"L’espressione
linguistica tipica (ma non esclusiva) di una norma è un enunciato
deontico: un enunciato che attribuisce una qualificazione deontica
a un comportamento o un’azione. Gli enunciati deontici, però, sono
affetti da una peculiare ambiguità. In contesti diversi, un unico e
medesimo enunciato deontico può venire interpretato: 1) come
espressione di una prescrizione, o di una norma; 2) come affermazione
dell’esistenza di una norma […] Questa duplice possibilità
d’interpretazione degli enunciati deontici è il riflesso di una
duplice possibilità d’uso degli enunciati deontici. Un unico e
medesimo enunciato deontico può venire usato, in contesti diversi:
1) al fine di prescrivere
un certo comportamento, ossia di affermare che un certo comportamento
è obbligatorio, vietato, permesso; 2) al fine di dichiarare che una
certa norma esiste, cioè: al fine di informare qualcuno del fatto
che secondo una certa persona, o una certa comunità di persone, o
una certa cultura, o una certa norma, o un certo sistema normativo,
un dato comportamento è obbligatorio, vietato, permesso"
(B.
Celano, Dialettica della giustificazione pratica. Saggio sulla
Legge di Hume, Giappichelli, Torino, 1994, p. 91)
Questa l'ambiguità di fondo del linguaggio normativo: discordanze sulla funzione o sugli usi del linguaggio medesimo? Ai posteri l'ardua ed inesausta questione.
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