
differenza, la situazione vigente è il risultato dello scollamento
moderno di 'morale' e di 'economia': due teorie in principio unite,
hanno allontanato reciprocamente i rispettivi passi.
Così,
i diritti non sono affatto un puno di approdo, se non definitivo
almeno a lungo duraturo, ma una tappa dell'inesorabile cammino
dell'età.
Adesso,
e tristemente, “sappiamo che è possibile anche una marcia
all'indietro, e che essa è cominciata. «Ce
lo chiede l'Europa!»”[8].
Anche
se non è vero. Anche se sappiamo come, invece, siano i soliti noti a
chiderlo, chi è maggiormente favorito dall'attuale possesso del
potere economico. Ma giustificare una marcia indietro sui diritti è
cosa ardua, senza ricorrere alla strategia del falso nemico, del
vertice sommo dal quale è impossibile difettare e con l'utile
cappello terroristico della crisi economica.
(immagine tratta da: http://www.slowfood.it/slowine/assets/crisi-economica.jpg)
Note
[1]
[1] Cfr. L. Canfora, “È
l'Europa che ce lo chiede!” (Falso!),
Laterza, Roma – Bari, 2012, p. 52.
[2]
Ivi, pp. 52 – 3.
[3]
Ivi, p. 54.
[4]
Ivi, p. 56.
[5]
Ivi, p. 58.
[6]
Ibidem.
[7]
Ivi, p. 69.
[8]
Ivi, p. 76.
Nessun commento:
Posta un commento
Se desideri commentare un mio post, ti prego, sii rispettoso dell'altrui pensiero e non lasciarti andare alla verve polemica per il semplice fatto che il web 2.0 rimuove la limitazione del confronto vis-a-vi, disinibendo così la facile tentazione all'insulto verace! Posso fidarmi di te?