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lunedì 3 ottobre 2016

Narcisismo ...

Ultima fatica!


A. Pizzo, Il dilemma di Jørgensen. Tre questioni chiave, "Filosofia e nuovi sentieri/ISSN 2282-5711", pp. 29.

Qui la pagina con l'articolo.
Qui l'articolo completo in pdf.

Buona lettura!

venerdì 19 aprile 2013

Delle due, l'una ...

"according to a generally accepted definition of logical inference only sentences which are capable of being true or false can function as premises or conclusions in an inference; nevertheless it seems evident that a conclusion in the imperative mood may be drawn from two premises one of which or both of which are in the imperative mood"

(J. Joergensen, Imperatives and Logic, "Erkenntnis", 1937 - 8, p. 290)



L'epistemologo danese formula per la prima volta in maniera compiuta la distinzione canonica tra logica e imperativi: l'enigma, cioé, dei rapporti tra la prima, vertente solamente sulle proposizioni descrittive di stati di cose, e i secondi, i quali, pur essendo eterogenei alle proposizioni descrittive, sembrano comunque possedere una logica.



Da allora non è parso sinora possibile tirarsi fuori dal problema.



Sin da allora, infatti, la riflessione non ha formulato soluzioni convincenti.



Eppure tale iato sembra più la tenace difesa di un'ideologia, e della sua purezza, che non il riconoscimento di un'impossibilità effettiva.
Alessandro Pizzo

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martedì 9 aprile 2013

Inferenze miste ...



"La regola che un imperativo non può figurare nella conclusione di un’inferenza valida, a meno che non vi sia almeno un imperativo nelle premesse, può trovare conferma in considerazioni logiche generali […] nulla può figurare nella conclusione di un’inferenza deduttiva valida che non sia implicito nella congiunzione delle premesse i forza del loro significato. Di conseguenza, se nella conclusione c’è un imperativo, non solo nelle premesse deve figurare un qualche imperativo, ma deve esservi implicito proprio quell’imperativo […] Il lavoro di Wittgenstein e di altri ha largamente chiarito le ragioni per cui è impossibile fare questo. È stato argomentato, e persuasivamente a nostro avviso, che ogni inferenza deduttiva ha carattere analitico; vale a dire, che la funzione di un’inferenza deduttiva non è di ricavare dalle premesse ‘qualcosa di ulteriore’ in esse non implicito […], ma di rendere esplicito ciò che era implicito nella congiunzione delle premesse"




(R. M. Hare, Il linguaggio della morale, Ubaldini, Roma, 1968, p. 40)




Una pagina che resta un classico della letteratura analitica sulla teoria morale.




Resta, però, l'interrogativo di fondo: è ancora attuale?




Si badi, per 'attuale' non intendo qualcosa come 'di moda', o 'in voga', ma qualcosa come 'ancora sensato'.




Hare si rifà a Wittgenstein il quale, a sua volta, si rifaceva ai classici del neopositivismo (o era il contrario?) ... 


.... noi possiamo ancora appoggiarci ad Hare? O è giunto il momento di uscire dal suo sentiero ed arrischiare sentieri nuovi?




In breve, e a conclusione della presente ardita riflessione "a voce alta", possiamo finalmente dare luogo ad inferenze miste?


E in caso affermativo, avrebbe ancora senso porle in contrapposizione alle inferenze deduttive? 


Ed ancora, dove starebbe pertanto la differenza, se ha ancora senso porla, con le deduzioni logiche?


L'acqua dello stagno sembra immobile, in realtà, appena sotto il pelo dell'acqua, v'è un brulicare di vita e di fermentazioni.





(immagine tratta da: http://lgxserver.uniba.it/lei/filosofi/immagini/autori/hare.jpg)