Si tratta di una retorica a dir poco strana e che, pur se sotto varie forme, suona, in genere, grosso modo, così: "Dal momento che tu sei maggiormente tutelato di me, per il lavoro che fai e per i diritti che, di conseguenza, ti vengono riconosciuti, non hai diritto a lamentarti né dello stesso né dei limiti che lo stesso presenta".
Se a ripetermela è l'uomo qualunque, l'uomo della strada, l'uomo che sulla piazza discetta di tutto, e che nulla sa del mio lavoro, pregiudizi o stereotipi a parte, alzo le spalle e tiro avanti, d'altra parte neanch'io so nulla del suo lavoro, e, quindi, non potrei mai e poi mai rispondere a tono ...
Se a ripertermela, però, è un mio collega, il quale, anche se magari malamente, sa benissimo come funziona la scuola italiana, comincio a preoccuparmi ...
Riflettendoci sopra mi convinco che sia una sorta di manifestazione della paurosa marcia indietro sui diritti che caratterizza le democrazie occidentali!
Chi me la ripete, infatti, è un precario della scuola, mentre io, a torto o a ragione, sono un effettivo della scuola. Allora, ogniqualvolta io ponga in evidenza limiti e criticità del "mio" mestiere, ecco che laconica parte la retorica: "Hai il coraggio di lamentarti? Tu sei di ruolo, io no, quindi, evita di proferire lamenti!".
A ben guardare, però, i miei non sarebbero lamenti, ma il legittimo esercizio di un diritto di critica, anche nei confronti del "piatto nel quale mangio".
Siccome, però, c'è sempre qualcuno meno tutelato di me, per rispetto della sua condizione, io, di ruolo, non dovrei lamentarmi (e quindi ingoiare qualsiasi rospo!) ...
Portata all'estremo, tale retorica imbavaglia tutti perché ci sarà sempre qualcuno messo peggio e rispetto al quale nessuno potrà più sindacare alcunché sul proprio lavoro ...
Dover guardare al peggio significa non chiedersi cosa fare per estendere i diritti anche a chi ne è escluso, ma sostanzialmente ridurli progressivamente anche agli altri.
Insomma, si realizza una colossale opera di marcia all'indietro sui diritti: dal momento che non tutti ne fruiscono appieno, riduciamoli anche agli altri!
E se tu osi porre in essere punti di debolezza del tuo lavoro, come salario, orario di servizio, utenza, team, e così via, devi stare zitto!
Non parlare, non fiatare, non muoverti!
Non sbandierare ai quattro venti i tuoi drammi, non volere a tutti i costi rendere partecipi tutti delle tue miserie!
Ipocritamente, allora, si afferma che siccome hai ancora un lavoro, devi tenertelo stretto, per rognoso e "stretto" che sia ...
Il che significa anche tagliare il mio diritto di critica, imbavagliare la mia lingua ...
Fortuna che ci sono ancora i blog!
Peraltro, la cosa ancor più sorprendente è la seguente: se ti lagni di tale retorica, i tuoi stessi colleghi se ne fregano! Così, resti solo ... tu e il divieto di obiezioni!
Allora, però, la retorica in questione risulta infine falsa: se non posso lamentarmi, mi manca una tutela (della libertà di pensiero e parola) ...
... ma questo sarebbe un discorso troppo lungo che la retorica in questione derubricherebbe a mero sfogo, e per il quale non osta perderci tempo sopra ...
Lasciamo allora che il vento fluisca placido tra le canne che si specchiano sul mare ...
(immagine tratta da: http://psicologoinfamiglia.myblog.it/media/02/00/443447200.jpg)
... e lasciamo ai tanti psicologi d'accatto, così numerosi sul web (senza però aver mai studiato psicologia ...), l'onere di diagnosticare al sottoscritto patologie personali e/o professionali ...
E tuttavia solo una cosa ancora: machissenefrega di tali pareri manco richiesti? Narcisisticamente, questo bisogno di diagnosticare patologie negli altri, cosa sarebbe?
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