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lunedì 6 aprile 2020

Aristotele, il logico!

Prosegue l'epidemia.

Prosegue il confino domiciliare.

Proseguono le attività della DAD!

Questo l'ultimo esemplare di volontariato artigianale dei docenti della vituperata scuola pubblica italiana.


martedì 14 febbraio 2017

La verità della logica #1


(vignetta tratta da: D. Cryan - S. Shatil - B. Mayblin, La logica a fumetti, Raffaello Cortina, Milano, 2010, p. 123)

lunedì 3 ottobre 2016

Narcisismo ...

Ultima fatica!


A. Pizzo, Il dilemma di Jørgensen. Tre questioni chiave, "Filosofia e nuovi sentieri/ISSN 2282-5711", pp. 29.

Qui la pagina con l'articolo.
Qui l'articolo completo in pdf.

Buona lettura!

venerdì 30 settembre 2016

Zenone ... #1

Tormento degli studenti ...

Zenone, ovvero dell'impossibilità, logica, ontica, gnoseologica, metafisica, fisica, del movimento!



(Fonte: D. Cryan - S. Shatil - B. Mayblin, La logica a fumetti, Raffello Cortina, Milano, 2010, pp. 80 - 1)

martedì 20 settembre 2016

Autocitazione #2

"è stata anche cucita addosso allo Jørgensen la responsabilità, o il merito, a seconda dei rispettivi punti di vista, di aver formulato per la prima volta una topica precisa e rilevante, il cosiddetto dilemma di Jørgensen"

(a. pizzo, Kelsen “legge” Jørgensen sul controverso rapporto tra logica e diritto, in r. d’alessandro - i. pozzoni (curr.), Prospettive storiografiche di teoria sociale Limina Mentis, Villasanta, 2015, p. 131)

Ed è proprio così: la ricezione "standard" ha inventato il dilemma di Jørgensen, modificando l'originale puzzle, tramutando un imbarazzo scientifico in una barriera insormontabile tra Sein e Sollen, tra Is e Ought, tra essere e dover essere ...

Possiamo uscirne?

Certo che sì! A condizione, però, che si torni a Jørgensen ...


(url: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgO02airT-q3OwQBNajz93tQCrDK-OgCONNHzvKp8QHiNJLIVR2fxgdBDtoLSNnui04DEfyWhQVXuBieP2CD5mU7_Myn_TbGAslSJbWRQ2V0RsvrXLP4G4QOY3jPktoUNLP1Z2NnEl0WCFC/s1600/dilemma.jpg)



sabato 10 settembre 2016

Pensiero pratico ...

"il pensiero pratico è pur sempre pensiero e, come tale, deve soddisfare i requisiti e le leggi della logica. Lo studio del pensiero pratico rappresenta, tuttavia, un notevole ampliamento della tradizionale scienza della logica"

(G. H. von wright, Introduzione, a: g. di bernardo (ed.), Logica deontica e semantica, Il Mulino, Bologna, 1977, p. 37)


(url: http://www.helsinki.fi/wwa/img001pieni.jpg)

giovedì 1 settembre 2016

Pensiero pratico

"il pensiero pratico è pensiero sul mondo […] Pensiamo praticamente quando emettiamo ordini e comandi e quando prendiamo decisioni. In tal modo, il pensiero pratico include il pensiero non pratico in quanto implica la conoscenza dell’ambiente e delle circostanze in cui operiamo"

(r. poli, La logica deontica: dalla fondazione assiomatica alla fondazione filosofica (II), “Verifiche”, 4, 1982, p. 465)


(url: https://0.academia-photos.com/3583130/1245389/1554338/s200_roberto.poli.jpg)

lunedì 1 agosto 2016

Nussbaum # 3



“La verifica logica degli argomenti è alla base della cultura politica democratica. La causa per cui in politica ci si fa torto reciprocamente è spesso l’uso di argomentazioni scorrette […] La verifica logica permette di chiarire questi ragionamenti confusi e di smascherare i pregiudizi che si travestono da ragioni. Non servirsi della verifica logica significherebbe rinunciare a uno dei più potenti strumenti che abbiamo per contrastare gli abusi del potere politico. Anche se la logica non ci aiuterà ad amarci di più, potrà comunque impedirci di fingere di essere in possesso di argomentazioni che giustifichino il nostro rifiuto di amare”




M. C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, Roma, 2006, p. 53




Ritengo che aggiungere altro sarebbe irritante oltre che del tutto superfluo.




Quanto c'era da dire, l'ha già detto la Nostra. 




A noi soltanto una questione, la seguente: se così è, come mai il nostro mondo politico reale è tutto fuorché prossimo al mondo politico ideale?



venerdì 18 marzo 2016

I corvi gracchiano sulla natura del condizionale ...



Fr. 393. IL FILOSOFO LOGICO

Ecco anche i corvi sui tetti: "Cosa implica?"

gracchiano e "come poi diverremo?"

lo stesso Biasimo

scrisse sui muri: "(Diodoro Crono) il Rimbambito è un saggio"!

(tratto da: http://www.partecipiamo.it/poesie/callimaco/altri_testi.htm)

martedì 7 aprile 2015

Preview!

Di seguito l'immagine di preview di un saggio in fase di pubblicazione in un volume collettaneo.




Non appena il volume suddetto sarà stato pubblicato, ne darò pronta pubblicità.

giovedì 5 giugno 2014

Alcune considerazioni in merito al paradosso del mentitore ....



(url immagine: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvzYhJrQvmLo39vQazmhlwJecck0aUTcFUupHa6akG2srtXoOP0-sZADxNWttBRSlxDJWKnFQnaeLXa7fTU37-dxU-iLsyssEPCj_siHeG5MvkHWa9AoEC0wum98AAWTHxwvt9lt7wEz8/s1600/Logic2.png)



Sainsbury sostiene che la formulazione fondamentale del paradosso sia la seguente:

(L1) L1 is false[1]

Ora, la paradossalità di (L1) deriva dalla correlazione tra due condizionali implicati proprio da (L1):

(a)  Se (L1) è vera, allora (L1) è falsa;
(b) Se (L1) è falsa, allora (L1) è vera[2].

L’applicazione di uno dei due valori di verità comporta la sua immediata inversione con il valore opposto: se diciamo che (L1) è vera, scopriamo che è vero che è falsa, e che, dunque, è falsa. Al contrario, se diciamo che (L1) è falsa, scopriamo, nostro malgrado, che è falsa che sia falsa, e che, dunque, è vera. In entrambi i casi, scontiamo una pesante contraddizione aletica: qualcosa di vero è invece falso, e qualcosa di falso è invece vero. Il che non è possibile. 
Sainsbury, però, suggerisce di vagliare più in profondità questa contraddizione e propone di sostituire in (a) e (b) al predicato ‘falso’ il predicato ‘non vero’ e al predicato ‘vero’ il predicato 'non falso’. Così, al precedente condizionale, otteniamo il seguente nuovo condizionale:

(a1) Se (L1) è vera, allora (L1) è non vera;
(b1) Se (L1) è falsa, allora (L1) è non falsa.

In questo modo, l’intrinseca contraddizione di (L1) viene portata all’interno della singola enunciazione. Una stessa proposizione, infatti, appare, rispettivamente, e nel contempo, tanto vera quanto non vera; oppure, tanto falsa quanto non falsa.



L’inversione aletica qui operante non consente più di distinguere adeguatamente tra la proposizione oggetto e la proposizione che opera un investimento semantico su quest’ultima. Non può, pertanto, sorprendere che la sua soluzione consista nel valutarlo da una prospettiva superiore la quale consenta la valutazione del linguaggio oggetto e, quindi, del riferimento di verità dello stesso. Come dice Sainbury:

la risposta di Tarski era che una spiegazione precisa della verità può essere fornita solo per linguaggi formalizzati (dotati di una grammatica specificata in modo esatto), e che i paradossi come quello del mentitore impongono che il metalinguaggio (quello in cui è definito «vero») sia intrinsecamente più ricco del linguaggio oggetto (quello che contiene gli enunciati a cui il predicato «vero» deve essere applicato)[3]

La formulazione canonica del paradosso in oggetto è la seguente:

[σ] ‘io sto mentendo’[4]


Tuttavia non appare possibile sfuggire alle maglie della formulazione paradossale non appena ci si chieda se la proposizione in questione sia vera o falsa, non appena cioè si ponga la questione semantica relativa. Non appena si concede ciò, diventa impossibile sfuggire al perverso meccanismo dell'inversione aletica e del connesso regresso all'infinito. Come sostiene infatti Usberti, un paradosso è un'espressione linguistica che 



È vera se falsa e falsa se vera[5]



Bene, a questo punto la questione diviene la seguente: possiamo così evitare i paradossi, vere e proprie sfide formidabili per la nostra comune intelligenza?

Note




[1] Cfr. R. M. Sainsbury, Paradoxes, Cambridge University Press, Cambridge, 20114, p. 127.
[2] Ibidem.
[3] Cfr. M. Sainbury, Logica filosofica, in F. D’Agostini – N. Vassallo (ed.), Storia della filosofia analitica, Einaudi, Torino, 2002, p. 142.
[4] Cfr. F. D’Agostini, Disavventure della verità, Einaudi, Torino, 2002, p. 87: «Una versione del paradosso del mentitore è la seguente: (S) S è falso».
[5] Cfr. G. UsbertiLogica, verità e paradosso, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 27.

domenica 26 gennaio 2014

Quella logica là ...




"La logica non è semplicemente un operare tecnico – simbolico, ma il luogo in cui deve radicarsi ogni sapere […] La logica, dunque, proprio in virtù della sua formalità, è il presupposto di ogni pensare, e ad essa deve conformarsi ogni procedere razionale"


(V. Costa, Husserl, Carocci, Roma, 2009, p. 67)


Husserl si è dedicato anche a ricerche logiche oppure solamente a (neokantiane) ricerche epistemologiche?


Il problema resta aperto e, temo, anche privo di futura possibile soluzione.


Meditazioni (non cartesiane) in corso di stesura e di pubblicazione ...


Frammenti di filosofia novecentesca ...


... schegge (quasi) impazzite di filosofia contemporanea ...

Per dire cosa, infine?

Semplice.

Sì, si occupò di logica, tanto per dire ...


(immagine tratta da: http://hilobrow.com/wp-content/uploads/2009/07/Husserl-1.jpg)

sabato 28 dicembre 2013

Deontik renaissance ...

la logica abbia un'estensione maggiore rispetto al dominio della verità”

(A. Marturano, Il “Dilemma di Jørgensen, Roma, Aracne, p. 147)

Proprio così?

Siamo davvero sicuri che le cose stiano in questi termini?

Non sono proprio possibili alternative valide?

Questioni deontiche in corso ...



(immagine tratta da: http://www.tuobra.unam.mx/publicadas/05070719003708.png)

martedì 3 dicembre 2013

Un trascendentalista poco kantiano oppure un kantiano privo di trascendentalismo ... III

(prosegue da: http://alessandropizzo.blogspot.it/2013/11/un-trascendentalista-poco-kantiano.html)

I prolegomeni alla logica pura, almeno per come li intende e li scrive Husserl, costituiscono un'introduzione doverosa non alla logica, ma a quella riduzione fenomenologica che prenderà consistenza solo alcuni anni dopo. 


Nelle Ricerche logiche Husserl cerca di mettere a fuoco quel soggetto logico che altri non è se non il cogito[1] che successivamente verrà ridotto alle strutture fondamentali e “catturato” in quello spazio di coscienza al cui interno hanno luogo i fenomeni, ove è cioè possibile cogliere le pure essenze delle cose, la dimensione eidetica delle cose, anche del pensiero stesso. 


Prima, però, è necessario “congelare” l'atteggiamento con il quale naturaliter le cose vengono percepite e pensate, al fine, cioè, di far emergere la loro natura essenziale o formale[2]. L'intuizione al base del metodo fenomenologico consiste appunto in questa riduzione che elimina quanto v'è di superfluo nei pensieri e li riduce, nel contempo, a quanto v'è di necessario, di essenziale[3]. Si tratta, infatti, e sotto ogni punto di vista, di un'intuizione eidetica[4] dal momento che conduce all'eidos delle cose, ossia ai fenomeni nella loro manifestazione all'interno della coscienza di chi pensa[5]. 


Questo, a detta di Ricouer, il più grande merito della fenomenologia, ovvero aver elevato al rango di scienza, via la riduzione per epochè, l'investigazione dell'apparire[6], ossia della manifestazione dei fenomeni, in quanto plesso a partire dal quale, e solo successivamente, si definiscono i ruoli complementari del soggetto, che conosce, e dell'oggetto, che viene conosciuto.



Nelle Ricerche logiche, per dirla altrimenti, Husserl ha di mira non la logica, ma il meccanismo coscienziale che rende possibile i pensieri delle cose, ovvero la scienza dei fenomeni rispetto alla quale, infatti, il metodo della fenomenologia è unicamente un metodo di fenomeni[7].


Note
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[1] Cfr. P. Ricouer, Studi di fenomenologia. Verso il formalismo giuridico?, Giappichelli, Torino, 2009, p. 112: «Di diritto il Cogito è il soggetto trascendentale».
[2] Cfr. N. Ghigi, Dalla Vorhandenheit all'eidetico: una riflessione sul superamento fenomenologico dell'atteggiamento naturale, Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 5 (2003) [inserito il 31 gennaio 2003], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [89 KB], ISSN 1128-5478, contenuto on – line: http://mondodomani.org/dialegesthai/ng02.htm
[3] Cfr. P. Ricouer, op. cit., p. 121: «La grande scoperta della fenomenologia è che l'Io Penso, non è solo il riferimento delle 'altre' scienze, ma è da se stessa una “sfera d'essere” (ein Seinsphäre) che si presta una esperienza articolata e strutturata».
[4] Cfr. A. A. Bello, Husserl interprete di KantDialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 7 (2005) [inserito il 7 luglio 2005], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [91 KB], ISSN1128-5478, contenuto on – line: http://mondodomani.org/dialegesthai/aab02.htm.
[5] Cfr. P. Ricouer, op. cit., p. 157: «L'atto di riduzione scopre la relatività di ciò che appare alla coscienza operante; questa relatività definisce esattamente il fenomeno».
[6] Ivi, p. 191: «La gloria della fenomenologia consiste nell'aver elevato a dignità di scienza, mediante la “riduzione”, l'investigazione dell'apparire». Cfr. R. Bodei, La filosofia del Novecento, Donzelli, Roma, 20062, p. 109: «la coscienza è «intenzionalità», è sempre coscienza di qualcosa, dimodoché non esiste da un lato la coscienza e dall'altro la cosa, da una parte il soggetto e dall'altra l'oggetto, ma sempre un legame bipolare inscindibile e costitutivo».

[7] Cfr. R. M. Lupo, Questioni di metodo. Sullo statuto fenomenologico della metafisica, Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 15 (2013) [inserito il 10 luglio 2013], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [65 KB], ISSN 1128-5478, contenuto on – line: http://mondodomani.org/dialegesthai/rml01.htm.

mercoledì 27 novembre 2013

Un trascendentalista poco kantiano oppure un kantiano privo di trascendentalismo ... I

(ci vuol fegato per approcciarsi ad Husserl, ci vuole ingegno sincero per comprenderlo. A partire da questo post, cercherò di avere sia l'uno che l'altro in un processo plurale di progressiva comprensione di questo, per me, illustre sconosciuto)


(immagine tratta da: http://biografieonline.it/img/bio/Edmund_Husserl_1.jpg)



Chi non vuole buttarsi su Heidegger e nel contempo rimanere lontano dal mantra del postmoderno, in genere, assume Husserl come il prototipo dell'ultimo VERO filosofo.


Questo, secondo certi aspetti oppure da un determinato punto di vista, è vero, ma corre il rischio della banalizzazione oppure dell'azione secondo falsa coscienza.



Dobbiamo, piuttosto, sfrondare il linguaggio husserliano, così debitore, a suo modo, alla cultura, anche scientifica, del suo tempo da apparire quanto meno "strano" ad un lettore odierno.


Così, prendiamo in considerazione solamente il suo Manifesto: Idee per una fenomenologia pura[1]. 

Cosa intende Husserl con filosofia? Glossiamo il suo linguaggio e cerchiamo di chiarire un poco le idee.

In primo luogo, egli considera la filosofia una fenomenologia. Ma che vuol dire fenomenologia? E' evidente come il discorso si collochi ben distante dal suo principale termine di paragone, vale a dire il fenomenismo trascendentale di Kant. Husserl si riferisce ad un generico campo di fenomeni per dire solamente che la filosofia consiste in questo sguardo trascendentale sui fenomeni. Al punto da poter essere una "scienza di fenomeni"[2]. 


Ora se per Kant la conoscenza è il frutto della (doppia) sintesi di giudizi a priori e di giudizi empirici, in Husserl questo non importa. Non si tratta infatti di determinare le condizioni a priori di ogni conoscenza futura o possibile, vale a dire esattamente l'orizzonte trascendentale del cogito, o Io penso, ma più dinamicamente la maniera attraverso la quale il fenomeno entra nello spazio della coscienza, diviene cioè oggetto di pensiero[3].

Per dirla altrimenti, se in Kant conta stabilire con quale attendibilità il soggetto pensa quel che pensa, in Husserl conta stabilire come pensa chi pensa.


Per questo motivo, e sin dalle Ricerche logiche, egli prende posizione contro la psicologia empirica[4]: non ha alcuna importanza ancorare la conoscenza dei processi gnostici, vale a dire conoscitivi, in quanto frutto dell'articolazione del cogito umano, alla loro dimensione materiale, vale a dire fisica o cerebrale; importa, piuttosto, descrivere come funziona il pensiero umano nel momento stesso in cui ha luogo.

Ecco come mai Husserl appare così lontano dai nostri orizzonti: egli non si limita a fornire un resoconto ex post, ossia al termine del processo del pensiero, ma ne fornisce una presa diretta, dando luogo a quel caratteristico "rumore di fondo" che è possibile cogliere leggendo le sue pagine ...


A questo punto, però, dovrebbe risultare del tutto chiaramente, come egli stia a Kant come Kant stia a Copernico. Husserl si richiama molto da lontano al fenomenismo trascendentale kantiano ma subito per smarcarsi e gettare le fondamenta di quella che lui stesso considera una "scienza essenzialmente nuova"[5], la fenomenologia, vale a dire la descrizione dinamica, ed interna, della maniera attraverso la quale la coscienza fa esperienza di fenomeni, vale a dire di idee pure, o essenze

In questo modo, quella di Husserl non può venir considerata una filosofia trascendentale, ma una fenomenologia che punta ad essere una scienza delle idee, vale a dire è una scienza eidetica.


E cosa significa scienza eidetica? Anche a costo di apparir superficiale o scolastico, sostengo che è una particolare curvatura del discorso filosofico la quale prende in considerazione le essenze delle cose, ossia la natura loro propria dei ... fenomeni. 


Detto altrimenti, quel che è quanto appare. 


Kant parlava in termini critici di noumeni, vale a dire di sorgenti inconoscibili delle conoscenze, ossia la combinazione mista, a priori ed empirica, dei fenomeni, invece qui Husserl parla di essenze, vale a dire di sorgenti conoscibili delle cause della conoscenza, ossia dei fenomeni una volta che entrino nello spazio della coscienza, gli "elementi strutturali alla nostra esperienza"[6].

(continua)

Note
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[1] Cfr. E. Husserl Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino, 2012.
[2] Ivi, p. 3.
[3] Ivi, p. 5.
[4] Ivi, p. 3 e sg.
[5] Ivi, p. 3.
[6] Cfr. V. Costa, Husserl, Carocci, Roma, 2009, p. 33.

giovedì 25 aprile 2013

Norme ... istituzioni ... logica ...



"norms are facts of social and individual reality. They cannot be seen as physical objects, but they are effective elements of human life and important determinants of the condition humana. We say that norms which play an actual role in human life are institutionalised. They are realities, not only thought objects"

(O. Weinberger, The Language of Practical Philosophy, “Ratio Juris”, 3, 2002, p. 292)



Come dare torto a Weinberg?



I fatti sociali non sono oggetti naturali, pur essendo dotati di una certa fisicità.


Essi sono elementi effettivi, e fattivi, nel senso che esplicano un'influenza importante sulla nostra esistenza, della condizione umana.


I fatti sociali che pongono in essere delle istituzioni, ossia una regolazione normativa e culturale della vita umana, sono delle norme.


Le norme sono reali, e non solamente degli oggetti di pensiero.


Ma essendo realissimi, e non solo frutto delle nostre elucubrazioni, a quale "logica" rispondono?



(immagine tratta da: http://www.jurisdynamics.net/files/images/RatioJurisJournal.jpg)






Alessandro Pizzo

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venerdì 19 aprile 2013

Delle due, l'una ...

"according to a generally accepted definition of logical inference only sentences which are capable of being true or false can function as premises or conclusions in an inference; nevertheless it seems evident that a conclusion in the imperative mood may be drawn from two premises one of which or both of which are in the imperative mood"

(J. Joergensen, Imperatives and Logic, "Erkenntnis", 1937 - 8, p. 290)



L'epistemologo danese formula per la prima volta in maniera compiuta la distinzione canonica tra logica e imperativi: l'enigma, cioé, dei rapporti tra la prima, vertente solamente sulle proposizioni descrittive di stati di cose, e i secondi, i quali, pur essendo eterogenei alle proposizioni descrittive, sembrano comunque possedere una logica.



Da allora non è parso sinora possibile tirarsi fuori dal problema.



Sin da allora, infatti, la riflessione non ha formulato soluzioni convincenti.



Eppure tale iato sembra più la tenace difesa di un'ideologia, e della sua purezza, che non il riconoscimento di un'impossibilità effettiva.
Alessandro Pizzo

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giovedì 11 aprile 2013

L'etica senza verità ...



"dalla prospettiva logica vediamo che i valori e le norme etiche sono proposte […] e non proposizioni indicative. L'etica non descrive; essa prescrive. L'etica non spiega; essa valuta. Difatti: non esistono spiegazioni etiche, esistono solo spiegazioni scientifiche. Esistono spiegazioni scientifiche e valutazioni etiche. Né si danno previsioni etiche (o estetiche). L'etica non sa. L'etica non è scienza. L'etica è senza verità. La scienza non produce (non produce logicamente) etica. Dalle proposizioni descrittive non è possibile dedurre asserti prescrittivi. Dall'intera scienza non è possibile spremere un grammo di morale. La “grande divisione” tra fatti e valori – la cosiddetta legge di Hume – ci dice che dall'”è” non deriva il “deve”, dall'”essere” non si deduce il “dover essere” […] La scienza sa; l'etica valuta. L'etica non sa; la scienza non valuta. I fatti non sono valori. Le norme non si riducono a fatti"

(Antiseri D. (2001), La conoscenza filosofica, in Reale G. - Antiseri D., Quale ragione?, Milano, Raffaello Cortina, p. 137)


Antiseri riassume i termini estremi del Dilemma di Joergensen: se la logica trova applicazione esclusivamente alle inferenze con proposizioni indicative, o descrittive, ossia le proposizioni conoscitive, mentre l'etica ha a che fare con proposizioni valutative, o normative, ossia le proposizioni pratiche, è possibile prendere in considerazione inferenze con proposizioni non indicative? 


Se da un lato ciò appare quanto meno dubbio, stante la separazione suddetta tra scienza e morale, tra conoscenza e valutazione, tra logica ed etica, tra le proposizioni dell'una, indicative, e le proposizioni, prescrittive, dell'altra parte, come si devono pensare i termini del problema sollevato da Jørgesens


Dobbiamo pensarla ancora come Poincaré oppure sono possibili (valide) alternative?


E se la logica trova comunque applicazione alle proposizioni morali, e corrispondenti ragionamenti, possiamo andare oltre la limitazione alle cosiddette inferenze miste?


La questione, a mio modesto modo di vedere, non solo è ancora aperta, ma ancora tutta da affrontare.



(immagine tratta da: http://www.gramma.it/sussidiario/grafi/img_grafi/grafo_inferenze.gif)