Memoria apocrifa di un mentitore
[Legenda: personaggi e abbreviazioni
Eubulide: introduttore – narratore
(E)
Parmenide (P)
Nessuno (N)
Isocrate (I)
Liudvig (L)
Okin (O)
Sisifo (S)
Froid (F)
Saggio1 (S1)
Saggio2 (S2)
Saggio3 (S3)
Argo (A)]
E: Io, Eubulide, nel
pieno possesso delle mie facoltà e sicuro dei miei ricordi, attesto
quanto segue, cercando di riprodurre, per quanto possibile, il
fruttuoso scambio di idee ed opinioni che fortunosamente noi mortali
avemmo in quella ridente quanto ventosa cittadina sita all'estremità
occidentale dell'isola a tre punte. Eravamo io, il venerando quanto
terribile Parmenide, Ulisse, che chiameremo giocosamente “Nessuno”,
Isocrate, noto storico locale, Sisifo, oscuro politico del luogo, tre
anziani del posto, un cane e tre curiosi quanto strani uomini i quali
hanno affermato di non appartenere alla nostra epoca. E non dubiterei
delle loro amene parole s'io avessi il privilego di guardare con i
miei occhi il loro bislacco abbiagliamento ... Francamente, la cosa
mi appare in sé quantomeno dubbia, ma come posso mettere in
discussione le loro amabili parole? Come posso non fidarmi di codeste
inconsuete persone? Insomma, perchè avrebbero dovuto mentirci?
Nemmeno io mento sempre, quindi abbiamo preso per buone le loro
parole e, in nome dell'antica usanza ellenica dell'ospitalità, li
abbiamo ospitato al nostro banchetto. Forse, però, abbiamo esagerato
con il vino, delizia degli dei, tanto che, in preda ai fumi della
digestione, ci siamo accomodati all'ombra sulla pubblica piazza e qui
qualcuno, non ricordo esattamente chi, ha tirato fuori una questione
molto di moda presso i pascoli, al punto che non temo diventi
argomento famoso anche presso le cornacchie sui tetti prima che la
stagione cambi. Siccome, però, di quella discussione sono il solo
testimone, chi legge prenda sul serio le mie parole e non faccia come
i poeti che, notoriamente, sono a tal punto gelosi dei loro versi da
considerare gli dei invidisioni. Non sono geloso di queste mie
memorie, non le considero parte di me, ma solo affabulazioni giocose
di un burlone della mia risma … ma c'è forse qualcuno che può non
prendermi sul serio? Che motivo potrebbero avere per temere ch'io
dica cose false? Solo che provengo dalla brulla Creta? E allora?
Ulisse, mio notissimo figlio della medesima terra, non andava forse
in giro a spacciare menzogne? Eppure, lui gode di fama nobile, astuto
e geniale, io invece per quale oscuro motivo dovrei esser considerato
un bugiardo? Allora, narrerò quella giornata come s'io la vedessi
ora davanti a me e mi nasconderò dietro le parole e i pensieri di
chi partecipò alla conversazione in quella occasione. Tu che le
leggi, accetta queste mie memorie, apocrife forse, ma veritiere. E
qualora dovessero mancare di corrispondere a come andarono i fatti in
tale occasione, non considerare di conseguenza come falso tutto
quello che narrerò, ma come verità mancate quel che non appare del
tutto vero e buone le altre cose che vi narro.
Nell'antica Lilybeum,
un gruppo di allegri personaggi siede su dei sedili nella pubblica
piazza, al riparo dal sole, e, tra un sorso di vino rosso e una
risata, si confrontano su un tema difficile: la realtà.
P:
eppur, per quanto la calura e questo caldo vento siriano mi
offuschino il pensiero e il rigore, penso che una cosa sola possa
dirsi della realtà …
I:
che cosa, o sommo Parmenide?
N:
sì, dicci saggio vegliardo, cosa può dirsi?
P: è
ovvio, però, per la barba di Eracle! Una cosa, ed una soltanto: che
è!
N: il
lume del tuo genio immortale ancora riverbera e bagna questa landa
aspra e brulla appena qua e là spruzzata dai toni severi degli
olivi. Ma dimmi, oh caro maestro, se della realtà può dirsi solo
che è, cosa può dirsi, invece, del sogno?
I:
inusitata silloge, questa, a parer mio, ma interessante metafora! Il
sogno non è realtà eppure, al pari delle cose che sono, esiste …
come ne usciamo, sommo Parmenide?
P:
non abbiam bisogno di uscirne, ritengo io, se è vero che quando
Pandora incautamente scoperchiò il vaso, solo una virtù rimase sul
suo fondo, la speranza …
O:
parole arcaiche volano alte per l'aere, credo, ma sogno e realtà non
sono la medesima cosa sembra …
L: e
dici bene, mio caro amico ignoto, ma più che le cose che sono quel
che sono, mi interessa sapere cosa succede, se succede, quando le mie
parole incontrano le cose che sono
P: e
dici il vero, mio caro amico (di bevute) …
L:
d'altra parte, se è vero, come penso, che i confini del mondo sono i
confini del mio linguaggio, quando quest'ultimo riesce a
rappresentare le cose del mondo? E cosa accade quando ciò succede?
I:
qualcosa di simile mi chiedo io quando studio il passato … abbiamo
non oggetti, che pur furono un tempo, ossia cose che non sono eppure
dobbiamo trattarle come se fossero
P:
quel che le cose sono, è comunque ben oltre quel che possiamo
saperne e pensarne e dirne, ma da questi sentieri perniciosi con
veemenza vi invito a distogliere i passi. Certo quando dico che la
realtà esiste, dal momento che la realtà esiste per davvero, allora
dico qualcosa di vero, altrimenti mentierei al riguardo, e sarei come
i cretesi che mentono sempre, almeno così narrano le cornacchie sui
tetti, no?
L:
allora, per internderti, se non fallo, che tutte le volte in cui una
mia proposizione rispecchia l'ordine delle cose che descrivo, le
proposizioni sono vere? Altrimenti sono false?
I: e
come potrebbe essere altrimenti, mio caro sconosciuto del tempo che
ancora dev'essere?
N:
temo, però, che sospinti dalle agili spinte di Eolo noi ci stiamo un
po' allontanando dalla questione in discussione: che la realtà
esiste mi pare una cosa banale, quasi inutile discuterne sopra, mi
incuriosisce di più, al contrario, indagare la sua negazione, come i
sogno, ad esempio, che non è reale eppure esiste al pari di … di
me, di voi, di questa città!
P:
Oh, nessuno, ardita e pericolosa è la tua lingua, scavezzacollo
alfine, ma ragionevole il tuo discorso: se della realtà può dirsi
che è, cosa può dirsi del sogno? Non è eppure esiste, come il
sole, la terra, le donne …
I: o
i fatti del passato, non sono più eppure esistono per noi storici …
S:
per non parlare, miei cari, dei fatti sociali, di per sé abbiamo a
che fare con astute invenzioni teoriche, eppure, in qualche modo,
siamo costretti a pensarli come esistenti, alla stessa stregua delle
cose del mondo!
F:
ancora non potete saperlo, signori di una volta, ma molti secoli a
seguire, scoprirete l'esistenza di tante altre cose che sfuggono pure
alla luce degli occhi!
L:
non anticipare i tempi, oh Froid! Lascia pure che si cullino ancora,
sia pure per poco, nell'innocenza che solo la mancata conoscenza
assicura! Ma torniamo al momento in cui dire che la realtà esiste
coincida con l'esistenza della realtà: cosa accade in questo caso?
Posso dire di incontrare la verità?
N:
verità? Cos'è la verità? Dov'è la verità?
I:
esiste qualcosa come la verità? Non fatemi ridere, ve ne prego, per
la feta di Minosse!
O: se
esiste qualcosa che noi tutti si possa chiamare univocamente verità,
allora dovremmo sbarazzarci di tutta quella complessità che le
scienze oramai han raggiunto. Ma, semplificando alquanto le nostre
parole, possiamo pure dire che la verità è quel luogo ove le
distanze tra le proposizioni linguistiche e la realtà delle cose
quasi si annullano, se non fosse che comunque le prime e la seconda
sono comunque due cose di natura del tutto differente
F:
hai detto bene, mio caro Okin, nemmeno io avrei saputo dirlo meglio,
sempre che il mio fantasma non prenda il sopravvento sulla mia debole
indole
N:
non seguo bene di cosa parlino lor signori, ma insisto nella
riproposizione del mio problema: il linguaggio che tutti noi
adoperiamo non ci consente, però, di parlare solo di quel che
esiste, ma anche di quel che non esiste. Allora, chi o cosa ci
garantisce nella verità?
P:
simili affermazioni, però, mi fan raggelare il sangue nelle vene:
quale uso dissennato del linguaggio può condurre a dire cose
siffatte?
L:
per scriteriate che siano, e lo sono, comunque le parole di Nessuno
dicono una porzione di verità: qual è il fondamento che invera le
nostre proposizioni?
O: i
fatti, forse?
N: ma
perché esistono i fatti forse?
I: il
discorso si fa interessante, a parer mio, infatti quelli del passato
li chiamiamo fatti, ma esistono forse?
N:
non sono, e allora come possiamo parlarne dal momento che solo di
quel esiste dovremmo poter parlare?
F:
eppure, noi sentiamo, percepiamo, conosciamo e parliamo anche di cose
che affatto sono, come le pulsioni che ci agitano e, in qualche modo,
ci influenzano … e tuttavia se non sono, come possiamo parlarne?
I:
penso, addirittura, se non erro, perché certo posso pure non dire
cose veritiere, che in certi casi i fatti o le cose di cui siamo
certi circa la loro esistenza, siamo proprio noi a costruirli …
P:
qual corbelleria son costretto a sentire?
S1:
non adirarti, caro venerabile, bisogna pur indagare la faccenda,
perlomeno per stabilire se, e in quali casi, quel che esiste, esiste
davvero …
S2:
Oppure, se, e in quali circostanze, qualcosa possa pure non esistere
…
S3:
Che, detto in altri termini, significa, né più né meno, stabilire
cosa possiamo conoscere, non trovate?
P: si
potrebbe anche pensarla in questi termini, sì
N:
ovviamente
I:
certamente
O:
senza dubbio
L:
dissodiamo, allora, senza posa, il marmoreo linguaggio
F: e
disveliamo gli inganni che senza cura l'inconscio deposita qua e là
…
P:
non so cosa sia tale inconscio, ma penso sia qualcosa di simile al
sogno, no? Allora, la realtà sicuramente esiste …
I: e
chi lo dice, oh caro Parmenide?
P:
come fai, mio caro amico, a mettere in dubbio proprio la base,
peraltro comune a tutti gli uomini, di ogni conoscenza?
N: ma
chi dice che sia davvero la base della conoscenza? E chi ci assicura
che sia comune a tutti gli uomini? Io posso dire che l'acqua è
fredda mentre un altro che è calda … chi dice il vero? E chi il
falso? E chi o cosa assicura che qualcuno dica il vero e qualcuno il
falso?
P: il
linguaggio, però, entro certi limiti, rispecchia la realtà. Quindi,
se uno dice che l'acqua è fredda mentre un altro dice che è calda,
è la realtà stessa a decidere della rispettiva verità o falsità
N:
non trovi, però, Parmenide, che in tal caso la verità sia un
concetto costruito? Ossia una categoria che noi mortali formuliamo
per un uso pratico e concreto, come dirimere le dispute, sempre
intorno alle parole, e mai intorno alle cose?
P: ma
se così fosse, mio caro Nessuno, che altro potremmo fare?
I:
stavolta ti do torto, Nessuno, e seguo le cautele di Parmenide:
sebbene limitato, il linguaggio è l'unico strumento che abbiamo …
L:
questo non comporti, però, gentili signori, indulgenza nei suoi
confronti! Molti, infatti, sono i suoi inganni, per tacere degli
errori in cerca dei quali immancabilmente, comunque, noi turri
dovremmo andare in cerca
F:
errori? Non parlerei in questi termini, quanto, piuttosto, nei
termini di finzioni linguistiche, di maschere enunciative con le
quali noi uomini agiamo
O:
anche la stessa conoscenza delle scienze è una finzione di natura
linguistica, per quanto, però, appaia dimostrabile tramite
esperimenti …
N:
altre finzioni, però!
O:
non lo nego, certo, ma non si tratta più, però, di finzioni come
quelle dei poeti o dei narratori, ossia di falsità create ad arte
per suscitare il diletto di chi le ascolta …
P:
chissà, cari amici, cosa penserebbe il sommo Omero di queste nostre
parole, ma veniamo all'obiezione mossami dall'astuto Nessuno …
N:
attributo datomi da altri, non mio …
I: un
esempio concretissimo di finzione, no?
N:
insomma, ma può starci
P: ma
penso che sarebbe più utile adoperare metafore per meglio intenderci
tra noi …
N: te
lo concedo, maestro!
I:
vediamo
F:
interessante!
O:
stimolante!
S1:
sperando che il flusso di pensieri e parole qui rifuso divenga chiaro
S2:
lo sarà, se è vero, com'è vero certamente, che le cose possono
essere come non essere …
S3: a
me, però, piacerebbe proprio sapere non come siano le cose, o se
possano essere, quanto piuttosto conoscere i limiti propri della
umana conoscenza, ecco!
S1:
penso che questa turba pensante di persone dabbene non possa mai
tradire questa nobile aspirazine, comune a tutti noi, no?
S2:
così pare, ma vediamo come evolve la discussione prima di trarne
giudizi affrettati
S1:
sì, vediamo, e conosceremo!
S3:
vediamo, ma decideremo in seguito se abbiamo anche conosciuto e cosa
P:
prendiamo allora, visto che siam d'accordo sull'uso delle finzioni,
questo cratere di buon vino
I: è
un cratere? Buono, davvero buono per esserlo del tutto …
N:
vedete, io ritengo che le percezioni che delle cose possiamo avere
varino da soggetto a soggetto e che la percezione in sé, che tanto
ci piace equiparare a conoscenza, non sia altro che una costruzione
sociale, non trovate?
P:
prosegui adagio, mio buon amico, non intendevo certo dir questo. Sì,
non è solo un cratere, dal momento che è empito con dell'ottimo
vino, tanto buono da annebbiare la vista e rendere pesante il capo,
ma dovremmo chiederci non cosa sia, ma se esiste. Insomma, è davvero
qui davanti a noi oppure no?
I:
posto il discorso presente in questi termini, temo che proprio
nessuno possa dire il contrario …
N: in
realtà, penso, che invece alcuni possano benissimo dire il contrario
…
P:
come il contrario? E negare anche l'evidenza? Oh, per i calzari di
Cadmo!
N:
lasciamo Cadmo della sua irrealtà onirica e veniamo a noi: certo che
qualcuno può benissimo affermare che ol cratere nella tua mano
destra non esiste, mio caro Parmenide, ma solo perché lo fa
arbitrariamente!
I:
intendi, non sensatamente?
N:
ovviamente!
L:
curioso modo di procedere … ma interessante sulle modalità che
l'interazione comunicativa segue … ma vi prego, illustri signori,
proseguite, continuate senza timori
F: se
il significato di quel che diciamo è il frutto delle interazioni, di
per sé dinamiche, tra parlanti, questo dibattito si profila davvero
interessante!
P:
francamente, trovo difficile seguirvi, ignoti signori del futuro, per
come vi siete presentati a tutti noi, nondimeno, però, torniamo a
questo cratere. Possiamo, dunque, affermare, e con sensatezza, che
esiste, nevvero? Ne convenite?
I:
arduo mi pare dire il contrario
N:
sì, se intendi dire, mio buon Parmenide, che quel qualcosa che
chiamiamo 'cratere' esiste …
P:
bene, tanto mi basta! E ditemi ma quella fontana laggiù non è forse
qualcos'altro di esistente? Che esiste come esiste il cratere che
tengo serrato nella mia mano destra?
I:
nessuno, penso, potrebbe negarlo
N:
no, nemmeno io, ma desiderei tanto sapere dove vuoi condurci, oh
Parmenide!
P:
sulla retta via, lungo il sentiero del giorno ove è chiarezza e
discernimento su quel che è e che non è, e, per conseguenza, su
quel che è pensabile e dicibile e quel che, al contrario, non è né
pensabile né dicibile …
N:
sì, la fontana … e allora, caro Parmenide? Esiste, d'accordo, ma
chiediamoci piuttosto: cosa esiste?
P: se
concedi così poco, caro Nessuno, da dover subito eccepire e porre
limiti, devo dedurne, forse, che poco t'interessi il fondamento di
ogni conoscenza e che, piuttosto, brami di sapere come noi tutti
conosciamo, con massimo disinteresse nei confronti di cosa viene
conosciuto?
N: il
punto è proprio questo, oh Parmenide: quella cosa là, la chiamiamo
'fontana', come mai? E quell'altra cosa, sotto ogni rispetto cosa
differente dalla 'fontana', ma pur esistente, la chiamiamo invece
'cratere': perché? Sarebbe come dire che costruiamo un nome con il
quale indichiamo tutte le cose simili, non trovi?
P:
posso concedertelo, ma ancora mi sfugge il bandolo dei tuoi pensieri
N:
arguta la tua battua, oh Parmenide, ma temo tu ti sbagli: i miei
pensieri non sono smarriti, al massimo corrono agili lungo i sentieri
ierti dei boschi, là ove sembra concentrarsi l'umanità stessa. Ma
come mai tante cose diverse vengono percepite come simili ed
etichettate sotto nomi comuni? Te lo sei mai chiesto, eh Parmenide?
P:
mai le veloci fanciulle del Sole mi dissero cose simili, né
tantomeno le agili giumente del desiderio mi sospinsero a tanto. Mi
ricordi molto, e sotto molti aspetti, il furore fremente del giovane
Patroclo. Ma, come i giovani, la tua esuberanza ti conduce ad un
facile errore …
N:
quale, di grazia?
P:
facile: confondere conoscenza e conosciuto!
N: e
che sarebbe mai, per la barba di Minosse!
P:
quell'errore al quale giungono coloro i quali tanto s'intestardiscono
dietro un pensiero ossessivo e finiscono con il sostituire il secondo
con la prima! Così, anziché concentrarsi sulla conoscenza finiscono
per farlo solo sugli oggetti di conoscenza. E tanto insistono che lo
spicchio di luce, peraltro già molto ristretto, attraverso il quale
ancora possono scorgere il mondo, si offusca del tutto. Al punto che,
più nessuna differenza essi scorgono tra la conoscenza e i
conosciuti, ed anzi: i secondi diventano la prima!
N:
così pensi, oh Parmenide? Non pensi anche di esagerare?
P:
affatto! Ma dimmi, piuttosto, come mai io chieda conto di quel che è
e tu invece mi chieda di indagare su come chiamiamo quel che è!
N:
forse perché le cose del mondo sono sì importanti, ma le
valutazioni lo sono molto di più!
P:
valutazioni? Da dove provengono? Chi ha parlato sinora di
valutazioni?
N:
non fingere, e non ingannarti, Parmenide, tutti noi qui riuniti,
sinora, abbiam proferito valutazioni, opinioni, interpretazioni sulle
cose del mondo, e questo è, appunto, il mio problema: come
costruiamo siffatte interpretazioni? O, per dirla, come i milesii,
come costruiamo il mondo?
P: ma
il mondo non lo costruiamo affatto, esso è, al contrario,
indipendente dalle nostre opinioni, così come dalle nostre
conoscenze! Potremmo anche chiamare il 'cratere' con un altri nome,
che so, 'piffero', eppure non per questo quel qualcosa che esiste e
che altrimenti chiamiamo 'cratere' cessa di esistere!
N: e
invece cessa proprio di esistere! E per noi che parliamo e per le
generazioni a venire le cui pratiche linguistiche non contepleranno
più l'applicazione del nome 'cratere' a oggetti siffatti!
P: il
cambio di nome fa venir meno gli oggetti cui vengono applicati? Ma
queli oscure stranezze mi tocca sentire! Che poi i milesii si
chiedevano altro …
N:
non fingere di non vedere, di non comprendere, una volta che una data
cultura chiama le cose con un certo nome e tale nominazione si
tramanda nel tempo, non importa più cosa sia quel qualcosa che
chiamiamo con quel nome, anzi: il significato del nome stesso risulta
costruito socialmente, come il frutto delle interazioni attive tra
parlanti …
P: ma
non è questo modo di procedere fallace? Le cose diventano nomi e
questi ultimi tutto quel che importa … se non sono strane queste
parole … dimmi, oh Isocrate, concordi con quel che dice Nessuno?
I: in
parte, forse, oh mio buon Parmenide, ma sul resto dissento nella
maniera più categorica ch'io conosca!
N: e
cosa, in tal caso, non vi convince?
I:
detto che i nomi restano etichette linguistiche che applichiamo alle
cose nello strenuo, quanto vano tentativo, di indicare, e riconoscere
come tali, le diverse cose presenti nel mondo, e che, pertanto, tali
nomi nulla dicono veramente sulle cose cui si riferiscono, e possono
cessare di essere utilizzate senza per questo influire affatto sulle
cose stesse, c'è del vero in quel che dice Nessuno: se un antico re
formula una tavola di leggi da rispettare, la validità di queste
ultime si arresta alla loro efficacia. Una volta che non sono più
efficaci, tali leggi, sebben valide, decadono, ossia muiono. In
qualche modo, allora, una volta che nessuno più le nomia, ossia le
proclama, gli oggetti di tali nomi, ossia i comportamenti condannati,
seguono il triste destino delle loro nominazioni, ossia decadono.
Sapessi quante volte, mio caro Parmenide, mi sono imbattuto in simili
situazioni! Raccolte di leggi, codici, di società defunte, come le
loro leggi!
P:
questo, però, mi appare solo uno spostamento d'interesse, dalla
conoscenza ai conosciuti, senza dir nulla di sensato intorno
all'esistenza delle cose!
I:
prendiamo ad esempio il mio lavoro, Parmenide: il pio Krasto, sovrano
di Elimi, a tal compito mi ha destinato, nel ricostruire il passato
di antiche civiltà. Ed umilmente mi sono dedicato, anima e corpo, a
tale lavoro. Tuttavia, ogniqualvolta trovo una stele o una tavoletta
di coccio con delle iscrizioni mi pongo il seguente problema: quanto
ho davanti è una cosa reale oppure no? Inizialmente, si potrebbe
rispondere di sì, dal momento che maneggio qualcosa in mano, ma la
cosa mi fa problema. D'altro canto, essendo quel che maneggio una
testimonianza di una civiltà che non esiste più, dovrei, più
sensatamente, affermare che non esiste. Eppure, la tavoletta è lì
nelle mie mani … allora, e più problematicamente, in quanto mera
cosa, la tavoletta esiste, ed è nelle mie mani, nel contempo, però,
e in quanto manufatto di una società scomparsa, devo convenire che è
un nulla …
P:
come puoi, mio caro Isocrate, affermare nel contempo che una stessa
cosa sia e non sia?
I:
hai ben donde a lagnartene, mio caro Parmenide, ma non riesco a dire
le cose altrimenti: la tavoletta è e non è; è un nome di un'antica
civiltà e non esiste.
N:
esiste nella misura in cui parla di qualcosa che non è, dico bene?
I:
benissimo, e nel contempo devo concedere che non è proprio perché
parla di qualcosa che non è!
N: la
tavoletta è una cosa che esiste, ma fondamentale, anche ai fini
della sua propria esistenza, è l'interpretazione che ne possiamo
dare, e che immancabilmente tutti noi diamo!
L:
mirabile affermazione!
O: la
stessa cosa può capitare in scienza: chiamiamo neutrino la
conoscenza ultima da conseguire pur sapendo che la sua esistenza non
può venir provata, ma solo suggerita per via delle limitazioni
intrinseche ai procedimenti conoscitivi!
L: oh
scienza, qual meraviglia per l'animo umano! Quale continua scoperta
di limiti per l'umana conoscenza!
F: e
tuttavia mi permetto di osservare come il problema in questa sede non
sia il rapporto, di per sé problematico, tra 'nome' e 'cosa', ma il
ruolo che le influenze, emotive, personali, sociali, culturali, hanno
nell'attribuire ad una cosa quel nome, e non un altro, no?
L:
d'altra parte, non è forse la conoscenza il gioco di scambiarsi
significati?
N: e
di modificarli quando non aggradano più?
P: ma
modificarli significa anche dissolvere le cose cui si riferiscono?
L: a
tal punto, cosa importa più delle cose?
N:
contanto le intrepretazioni del mondo, non le cose
L:
peraltro, i limiti del linguaggio sono, o non sono, i limiti stessi
della mia esperienza, presente e futura?
P:
certo una cosa è il linguaggio ed un'altra il mondo, ma da qui a
sostituire il secondo con il primo, credo, ce ne corra! No?
I: il
punto, caro Parmenide, non è cosa esista o meno, ma: come esiste
quel che esiste!
N: il
punto, e basta, è: come esiste per noi quel che diciamo esistere!
S1:
si tratta, cioè, di una costruzione linguistica di tutte le cose?
S2:
così pare: quel che esiste ha manifestazione, ossia sede
privilegiata quanto unica di esistenza, nel linguaggio!
S3:
o, per dirla altrimenti, quel che diciamo è, quel che non diciamo
non è!
S1: e
che quanto cambiamo nel dire, muore!
S2: e
se gli finisce bene, diventa altro!
N: si
trasforma come significato, ossia come quell'orizzonte rhetico al cui
interno tutti noi dimoriamo. Anzi, quell'essere che tutti noi siamo …
P:
questo è sì un parlare sicuro e ammaliante, ma mi è stato
consigliato, ed in alto loco, di diffidare da questi ragionamenti,
dai discorsi dei mortali che errano, coloro i quali presentano una
doppia testa e parlano con lingua biforcuta. Il tuo discorso, oh
Nessuno, è suadente ed ammetto che possa convincere più di uno
sprovveduto, ma è, a parer mio, una grande mistificazione, un grande
inganno, una grande finta del pensiero, o, se preferisce, una sua
perversione.
L:
sentiamo anche l'altra campana
O: e
come mai, oh Parmenide?
F:
polimorfo è il pensiero …
N: e
sentiamo!
I:
come abbiam prestato attenzione alle tue parole, adesso ne presteremo
a quelle di Parmenide, oh Nessuno!
P:
che il linuaggio sia una cosa e che la realtà sia un'altra cosa, mi
pare cosa così banale che non merita neppure perderci tanto sopra a
meditare. Piuttosto, pur essendo questo l'unico limite per la nostra
conoscenza e per la nostra umana esperienza, il significato di
qualcosa non può consistere esclusivamente nel gioco tra parlanti ma
deve cercare di render conto di un riferimento che, in ogni caso, non
può cessare di avere luogo. In ogni caso, comunque, qualunque siano
il nome che diamo alle cose o l'interpretazione che desideriamo dare
della realtà, dobbiamo riconoscere come quest'ultima resisti ai
nostri nomi o alle nostre valutazioni, come sia indipendente e dai
primi e dalle seconde, e come, per converso, non sia in alcun modo
modificabile dal nostro intervento, né materiale né linguistico!
I.
anche questo par vero, oh Parmenide!
N: e
come la mettiamo, in tal caso, con la verità concorrente, poco fa da
me esposta?
P:
facile: una delle due è vera, e falsa l'altra!
N:
così, di due verità ne avremmo una più vera e una meno vera? E non
è forse questo un esempio lampante di costruzione di realtà, di
significato, di interpretazione?
L: or
la tenzone si fa interessante!
P:
errore: mai può dirsi di una cosa che è e che non è!
N: e
come risolviamo la contraddizione di poc'anzi, on caro Parmenide?
P:
chi ci dice, per farti il verso, genersoso Nessuno, che noi si debba
risolverla? Essendo una contraddizione, in sé e per sé, decade da
sé da qualsiasi considerazione. E torniamo così, ben belli,
all'alternativa secca di cui sopra: o le cose sono, e in tal modo non
è sensato dire che ci sono anche cose che non esistono, oppure le
cose non sono, ma in tal caso che ne parliamo a fare? D'altra parte,
se non c'è luce, e segnatamante la luce del sole che consente di
distinguere tra tutte le cose, tutto diviene possibile, e, dunque,
anche pensabile e dicibile mediante il linguaggio. Ma è cosa saggia,
al contrario, distinguere le cose che sono da quelle che non sono, e
dire delle cose che sono o che non sono rispettivamente che sono o
che non sono, mentre è cosa sciocca dire delle cose che non sono che
sono e delle cose che sono che non sono. Chi ragiona o discute così
o cerca di imbrogliare con discorsi agili e capziosi oppure non ha le
idee chiare.
N: ma
chi ha stabilito suddetta distinzione? E quali fattori esterni,
umani, sociali, politici, economici, culturali, e così via hanno
influito sulla sua configurazione? Quando dico che 'nulla c'è' non
voglio certo negare l'evidenza di cose come il 'cratere' o la
'fontana' là, ma solo mettere il dito dove le costruzioni
linguistiche umane sostituiscono l'esistenza naturale delle cose.
D'altra parte, anche l'uomo può condividere con la natura la
medesima funzione creatrice? Per intenderci, cambia qualcosa in
termini di esistenza tra il 'cratere', manufatto umano, dal sole,
manufatto naturale? E se il 'sole' cominciamo a chiamarlo 'luna',
esiste più qualcosa che prima chiamvamo 'sole'? Io penso di no, e
con me in molti oggi. Ma se ti aggrada, caro Parmenide, continuare a
pensarla come si faceva molti secoli addietro, non sarò certo io a
criticarti …
I: e
tuttavia 'critica' ha sempre una doppia valenza: da un lato,
significa 'sofferenza', mentre, dall'altro lato, significa
'opportunità'. Questo, a mio modesto modo di vedere, perché un
periodo di crisi è sempre un periodo di transizione, di mutazione,
di trasformazione: quindi, qualcosa si perde e qualcosa di inatteso
fa la sua comparsa.
S1:
nemmeno io saprei dirlo meglio. Ma non mi appare chiaro l'inciso di
Nessuno: se l'interpretazione del mondo non altera la natura propria
del mondo stesso, qual è il suo reale obiettivo polemico?
S2:
anch'io percepisco la medesima difficoltà, ma con una sensibilità
differente: se le intrepretazioni operano su qualcosa, non si tratta
pur sempre di elementi secondari all'esistenza, o meno, delle cose?
Peraltro, l'interpretazione, presa assolo, descrive solamente
un'organizzione potenziale del mondo; bisogna, poi, vedere se, e in
che misura, quest'ultima renda davvero conto del mondo.
S3:
in effetti pensavo proprio a questo e vi ringrazio per aver
illuminato le mie idee. Ora, penso siamo tutti d'accordo nel pensare,
e dire, che esiste il 'cratere' nelle mani di Parmenide alla stessa
maniera di come esiste la 'fontana' laggiù o quel cane lercio in
fondo alla strada, dico bene? Se chiamiamo la fontana con il nome di
'fontana' o cominciamo a chiamarla 'cloaca', non penso che la cosa –
fontana cessi di esistere. E lo stesso penso del 'cratere' o del sole
o di noi qui presenti.
N:
non vorrai, però, dirmi che non cessa di essere qualcosa per noi che
la pensiero e la diciamo, spero …
S3:
essere qualcosa per qualcuno, un pensiero come un discorso, nulla
aggiunge o toglie, credo, all'esistenza in sé di tal qualcosa, no?
N: ma
il punto, infatti, non è l'esistenza in sé delle cose, sulle quali
proprio nulla possiamo sapere, pensare, o dire, quanto piuttosto
comprendere come giungiamo ad avere categorie come il 'cratere', la
'fontana', il 'cane', il 'sole', e così via. Cessiamo di pensare
come i milesii, la natura resta aliena alle nostre considerazioni,
volgiamo dunque lo sguardo nei confronti della cultura umana, e delle
sue espressioni: è là che si cela il grande, immenso, problema di
quel che siamo, tutti noi, nessuno escluso!
S3:
sicchè forse che tu, proprio tu, oh Nessuno, ne saresti escluso? Non
vogliamo le Liutai escluderti dal loro canto pietoso. Ma se il
problema è l'opposizione tra 'natura' e 'cultura', mi sembra ci
siano dei problemi.
N: e
difatti non intendo certo dire questo, ma noto come sia invalsa la
tendenza a mistificarmi, dev'essere anche questo un banale esempio di
influenzamenti esterni al discorso in sé
F:
interessante questa lettura, ma mi scuseranno lor signori se faccio
notare come non possediate ancora l'how known per comprendere
i sottili meccanismi del pensiero umano …
L:
sembrebbe un anacronismo, ma perfettamente logico per l'evoluzione
della presente disputa
O:
peccato per certi difettucci di esposizione, ma proseguite, miei
cari, ve ne prego …
P: e
lo faremo, caro Okin, non appena, però, Nessuno dirà a tutti noi,
nessuno incluso beninteso, perché la cultura umana sarebbe più
accessibile ai nostri pensieri, e alle nostre parole, delle cose di
natura
N:
risparmi, o Parmenide, le tue amene ironie, e rispondimi a tono, non
lesinare affatto la tua sagacia: forse che mostriamo ancora oggi la
medesima riverenza che un tempo i nostri padri mosravano nei
confronti della sacra poesia omerica?
P:
certo che no! Ma sempre sacri restano cotali versi immortali!
N: ma
oggi meno sacri di ieri, no?
P:
questo te lo concedo, ma dimmi, te ne prego, dove desideri arrivare …
N: è
presto detto: non siamo oggi più increduli di un tempo rispetto ai
prodotti, anche i più sacri, della nostra cultura?
P:
nel senso che vi prestiamo meno deferenza?
N:
non solo deferenza, ma anche la tendenza a prestari assenso, a
credeveri sinceramente … insomma, chi mai oggi potrebbe credere
alla guerra di Troia come effetto di una contesa tra dei? Eppure,
quando Omero la mise in versi, tutti vi credettero e vi credevano, ma
non per opportunità quanto per sincero assenso! Oggi non è più
così, e la medesima tendenza possiamo individuarla anche per altri
argomenti o oggetti o espressioni della cultura umana … prendiamo
ad esempio la poesia di Eschilo …
P:
prosegui, ti ascolto
N:
egli narrò di Prometeo punito per aver osato conoscere, no?
P:
così recitava il sommo Eschilo: conoscere è soffrire!
N: e
quando scrisse tale tragedia, tutti vi credevano, e lo facevano con
sincerità, nevvero?
P: come negarlo?
P: come negarlo?
N:
oggi le cose non sono più così, nevvero? I nostri giovani se ne
fanno beffe, ed anche noi, credo, non ci crediamo più di tanto, se
non per ossequio a quelle radici dalle quali, volenti o nolenti,
tutti noi deriviamo …
P: ma
il fatto che prestiamo meno assenso di un tempo alle narrazioni umane
non implica, né di fatto né tantomeno di principio, che tali
narrazioni di colpo scompaiono, no?
N:
eppure, in qualche modo, scompaiono sì: se non vi prestiamo assenso,
ossia non li consideriamo importanti e non li assumiamo più a
modelli per la nostra condotta, è come se non ci fossero più!
L:
arguto, oh Nessuno: puff! Spariti! (batte entrambe le mani)
P: ma
questa, mi scuserai (rivolto a Nessuno), è solo una finzione!
Una mistificazione! Scompaiono dai pensieri e dalle parole di alcuni,
o di molti, ma continuano ad esistere come cose …
N:
lontane dai nostri pensieri e dalle nostre parole, come possiamo
affermare ancora che siano? Se non penso o non nomino il 'cratere',
continua forse ad esserci? Se non penso o non nomino più la
'fontana', forse che esista ancora? E fintantoché non nomino il
'cane', è forse esistito per tutti noi? E l'elenco potrebbe
continuare a lungo … (ammiccamenti all'indirizzo di Isocrate)
I: ti
comprendo, on Nessuno, ma, ripeto, la tua posizione mi è estranea,
anche se condivido parte della tua sensibilità: l'essere qualcosa
per il nostro pensiero o per il nostro linguaggio è una condizione
parallela, e non competitiva, dell'essere qualcosa per sé, né più
né meno di quanto accade per nostre tavolette …
L: ma
la significazione non è, forse, tutta interna al singolo scambio
comunicativo che viene mandato ad effetto, cari signori?
I: ma
questo specifico significato non è condiviso da tutti, mi pare …
F:
divergenti e plurarli sono al riguardo le opinioni di noi tutti!
O: e
ci mancherebbe, direi!
I: se
così è, come risolviamo il dilemma di Parmenide?
N:
decostruendolo per quello che è: una pratica linguistica che
esercita retoricamente un dispositivo di potere sui parlanti!
P: mi
scuserai, caro Nessuno, ma la tua obiezione è facilmente
ribaltabile: cos'è, infatti, la tua pratica linguistica?
N: io
adduco ragioni, tu invece?
P:
posso dire di fare altrettanto!
N:
no, invece, perché la tua opinione è più antica della mia!
P: e
questo che c'entra, mi scuserai!
N:
prendiamo quel cane lercio che dorme in fondo alla strada
P:
per farne che, di grazia?
N:
ora gli lanciamo questo mio calzare e gli chiediamo di portarcelo
indietro, e vediamo chi dei due si aggiudica la palma della posizione
vincente, che, beninteso, non significa di per sé anche che sia
quella vera
P:
non comprendo il senso del gioco …
N: tu
chiamerai il calzare 'calzare' io, invece, lo chiamerò 'nottola' e,
una volta lanciata accanto al cane, tu, oh Parmenide, gli chiederai
di portarti il 'calzare' mentre io di portarmi la 'nottola'
P:
comincio ad intuire: sicché a chi darà ascolto, decreterà il
vincitore della contesa … inusuale, ma mi piace!
N:
d'altra parte, se il calzare è un 'qualcosa', che, quindi, esiste,
dovrà essere la medesima cosa sia per noi che per lui, no? Ma se il
cane risponderà positiva all'una o all'altra sollecitazione, vorrà
dire che l'uno o l'altro tra noi due avrà ragione o, perlomeno, più
ragione dell'altro
S1:
bislacca procedura di risolusione di una controversa!
S3:
neanche i traci osano tanto, credo!
S2:
stiamo vedendo, cari amici, qualcosa che nessuno prima di noi ha
veduto …
L:
mirabile esempio di testo che sconfina nel contesto!
F:
non comprendo il tuo entusiasmo, Ludvig: è roba vecchia come il
mondo!
I:
nemmeno io l'ho mai veduta, prima!
N:
siam tutti pronti, allora? (si toglie il calzare e guarda tutti
gli altri)
P: sì
(Nessuno
lancia il calzare accanto al cane il quale apre gli occhi e,
pur non muovendosi dalla sua posizione, gli getta un'occhiata)
P:
comincio io, se non ti spiace, Nessuno
N:
nessun problema, fai pure!
P:
qui bello, portami il calzare! So che vuoi farlo!
(il
cane non si muove)
N:
già pregusto il dolce sapore della vittoria (ammicca
maliziosamente nei riguardi di Parmenide) avanti bello, portami
indietro la nottola!
(il
cane non si muove)
I: e
ora come si fa? Chi ha vinto?
(giunge
sulla piazza Sisifo trafelato e molto agitato)
S:
perdigiorno che non siete altro! Ancora qui a cianciare? A blaterare? Quando vi
metterete a lavorare? Eh? Quando vorrei sapere? I persiani hanno
invaso l'isola di Delo e minacciano di raggiungere Lylibeum!
Correte, dunque,alle armi, inutili sudditi!
P:
vedi, oh Nessuno, com'è potente, l'urgenza del sensibile?
N:
falla finita, Parmenide, forse volevi dire com'è irresistibile la
forza del potere che si cela dietro le parole?
(tutti
si alzano e la folla si disperde)
L: ma
nessuno proprio viene a prenderci qui nel passato? Non vorrete forse
dirmi che devo andare in guerra? Di nuovo? Ancora? No, grazie: già
dato!
F:
questo è l'inevitabile destino dell'umanità: lo spirito di morte
primeggia sullo spirito di vita!
O: ma
se usassimo anche solo un pizzico di razionalità, non ci troveremmo,
forse, in situazioni consimili …
L: e
come? Non hai visto come la razionalità si sia arrovelata senza
trovare soluzione alcuna al problema?
F:
peccato, però, per quel cane che inaspettamente non ha scelto né
per l'una né per l'altra posizione! Mi ha sorpreso, davvero! E
chissà cosa mai possa pensare dei nostri discorsi … guardate …
apre la bocca adesso (tutti guardano in direzione del cane)
….
C:
woff! Bau!
L:
un'esatta deduzione, mio caro! Hai proprio ragione!
F:
concordo!
O:
non comprendo, ma dico io la stessissima cosuccia!
(immagine tratta da: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/31/Disputation.jpg/200px-Disputation.jpg)
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