In questo mio tremendo, e splendido, morire ogni giorno annegando nel vortice impressionante e quotidiano della solitudine, dell'abbandono, delle speranze mai nate, ho sempre cercato delle parole minimamente adeguate a render conto dello stato di questi nostri poveri ragazzi, nullità tra nullità, presente incostante per un futuro assente, scintille disperse lungo l'orrido buco nero dei nostri tempi, ma mai con vera efficacia.
Ho subito dileggi, disprezzi, modi burberi, improperi, bestemmie, e quant'altro l'allegro vocabolario della vaga umanità che ho avuto in sorte di frequentare quest'anno mi ha elargito generosamente.
Poi ritornando improvvisamente da qualche angolino dimenticato, un testo mi ha fornito le parole giuste per spiegare, e far comprendere, anche solo pochino perché in certe occasioni solo se ti capita in prima persona puoi rendertene conto, il comportamento dei nostri ragazzi, anche futuri, forse, addetti professionali alla ristorazione.
Essendo ogni altro commento solo equivoco o foriero di cattive interpretazione, le cito qui di seguito, ad epitaffio dell'anno scolastico che si chiude, senza vincitori e con tanti vinti:
"I ragazzi sprovvisti delle parole per dire i loro sentimenti di tristezza, di rabbia, di frustrazione hanno un solo modo per liberarli e liberarsi di sofferenze a volte insopportabili: la violenza fisica. Chi non ha i nomi per la sofferenza la agisce, la esprime volgendola in violenza, con conseguenze spesso tragiche"
(G. Carofiglio, La manomissione delle parole, Rizzoli, Milano, 2010, p. 19)
(immagine tratta da: http://www.albanesi.it/Mente/Imma/violenti2.jpg)
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