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martedì 2 maggio 2017

Madre Teresa

Il discorso sottotitolato di Madre Teresa ad Oslo quando ricevette il Premio Nobel per la pace  nel 1979.


lunedì 15 febbraio 2016

Prolegomeni al merito ...



Se globalmente intesa, e liberi da condizionamenti, più o meno inconsci, oppure più o meno ideologici, fintantoché ci si limiti alla descrizione oggettiva del suo funzionamento, l’attuale dispositivo di valutazione di apprendimenti e qualità del servizio erogato (INVALSI; ndr) non sembra sortire difficoltà o criticità o pecche di rilevanza. Anzi, sembrerebbe quasi l’esito scontato di un processo tanto lungo quanto irto di cadute.

Se, invece, e al contrario, si mette da parte l’astratto neutralismo, dal vago sapore weberiano, e si esamina il burocratese con lenti attente, non è possibile né tacere né far finta che il tutto sia buono o così neutrale per come appaia prima facie.

Infatti, ogniqualvolta si attivi un percorso di valutazione lo si fa rispetto ad un modello ben preciso. Anche quando un docente valuta un alunno lo fa avendo in mente un modello determinato, sebbene del tutto astratto, di alunno, ed è in funzione di quest’ultimo che compara il rendimento di quello concreto. Allora, è appena il caso di chiedersi quale sia il modello ideale, e non scritto, e non esplicitato, e non pubblico, di scuola che si ha in mente. Infatti, sottoporre la scuola concreta alle forche caudine della valutazione significa, né più né meno, valutarla in riferimento ad un idealtipo ben preciso, altrimenti, e non credo sia questo il caso, si mette in campo tutta una struttura elefantiaca al solo scopo di fingere di valutare davvero. 


Quando il decisore politico ha imboccato questa strada, il disegno ideale era chiaro e preciso, e vale a dire avvicinare la scuola transeunte alla scuola ideale. Ma se così è, e nulla sembra confutare tale esame, o poterne inficiare la validità, la valutazione non appare affatto di natura meramente diagnostica o solamente conoscitiva. Al contrario, attiva un meccanismo di precisa imputazione di responsabilità a vari livelli, attribuendo e riconoscendo queste ultime ad attori chiaramente individuabili all’interno della struttura propria assunta dalla singola organizzazione scolastica. 


Viceversa, infatti, a cosa servirebbe accumulare una tale mole di dati ed informazioni? Per un misero desiderio di accumulo? Senza scomodare Freud, infatti, l’intento della struttura non è affatto quello di produrre conoscenza disinteressata in merito al reale, quanto, e piuttosto, quello di individuare “buoni” e “cattivi”, “virtuosi” e “viziosi”, “meritevoli” e “incapaci”. Ricondurre tali dati a erogatori e correlati fruitori significa districarsi in maniera lineare e chiara nelle maglie oscure e confuse delle pratiche didattiche; significa, per dirla altrimenti, legare in maniera efficace le singole pratiche didattiche tanto a chi le formula e mette in atto quanto a chi le riceve e dovrebbe giovarsene. Ne consegue, in maniera abbastanza chiara, a mio modesto avviso, che la conoscenza conseguita non è affatto neutrale, ma abilita l’azione di livello superiore riguardo tanto al “premiare” quanto, e forse soprattutto, al “punire”. 

La sua filosofia, pertanto, mi appare inequivocabile, e segnatamente consistente nel rendere possibile l’imputazione di responsabilità personali ai vari livelli di funzionamento dell’organizzazione scolastica.

Il fatto che sinora questo “ultimo miglio” non sia stato ancora compiutamente e sistematicamente realizzato non significa affatto che continuerà a restare tale. Detto con altre parole, il fatto che da tale conoscenza al momento non siano seguiti atti di vero e proprio controllo funzionale non legittima credere che lo stato attuale perduri ancora nel tempo.

Al contrario, proprio la messa a regime delle valutazioni INVALSI, così come la funzione conseguita riconosciuta ora ai dirigenti scolastici di poter premiare i propri dipendenti virtuosi o meritevoli, lascia supporre che il passo successivo sia ormai prossimo, e che l’ultima tappa del processo intrapreso sia oramai sul punto di essere raggiunta.

V’è, infine, un ulteriore elemento che, se si vuole, corrobora tale impressione, e cioè il silenzio con cui il passaggio lungo l’ultimo miglio viene attualmente percorso. Detto altrimenti, proprio quando la filosofia soggiacente alla valutazione dovrebbe emergere dalla sua latenza, e divenire palese, in quanto diretta emanazione dell’attuale livello di maturazione del dispositivo attivato proprio in sua funzione, aumenta il silenzio su di essa. Il che dovrebbe sortire quantomeno un più che legittimo dubbio, oltre a formulare la questione presente: a cosa serve valutare se non si danno corrispettivi premi? O, per dirla altrimenti ancora, per quale motivo si sprecano così tante risorse se la valutazione non consente di avere meritevoli e incapaci? O, se si preferisce, come mai ai voti non seguono premi e punizioni?

Non appena si sollevi, anche solo per un attimo, il lembo del velo di Maya della valutazione scolastica, ecco che sinistri ed inquietanti interrogativi squarciano l’assordante silenzio inerente alla sua effettiva utilità.

Ma se tanto basta, di per sé, a non far dormire più sonni tranquilli ai dipendenti scolastici, possiamo aggiungere ancora un inquietante elemento onde poter render conto dell’estrema opacità del dispositivo valutativo, e cioè il seguente: cosa registra, o misura, o parametra, davvero la valutazione di sistema? O, per meglio dire, è davvero efficace la valutazione del nesso tra analisi e attività monitorata? Cioè, siamo davvero sicuri che la valutazione di sistema dia contezza del merito? A questa domanda, ovviamente, non è possibile dare risposta dal momento che proprio l’implementazione di un dispositivo valutativo rende conto di un modello ideale, e non della necessaria strumentazione concreta. Detto altrimenti, detta valutazione non misura qualcosa di oggettivamente misurabile, vale a dire un’efficienza didattica troppo dipendente da fattori contestuali ed esogeni, ma distingue tra “buoni” e “cattivi” in funzione di un modello ideale non diagnostico, quanto, e piuttosto, morale. Ciò significa, allora, che, tranne singoli casi, detta valutazione premierà e condannerà a prescindere dall’effettivo merito del singolo operatore scolastico! In altri termini, il modello ideale nella mente del decisore politico, essendo meramente morale, e non scientifico, costruisce in abstracto i propri oggetti, distribuendoli lungo una linea non in funzione di quel che fanno ed ottengono nel concreto, ma in funzione di un’arbitraria collocazione ideale.

E tuttavia qualcosa bisognerà pur riconoscere al decisore politico, onde evitare un quadro eccessivamente sbilanciato, e cioè che era oramai inevitabile uscire dalle secche del finanziamento gratuito. In altri termini, l’attuale sistema di valutazione è la garanzia di sistema che il sistema stesso si dà per responsabilizzare le istituzioni scolastiche sia riguardo alle fonti ricevute sia riguardo alla correlata gestione attuata. 


Come si vede, dunque, la valutazione è solo un volto dello stesso processo di autonomizzazione delle istituzioni scolastiche, o, se si preferisce, lo strumento in forza del quale rendicontare all’esterno cosa si è fatto, come, perché e con quale impatto sociale. Ma far questo prepara all’imputazione di responsabilità, vale a dire a giustificare esattamente il cosa, il come, il perché e i risultati della propria personale azione …


(url immagine: https://comitatoscuolapubblica.files.wordpress.com/2013/04/misura-della-qualitc3a0.jpg)

lunedì 17 novembre 2014

Sostegno scolastico ... riflessioni aperte

(prima riflessione sul testo di Ianes, cui seguiranno tante altre man mano che la mia valutazione andrà avanti)


"se in un sistema scolastico esiste la struttura per cui avere un diploma di specializzazione sul sostegno avvantaggia nell’ottenere un posto di lavoro più stabile, è più probabile che molte persone scelgano di conseguirlo per motivazioni utilitaristiche e, appena possono, abbandonino il lavoro sul sostegno"


(D. Ianes, L’evoluzione del docente di sostegno. Verso una didattica inclusiva, Erickson, Trento, 2014, p. 85)


Pur condividendo, in un'ottica di sostegno scolastico, la prospettiva di Ianes, mi sento in obbligo, nel commentare il passo in questione, di criticare alcuni punti discutibili e, molto probabilmente, anche non condivisibili, almeno da parte chi fa il lavoro "sporco", ovvero per tutti coloro i quali fanno integrazione scolastica nel misero e meschino quotidiano:

1) è il sistema nel suo complesso, tramite spending review, dimensionamento "selvaggio", quota96, preacarizzazione dei contratti di lavoro, eccessiva molla elastica nella mobilità territoriale, riduzione del quadro orario, riconversioni sul sostegno degli esuberi; etc. a spingere in molti a spendere molto denaro per acquisire il diploma sul sostegno;
2) una scelta "verso" il sostegno scolastico, e non "per" il sostegno scolastico in quanto tale, sebbene di marca prettamente utilitaristica e non frutto di vocazione, è sempre deprecabile? A mio onesto modo di vedere, assolutamente no, Lo diventa, però, nella misura in cui viene vissuto male, senza professionalità e senza farlo al meglio delle proprie potenzialità;
3) trovo irritante questa retorica "buonista" del tutto ipocrita in forza della quale è lecito stigmatizzare gli scarsi risultati conseguiti da chi lavora all'integrazione scolastica, sostenendo che è tutta colpa della motivazione degli operatori coinvolti e/o del loro fare "sostegno" per scelta utilitaria e non per "vocazione";
4) davvero, trovo ridicolo legare la professione relativa all'integrazione scolastica ad una mission personale, dimenticando che, comunque, si tratta pur sempre di lavoro, di esercitare un mestiere, pur con l'unico vincolo di farlo al meglio;
5) penso che siano da rigettare i giudizi frettolosi e superficiali di chi valuta l'integrazione scolastica dalla torre d'avorio dell'accademia ... per carità, Dario Ianes è un faro al riguardo, ma sarebbe bene che, lui come tanti altri, facesse un bagno d'umiltà assaporando per un anno (almeno), ma volendo anche per cinque, dieci, venti anni, le molli dolcezze del sostegno scolastico, se s'immergesse, alle nostre stesse condizioni, nelle comuni prassi quotidiane dell'integrazione scolastica! Altrimenti, è troppo semplice, per me che non sono un accademico, dire che il lavoro degli accademici è insoddisfacente rispetto a risorse impiegate e risultati conseguiti ...;
6) a ciascuno il suo, ai docenti di sostegno l'integrazione scolastica, agli psicologi dell'educazione le dinamiche inerenti all'apprendimento in soggetti in età evolutiva;
7) peraltro, trovo anche insopportabile il piglio moralistico che si esprime nel biasimo per quanti, appena possono, abbandonano il sostegno ... in parte ciò è dovuto all'italico adagio per cui chi non è parte in causa, può giudicare gli altri, che invece lo sono, e in parte perché v'è del perverso sadismo nell'infliggere il sostegno "per legge" per almeno cinque anni dall'assunzione in ruolo (che si sommano ai tanti altri anni svolti "da precario") e nel sognare un'impossibilità de facto, non anche de jure perché palesemente ingiusto, di fuga dal sostegno ... e chi conta l'usura umana delle fatiche quotidiane sul sostegno? E chi tiene conto del consumo intellettuale di chi ogni giorno si fa carico dell'integrazione scolastica? E chi tiene in considerazione anche i concreti rischi biologici e/o di salute, fisica e psichica, di chi giorno dopo giorno lavora nel sostegno? Caso strano, sembra quasi che lavorare nel sostegno sia dolce e conveniente, dimenticando, all'esatto contrario, che è una fatica normalmente "doppia" al lavoro curriculare, in alcuni casi particolarmente gravi e infelici anche "tripla". Allora, dopo un congruo numero di anni, considerando però anche gli anni di precariato sul sostegno, perché non premiare tutti questi lavoratori affrancandoli definitivamente dal peso diretto di questo fardello? Invece no, è addirittura in discussione una legge per portare il quinquennio obbligatorio sul sostegno da ruolo ad un decennio ... e chi vorrà mai più, allora, fare sostegno? E chi, tra quanti, volenti o nolenti, resteranno sul sostegno, praticamente "a vita", lo farà con dignità ed impegno?

Caro Ianes, non prendertela, ma, si sa, gli accademici peccano di "distanza" dalla concretezza delle cose, dimenticando che ciascun operatore scolastico preposto all'integrazione scolastica ha la sua vita privata, le sue relazioni, i suoi sogni, le sue aspirazioni, e tutto ciò senza che diventi alibi per cattive prassi d'integrazione scolastica ...


(url immagine: http://altoadige.gelocal.it/polopoly_fs/1.4293725.1405392333!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/landscape_250/image.jpg)