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lunedì 10 giugno 2013

Ce lo chiede l'Europa? Seconda parte



La ricchezza sul pianeta è a mercato chiuso nel senso che al momento non è possibile commerciare con Marte o Giove ragion per cui, di necessità, sullo stesso pianeta alcuni sono ricchi, altri sono poveri, alcuni esportano, altri importano. É la lezione ultima dell'economia classica: due attori che commerciano tra loro non sono equipotenti, ma uno dei due è più ricco mentre l'altro è più povero. Ma una ricchezza asimettrica nella sua distribuzione significa una cosa soltanto: una sproporzione del livello di vita vissuta dai singoli. La nuova frontiera attuale, infatti, si presenta agli occhi di Canfora come l'inveramento di antiche dottrine politiche, in primo luogo della schiavitù. Oggi certamente “ritorna la schiavitù”[1]. D'altra parte, “nuove schiavitù e virulento ritorno del razzismo si sorreggono a vicenda: sono due facce della stessa medaglia”[2]. Questo curioso fenomeno di ritorno all'antico e di attuali sue declinazioni coevi consente di attingere alle lezioni del passato, anche al fine di “alimentare la coscienza e la sete di giustizia dei moderni”[3].

Ma mentre l'asimettria economica del mondo moderno consente di riabilitare la conoscenza del passato, al fine di interpretare il mondo attuale, un'adeguata, quanto appropriata coscienza storica, consente anche di scorgere i limiti del nostro modello economico, altrimenti, quanto impropriamente, definito nei termini di 'modello di sviluppo'. In altri termini, il profitto non è affatto sacro. Anzi, ed ancor più radicalmente, il profitto non è affatto l'approdo definitivo della storia umana. Appare, allora, del tutto ingenuo a Canfora “immaginare che le società abbiano raggiunto il punto di arrivo, oltre il quale c'è solo la ripetizione in eterno”[4]. Il capitalismo, e con esso la teoria economica classica, è solo un momento, peraltro contingente, della storia umana, e non il suo termine.

É possibile scorgere, allora, una polarizzazione costante attorno a due visioni concorrenti: l'idea in forza della quale il capitalismo è la forma definitiva della storia umana e l'idea secondo la quale, al contrario, il capitalismo è solo uno dei tanti modi “di produzione”[5] scelti dagli uomini nel corso dei secoli, e come tanti altri che lo hanno preceduti, cedrà il passo a sua volta ad un altro, del tutto differente. Tuttavia, l'effetto ottico della fine del socialismo reale ha consentito che, nell'animo dei più, apparisse vincente, quanto eterna, l'idea dell'eternità del capitalismo. Invece, la “crisi che dura ormai da anni sta demolendo, nelle persone in buona fede, questo dissennato idòlum”[6].

Veniamo così al caso presente, ossia al nauseante ritornello con il quale i nostri governanti hanno imposto le imposizioni impopolari della BCE alle esistenze quotidiane di ciascuno di noi.

É l'Europa che ce lo chiede, è lo slogan con il quale è stata sdoganata una sostanziale marcia indietro per i nostri stili di vita, un ritorno a condizioni di lavoro e di vita precedenti al XX secolo. E siamo adesso impegnati nella difficile transizione, nel transito della “terra di nessuno”, dall'era precedente, tutelata e garantita, a quella attuale, povera e insicura. Già qualcuno, ed anche a livello istituzionale, ha cominciato a fiutare il nuovo corso delle cose e si è esposto in nove solenni dichiarazioni di principio. Improvvisamente, allora, scopriamo che il lavoro, proclamato al contrario come tale anche dalla nostra veneranda Costituzione, non è un diritto[7].

Sostanzialmente, allora, si può affermare sensatamente che si fa sta facendo avanti una nuova concezione dei diritti, non più stabiliti dalla coscienza degli uomini, ossia dalla loro sfera morale, ma dall'economia. A guardar bene, però, e Canfora è attento a far scorgere la differenza, la situazione vigente è il risultato dello scollamento moderno di 'morale' e di 'economia': due teorie in principio unite, hanno allontanato reciprocamente i rispettivi passi.

Così, i diritti non sono affatto un puno di approdo, se non definitivo almeno a lungo duraturo, ma una tappa dell'inesorabile cammino dell'età.

Adesso, e tristemente, “sappiamo che è possibile anche una marcia all'indietro, e che essa è cominciata. «Ce lo chiede l'Europa!»”[8].

Anche se non è vero. Anche se sappiamo come, invece, siano i soliti noti a chiderlo, chi è maggiormente favorito dall'attuale possesso del potere economico. Ma giustificare una marcia indietro sui diritti è cosa ardua, senza ricorrere alla strategia del falso nemico, del vertice sommo dal quale è impossibile difettare e con l'utile cappello terroristico della crisi economica.


(immagine tratta da: http://www.slowfood.it/slowine/assets/crisi-economica.jpg)


Note

[1] [1] Cfr. L. Canfora, È l'Europa che ce lo chiede!” (Falso!), Laterza, Roma – Bari, 2012, p. 52.
[2] Ivi, pp. 52 – 3.
[3] Ivi, p. 54.
[4] Ivi, p. 56.
[5] Ivi, p. 58.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 69.
[8] Ivi, p. 76.

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