Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Jørgensen. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Jørgensen. Mostra tutti i post

martedì 20 settembre 2016

Autocitazione #2

"è stata anche cucita addosso allo Jørgensen la responsabilità, o il merito, a seconda dei rispettivi punti di vista, di aver formulato per la prima volta una topica precisa e rilevante, il cosiddetto dilemma di Jørgensen"

(a. pizzo, Kelsen “legge” Jørgensen sul controverso rapporto tra logica e diritto, in r. d’alessandro - i. pozzoni (curr.), Prospettive storiografiche di teoria sociale Limina Mentis, Villasanta, 2015, p. 131)

Ed è proprio così: la ricezione "standard" ha inventato il dilemma di Jørgensen, modificando l'originale puzzle, tramutando un imbarazzo scientifico in una barriera insormontabile tra Sein e Sollen, tra Is e Ought, tra essere e dover essere ...

Possiamo uscirne?

Certo che sì! A condizione, però, che si torni a Jørgensen ...


(url: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgO02airT-q3OwQBNajz93tQCrDK-OgCONNHzvKp8QHiNJLIVR2fxgdBDtoLSNnui04DEfyWhQVXuBieP2CD5mU7_Myn_TbGAslSJbWRQ2V0RsvrXLP4G4QOY3jPktoUNLP1Z2NnEl0WCFC/s1600/dilemma.jpg)



martedì 5 maggio 2015

martedì 7 aprile 2015

Preview!

Di seguito l'immagine di preview di un saggio in fase di pubblicazione in un volume collettaneo.




Non appena il volume suddetto sarà stato pubblicato, ne darò pronta pubblicità.

venerdì 27 marzo 2015

Logica deontica, again!




(url immagine: http://www.helsinki.fi/alumniyhdistys/images/ajankohtaista/Georg%20Henrik%20von%20Wright.jpg)


A mio modo di vedere, due sono i momenti distinti, ma non anche irrelati, della ricerca von wrighitana intorno alla sensatezza delle proposizioni pratiche: 

1) un primo momento, coincidente con i decenni ’50 – ’60 del secolo scorso; e, 
2) un secondo momento, coincidente in linea di massima con i decenni seguenti. 


Mentre il primo momento configura la ricerca di von Wright come espressamente logica, il secondo momento invece qualifica l’itinerario speculativo dello stesso in chiave marcatamente analitica.

Per dirla in altro modo, nel primo momento, von Wright cerca di venire a capo dell’enigmaticità della razionalità del discorso pratico tramite una cassetta degli attrezzi di tipo formale, mentre nel secondo tramite una cassetta degli attrezzi di tipo analitico. Non si tratta puntualmente di due  momenti slegati, ma di due tappe di un unico progetto originario: render conto della razionalità del discorso pratico

Tra i suoi molteplici interessi, quello inerente alla razionalità del discorso pratico ha segnato l’intera speculazione del compianto filosofo finlandese, un itinerario teoretico preciso e sorretto da un profondo ottimismo nei confronti del futuro dell’umanità, specie dopo la catastrofe del secondo conflitto mondiale. Questo atteggiamento di fondo si riverbera nella maniera con cui attende a render conto logicamente della razionalità del discorso pratico. Infatti, appare convinto della chiave di volta logica, e che, dunque, in qualche modo fosse pure possibile indicare riflesso nel rigore del linguaggio formale la nitidezza della razionalità del discorso pratico. Era, cioè, convinto del fatto che la perfetta geometria della logica formale potesse riflettere la razionalità delle enunciazioni pratiche. 


Negli anni ’50 venne a contatto con la logica modale, e scorse un’analogia tra «i quantificatori e i concetti modali»[2] grazie alla quale si convinse di poter catturare all’interno delle reti formali il comportamento razionale delle enunciazioni linguistiche del discorso pratico. Aggiungendo uno specifico operatore modale ad uno dei noti sistemi russelliani, vale a dire le logiche proposizionali, diventava possibile estendere il range di funzionamento della logica oltre i normali confini vero – funzionali. 

Intendo sostenere che von Wright affronta di petto la problematica conosciuta come dilemma di Jørgensen, e secondo la quale è problematica la discussione intorno al carattere logico delle proposizioni pratiche[3] dal momento che queste ultime non descrivono stati di cose, e, pertanto, sono aleticamente adiafori, il che significa affermare che non «sussistano relazioni logiche»[4] fra imperativi e norme. Piuttosto, scorgendo un’analogia tra logica modale aletica e logica deontica non aletica, di modo che sia possibile sottoporre ad analisi logica anche le proposizioni pratiche, si aggira l’ostacolo costituito dalla loro eterogeneità ai valori vero – funzionali. 


Facendo ciò, von Wright mostra l’estremo fascino della logica deontica, problematica sì, ma interessante perché consente di estendere il dominio della logica oltre i limiti del regno della verità[5]. Ciò significava, infatti, imbrigliare le enunciazioni intensive, quali quelle del discorso pratico, entro un formalismo logico che attribuisse un significato “modale” alle usuali enunciazioni estensive.


Se consideriamo le analogie scorte da von Wright tra logica e linguaggio, penso si possa scorgere l’evoluzione successiva del suo pensiero che muove dall’analisi del linguaggio formale in direzione dell’analisi del linguaggio ordinario. Il che significa spostare l’attenzione dalla razionalità del discorso morale, malamente riflessa dalla razionalità del discorso formale, al discorso morale in quanto tale.

A partire dagli anni ’60 von Wright si concentra sull’azione, sul cambiamento, sul tempo. Non si tratta di meri allargamenti di interessi speculativi, ma di necessari progressi nella sua considerazione intorno alla razionalità del discorso pratico. Detto altrimenti, infatti, già a partire della fine degli anni ’50 a più interlocutori la sua logica deontica appariva priva «di solide fondamenta»[7], dal momento che la sua stessa storia sia stata costellata da innumerevoli quanto gravi malfunzionamenti formali[8], chiamati, in genere, paradossi, ma aventi una natura profondamente diversa dai ben noti paradossi semantici[9]vale a dire derivazioni tanto sorprendenti quanto sgradevoli[10].


Questo allargamento, tuttavia, consente di integrare lo scarno simbolismo formale delle prime versioni di logica deontica con un linguaggio più evoluto e maggiormente capace di cogliere la razionalità pratica. Per Artosi, «ci sono parecchie questioni in logica deontica»[11] che potrebbero risultate rilevanti per il discorso pratico, nonostante le indubbie difficoltà. Se a partire dagli anni ’40 si cominciò a discutere delle possibili conseguenze per l’etica «degli sviluppi della logica»[12], è anche vero come proprio la logica deontica abbia costituito un indubbio «risultato principale di questo allargamento del campo di indagine»[13]. Infatti, essa consente di render conto, entro certi limiti, della razionalità del discorso pratico. Intendo dire che sicuramente essa «doveva mettere in luce il funzionamento degli operatori caratteristici del ragionamento normativo»[14] ma è altrettanto certo che da sola non è sufficiente allo scopo, riuscendo a mala pena a catturare solo un pezzetto della razionalità suddetta. 

In tempi recenti, von Wright ha sostenuto che il formalismo del linguaggio logico illumina solo un aspetto della razionalità pratica, ossia la sua normatività, ma è del tutto incapace di render conto della dinamicità concreta dei ragionamenti pratici[15], diversamente essenziali per un discorso pratico realmente tale. Dunque, par di capire, quest’ultimo sembra continuare a sfuggire alla logica. Una condizione del tutto spiacevole dal momento che consegna la morale all’arbitrio, all’irrazionale, all’ingiustificato. Mentre, e certamente, «il pensiero pratico è pur sempre pensiero e, come tale, deve soddisfare i requisiti e le leggi della logica»[16].


Come conciliare, allora, le esigenze della logica con la natura problematica del discorso pratico? Per Poli, «il pensiero pratico è pensiero sul mondo in relazione a specifici concetti essenzialmente pratici. Pensiamo praticamente quando emettiamo ordini e comandi e quando prendiamo decisioni. In tal modo, il pensiero pratico include il pensiero non pratico in quanto implica la conoscenza dell’ambiente e delle circostanze in cui operiamo»[17]. E ciò è, in fin dei conti, coerente con la storia della logica deontica stessa, un vero e proprio tentativo di cogliere «the underlying structure, of our moral discourse»[18]. Vale a dire, di tradurre formalmente le intuizioni morali che viceversa esprimiamo con il discorso pratico[19]


Pensare, al contrario, che la logica possa dirci come agire, vale a dire esprimere nel contempo tanto la forma quanto il contenuto del discorso pratico appare del tutto insensato. Al massimo, ci descrive la cornice linguistica delle enunciazioni pratiche, ma non sembra in grado di attingere al relativo contenuto, il quale resta legato alle intuizioni morali che noi, in qualità di agenti umani razionali, produciamo ed esperiamo. 

Secondo alcune interpretazioni, proprio la tensione irriducibile tra il primo e le seconde potrebbe essere una delle cause principali dei paradossi deontici[20], una particolare tensione tra il lavoro dei logici formali e la filosofia delle norme[21].


Dopo trent’anni nel labirinto della logica deontica[22], von Wright modifica la sua logica deontica in termini di filosofia delle norme. Pur non rinnegando le sue idee precedenti, svolge un discorso del tutto differente rispetto a prima. Così, giungiamo al secondo momento di svolgimento della sua speculazione. Non più una logica, ma una praxeologia della legislazione umana. Detto altrimenti, la logica deontica non può dirimere le questioni trattate nel discorso pratico, ma «will help to clarify disputes between particular theories»[23]. Nel 1983 von Wright introduce la metafora del legislatore razionale per esprimere il succo della sua teoria intorno alla razionalità del discorso pratico[24]


Per il Nostro, infatti, vi sono alcune particolari condizioni affinché delle norme siano razionali: a) la possibilità che non sempre vengano rispettate; b) impossibilità di rispettarle; c) manifesta irrazionalità delle stesse. Nel caso (a), è normale che nel corso degli eventi alcune norme siano non rispettate, può occasionalmente accadere. Nel caso (b), invece, von Wright insiste sul carattere ‘umano’ dei desiderata del legislatore: nessuna norma non soddisfacibile, per i più vari motivi storici, o fuori dalla portata di agenti umani, razionali sì ma del tutto fallibili, può venir soddisfatta egualmente. Più interessante, a mio avviso, è il caso (c). Infatti, il Nostro sta asserendo che il legislatore non può mai ordinare una contraddizione, come ad esempio fare X-e-non-X. In quest’ultimo caso,  il legislatore è irrazionale per aver ordinato di soddisfare due norme contraddittorie, le quali possono essere soddisfatte solo una alla volta nel normale  corso storico, e mai insieme nello stesso tempo storico. 

Un discorso molto simile, ma in fin dei conti differente, viene compiuto per i permessi. Per von Wright, sono possibili i seguenti casi: x) la coesistenza di due permessi; xx) la non soddisfacibilità pratica di uno dei due permessi contrari; xxx) la non soddisfacibilità pratica di due permessi contraddittori. Nel caso (x) viene meramente ribadita la definizione di permesso, vale a dire di azioni lasciate all’arbitrio dell’agente umano. Nel caso (xx), invece, si contempla l’impossibilità per un dato agente di mandare ad effetto in maniera efficace due permessi su azioni tra loro contraddittorie. Nella medesima sequenza temporale, infatti, solo uno dei due permessi contrari è realizzabile, a scapito dell’altro il quale, evidentemente, non può essere adempiuto. Infine, nel caso (xxx), von Wright introduce nella riflessione pratica una specifica nozione logica, quella di contraddizione, al fine di negare l’eventualità che un legislatore conceda dei permessi su due azioni perfettamente contraddittorie. In tal caso, infatti, si tratta di due permessi che non possono rimanere validi per l’intera durata della storia. E tuttavia si deve comunque concedere che siano, da un punto di vista squisitamente pratico, del tutto possibili. Vale a dire che è del tutto razionale che sussistano entrambi. 


Allora, sembra di poter asserire che von Wright formuli delle specifiche condizioni di possibilità per una razionalità normativa, vale a dire produttiva di norme razionali. Queste sono, a ben vedere, solamente due: i) la non contraddittorietà delle proposizioni del discorso pratico; e, ii) la coerenza tra le proposizioni del discorso pratico. La condizione (i) impone che il legislatore non fornisca volutamente ordini contraddittori mentre la condizione (ii) impone che tra due obblighi o permessi sussista sempre una relazione di coerenza, ovvero di consistenza tra corrispondenti corsi d’azione opposti. Senza la condizione (i), ovvero senza la non contraddizione, e senza la condizione (ii), ovvero senza la coerenza, non può darsi un discorso pratico razionalmente fondato e sensato. In ogni caso, comunque, rimane ferma la limitazione fondamentale, in virtù della quale «la logica può solo rispecchiare le nostre teorie morali»[25].


Per Galvan, «La Logica deontica è una particolare Logica intensionale […] è praticata in misura prevalente nell'ambito della Logica proposizionale e, probabilmente, è questa la ragione che ne limita l'utilità come strumento effettivo di argomentazione nell'ambito giuridico ed etico applicativo»[26]. Trattandosi, dunque, di una particolarissima logica proposizionale di primo livello, non appare in grado di render conto della razionalità del discorso pratico, salvo, forse, alcuni minimi aspetti. Di ciò, con molta probabilità, si rese presto conto lo stesso von Wright, il quale, sottoponendo a revisione e critica la propria riflessione, pervenne infine alla sistemazione attuale che, se da un lato si configura come un superamento della stessa logica deontica, dall’altro lato si configura anche come un procedimento filosofico di natura differente dallo studio formale, vale a dire come una filosofia delle norme che descriva i canoni di una razionalità del discorso pratico. 


A questo punto, mi sia consentito svolgere alcune considerazioni ulteriori. 

A) La praxelogia appare come il riconoscimento di una sconfitta, che la logica deontica manca il suo scopo originario, anche se rimane alta ed ancora valida l’esigenza di fondo, di mettere a punto un trattamento formale capace di riflettere la natura della razionalità pratica. 


B) L’indagine praxeologica rimane sempre e solo teorica, vale a dire von Wright la confina nell’iperuranio della teoretica fine a sé stessa. Intendo, cioè, dire che i principi di non contraddizione e consistenza non valgono per questo o quell’ordinamento pratico, ma solamente per uno ed unico ordinamento: quello ideale. Von Wright, in altri termini, circoscrive l’ambito di validità della sua analisi praxeologica alla purezza ideale di un modello teorico di legislazione umana, sì razionale, ma sempre e comunque distante, e purtroppo, dalla confusa, irrazionale e sovente pure inconsistente legislazione umana storica?


A coclusione della presente rapida rassegna di due singoli momenti della sterminata produzone e riflessione del filosofo finlandese, possiamo tranquillamente chiederci se sia poco o molto. Difficile dirlo. In ogni caso, si tratta di uno svolgimento che merita approfondimento e considerazione, più di quanto non sia possibile in questa sede. 


E per quanto esista comunque una razionalità del discorso pratico e per quanto, ancora, il linguaggio umano esprima delle funzioni normative[27], la meta agognata, il render conto in maniera efficace e puntuale della razionalità del discorso pratico, appare ancora lontana nel suo stagliarsi al termine dell’orizzonte.







[1] Cfr. p. tripodiGeorg Henrik von Wright fra Carnap e Wittgenstein, “Rivista di Filosofia”, 3, 2002, p. 433.
[2] Ivi, p. 440.
[3] Cfr. j. jørgensenImperatives and Logic, “Erkentnnis”, 7, 1937 – 8, p. 288.
[4] Cfr. b. celanoDialettica della giustificazione pratica. Saggio sulla Legge di Hume, Giappichelli, Torino, 1994, p. 326.
[5] Cfr. g. h. von wrightLogical Studies, Routledge and Kegan Paul, London, 1957, p. vii.
[6] Cfr. a. emilianiIntroduzione, a: g. h. von wrightNorme e azione. Un’analisi logica, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 9.
[7] Cfr. g. sartorInformatica giuridica. Un’introduzione, Giuffré, Milano, 1996, p. 87.
[8] Cfr. a. artosiIl paradosso di Chisholm. Un’indagine sulla logica del pensiero normativo, Clueb, Bologna, 2000,, p. 69: «fonte insidiosa e inesauribile di paradossi».
[9] Cfr. f. feldmanA Simplex Solution to the Paradoxes of Deontic Logic, “Philosophical Perspective. Action Theory and Philosophy of Mind”, 4, 1990, p. 309: «Some of deontic logic’s stickiest problems are revealed by the so-called “paradoxes of deontic logic”. None of these is, strictly speaking, a paradox».
[10] Cfr. EJLemmon – P. H. Nowell SmithEscapism: The Logical Basis for the Ethics, “Mind”, 69, 1960, p. 290.
[11]Cfr. a. artosiop. cit., p. 7.
[12] Cfr. s. cremaschiL’etica del novecento. Dopo Nietzsche, Carocci, Roma, 2005, p. 64.
[13] Cfr. b. celanoPer un’analisi del discorso dichiarativo, “Teoria”, 1, 1990, p. 166.
[14] Cfr. p. rossi – c. a. viano (eds.), Storia della filosofia. 6. Il Novecento, Laterza, Roma – Bari, 1999, pp. 889 – 890.
[15] Cfr. g. h. von wrightDeontic Logic: A Personal View, “Ratio Juris”, 1, 1999, p. 31.
[16] Cfr. g. h. von wrightIntroduzione, a: g. di bernardo (ed.), Logica deontica e semantica, Il Mulino, Bologna, 1977, p. 37.
[17] Cfr. r. poliLa logica deontica: dalla fondazione assiomatica alla fondazione filosofica (II), “Verifiche”, 4, 1982, p. 465.
[18] Cfr. g. s. mcCord, Deontic Logic and the Priority of Moral Theory, “Mind”, 20, 1986, p. 179.
[19] Cfr. n. rescherTopics in Philosophical Logics, Reidel, Dordrecht, 1969, p. 321.
[20] Cfr. g. h. von wrightOn the Logic of Norms and Action, in r. hilpinen (eds.), New Studies in Deontic Logic, Reidel, Dordrecht, 1981, p. 7.
[21] Cfr. d. makinsonOn a Fundamental Problem of Deontic Logic, in p. mcnamarra - h. prakkenNorms, Logics and Information Systems. New Studies in Deontic Logic and Computer Science, IOS, Amsterdam, 1999, p. 29.
[22] Cfr. g. h. von wrightNorme, verità e logica, “Informatica e diritto”, 3, 1983, p. 5.
[23] Cfr. g. s. mcCordop. cit., p. 179.
[24] Cfr. g. h. von wrightNorme … op. cit., p. 16.
[25] Cfr. a. artosiop. cit.¸ p. 205.
[26] Cfr. s. galvanLogica deontica e sue applicazioni, in g. basti – p. gherri (eds.), Logica e Diritto: tra argomentazione e scoperta, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2011, p. 85.
[27] Cfr. a. pizzoIl contributo di Georg Henrik von Wright alla filosofia del XX secolo, in i. pozzoni (ed.), Frammenti di filosofia contemporanea, Limina Mentis, Villasanta, 2012, p. 404: «il linguaggio assume precisi significati normativi, esplicando di conseguenza altrettante funzioni normative».

domenica 14 settembre 2014

Autopromozione



"Secondo Losano l’itinerario speculativo di Hans Kelsen è intimamente contraddittorio dal momento che da un iniziale logicismo approda ad un finale irrazionalismo in materia normativa. In linea generale, concordo con tale giudizio. Piuttosto trovo che sulle ragioni di tale sorprendente evoluzione non ci sia molto da dire dato che è l’esito esatto di una premessa metodologica precisa e consistente nella distinzione tra Sein e Sollen, o, per meglio dire, tra la conoscenza e la valutazione, o, il che è del tutto equivalente, tra la scienza e il diritto. In altri termini, posto in essere questo salto logico tra 


la prima e la seconda, quale fondamento razionale possiamo trovare nelle valutazioni giuridiche? E segnatamente per le specifiche proposizioni che le realizzano? Kelsen, fedele sino alla fine a questo iato, a questa distinzione, a tale netta polarità, «critica tutti i tentativi di ricondurre il dover essere all’essere», mettendo così capo ad una concezione della norma ove in primo piano v’è solamente la volontà, vale a dire un atto della volontà in tutto irriducibile alla ricostruzione teorica, e, quindi, consegnato ad un sostanziale irrazionalismo in forza del quale le norme hanno luogo, punto e basta. Losano, al riguardo, appare esplicito quando scrive che «Concependo le norme come atti della volontà ed escludendo l’applicazione della logica ad esse, Kelsen ha reso ancora più profonda la separazione tra il mondo dell’essere e quello del dover essere e, quindi, ha reso ancora più coerente il suo sistema teorico-giuridico fondato su questa separazione», un’ulteriore depurazione radicale, prevista nella sua teoria “pura” del diritto, che, però, è appena il caso di farlo notare, avviene «a caro prezzo»"


(articolo completo qui)

domenica 30 marzo 2014

Altra farneticazione ...

(prefatio: Ho appena pubblicato l'ennesima mia farneticazione editoriale presso la rivista "Diritto.it", una delle tante riviste di fascia A (?). Ovviamente, il lavoro si mette in luce per l'incredibile qualità della ricerca (?) la quale, apportando un contributo originalissimo allo stato dell'arte (?), sicuramente avrà un rilevante impatto (?) con Google Scholar o PoP in termini di citazioni (?) ... a chi legge, l'onore di leggere quanto segue ...)





Il puzzle di Jørgensen: enigma vs. dilemma



Agli inizi del XX secolo, inizialmente in ambito neopositivistico, è stata posta la questione inerente al rapporto tra la verità delle proposizioni normative (d'ora innanzi: (PN)) e la loro significanza. In altri termini, i vari autori si sono chiesti se vi fosse una differenza teoricamente apprezzabile tra il valore di verità che una (PN) può assumere e il suo significato. La letteratura specialistica s'è chiesta nell'ordine: 1) quale fosse lo statuto logico del significato posto da ciascuna (PN); e, 2) quale fosse la natura razionale della funzione di verità svolta da ciascuna (PN). Ora, che una proposizione abbia un significato mi pare cosa abbastanza pacifica; assai meno pacifico è, invece, asserire che una (PN) abbia un valore di verità. Addirittura, è controversa la possibilità stessa di poter stabilire, per ciascuna (PN), un valore di verità.


(continua qui)



(immagine tratta da: http://image.shutterstock.com/display_pic_with_logo/221737/133891730/stock-photo-dilemma-and-decision-making-concept-in-tag-cloud-on-white-background-133891730.jpg)

sabato 27 luglio 2013

Logica deontica. FAQ




Cos'è la logica deontica?

Si tratta di una nuova branca nelle ricerche logiche del XX secolo che, ufficialmente, prende le mosse dai lavori di von Wright nel 1951[1].

Come “ufficialmente”?

Notoriamente, si ritiene atto fondativo della logica deontica moderna il saggio Deontic Logic pubblicato nel 1951 sulla rivista Mind. Tuttavia, però, come dimostrato ampiamente dalle ricerche di Knnuttila[2], sono presenti nel corso della storia umana molti precorrimenti o anticipazioni i quali, però, non hanno mai raggiunto la completezza, formale e d'intenti, del progetto di von Wright.

Ma di cosa si occupa esattamente?

Al riguardo, e coerentemente con la sua evoluzione, tanto rapida quanto burrascosa[3], il suo ambito di occupazione è mutato, passando dalle generiche 'norme' alla 'razionalità pratica'. Volendo schematizzare, però, possiamo sintetizzare almeno i seguenti sei significati fondamentali, magari tra loro molto simili, ma con significati reciprocamente eterogenei:

  1. logica delle proposizioni normative[4];
  2. logica delle norme[5];
  3. logica della deontica[6];
  4. logica dei concetti normativi[7];
  5. logica del ragionamento normativo[8];
  6. logica della razionalità pratica[9].

A seconda del significato specifico prescelto, i vari autori hanno posto in modo particolare l'accenso rispettivamente sul formalismo a) delle proposizioni normative; b) delle norme; c) della sfera deontica; d) sulla proprietà formali delle nozioni normative; e) sul formalismo specifico del ragionamento su norme; e, f) sul rapporto tra causalità pratica e conformità a precisi valori.

D'accordo, ma cosa sono le proposizioni normative? E cosa i concetti normativi?

Per le prime, in genere, s'intendono tutte quelle proposizioni ove figurano nozioni normative, come, ad esempio, 'permesso', 'vietato', 'obbligatorio', indifferente', e così via. In breve, tutte quelle espressioni che hanno uno specifico significato normativo, e nettamente in contrasto con quello delle espressioni che descrivono stati di cose. I concetti normativi, poi, sono semplicemente le nozioni aventi significato normativo senza che ciò comporti far riferimento diretto alle propozioni ove compaiono.

E il ragionamento normativo?

Detto in breve, tutti quei ragionamenti che operano su o con proposizioni ove figurano nozioni normative. Questo perché si ritiene che il comportamento logico di questi ultimi non sia riducibile a quello dei ragionamenti con o su proposizioni descrittivi di cose. Per questi ultimi, infatti, non v'è problema a verificare, in termini verofunzionali, le proposizioni oggetto di discussione o ragionamento, cosa che non è possibile fare alla stessa maniera con le proposizioni ove figurino nozioni normative o che possiedano uno spiccato significato normativo. In questo senso, infatti, la logica deontica appare dotata di particolare significato dal momento che, sensu lato, consente di estendere il dominio della logica oltre il reame della verità[10].

Perché le proposizioni normative non sono verofunzionali?

Perché non descrivono uno stato di cose, rispetto al quale ha senso chiedersi se siano vere oppure false, ma prescrivono un certo ordine reale, e rispetto al quale è impossibile chiedersi se siano vere oppure false. In letteratura, si parla appunto di 'Grande Divisione' tra fatti e valori, o anche di 'Legge di Hume', violando la quale si incorre nella 'fallacia naturalistica'. Tanto l'una quanto l'altra sostengono una sola cosa: non è possibile derivare il 'dovere', ossia il 'normativo', dall'essere', ossia il 'descrittivo' (e viceversa, ovviamente)[11].

Questo significa che la sfera pratica è del tutto svincolata dalla razionalità?

Assolutamente no, ma che, da un punto di vista teorico è problematico trovare una fondazione razionale la quale non incorra nella suddetta fallacia, o che operi arbitrarie invasioni di campo, p.e. Dal 'descrittivo' al 'normativo', oppure dal 'prescrittivo' all'essere'. E tuttavia appare prima facie banale osservare come le proposizioni normative funzionino secondo una logica. A rigore, dovrebbero collocarsi in un dominio eterogeneo a quest'ultima, ma ciò non accade né tantomeno possiamo considerarle del tutto 'logiche'. Da qui sorge un problema che Jørgensen chiamò puzzle[12]. Successivamente, il danese Ross chiamò questo problema, in onore del connazionale che per primo lo colse da un punto di vista teorico, 'dilemma di Jørgensen'[13].

Cos'è esattamente il dilemma di Jørgensen?

Si tratta del riconoscimento della difficoltà formale a giustificare la possibilità di inferenze ove figurino proposizioni normative o come premesse o come conclusione[14]. Questo perché essendo non verofunzionali, non pare possibile adoperare la logica, di per sé verofunzionale invece, per dare luogo a inferenze corrette o sensate. In genere, essendo un dilemma, vi sono due tesi reciprocamente esclusive le quali danno, rispettivamente, una versione della logica e una possibilità, positiva o negativa, circa una logica delle norme[15]. Volendo sintetizzare in questa sede, possiamo avere:

i) la logica, essendo verofunzionale, trova applicazione solamente alle proposizioni verofunzionali, e non alle proposizioni normative, ragion per cui è impossibile una logica delle norme;
ii) è possibile una logica delle norme a condizione, però, che la logica estenda il suo

Allora c'è un rapporto tra la logica deontica e il dilemma di Jørgensen?

Concettualmente sì, praticamente no. Infatti, si tratta di una topica afferente alla discussione teorica sulla possibilità, o meno, di una logica deontica[16] mentre nessun legame vero e proprio è possibile scorgere tra la prima e il secondo. Dire che la logica deontica affonda le proprie radici nella cd. Is – Ought Question[17] è banale nel senso che l'intera riflessione morale del XX secolo è stata determinata dalla sistemazione di Poincaré ai rapporti tra scienza e morale[18]. Piuttosto ha senso, invece, affermare che il pensiero pratico è pur sempre pensiero, e come tale dovrebbe rispondere alle medesime “leggi del pensiero”[19], sebbene, ovviamente, ciò appaia complicato e problematico. La presenza di diffusi paradossi deontici, ad esempio, e quello più eclatante, mette seriamente in questione la possibilità stessa di una logica deontica[20].

(continua ...)

Note

[1] G. H. von Wright, Deontic Logic, “Mind”, 60, 1951, p. 1 e sgg. Cfr. G. H. von Wright, An Essay in Modal Logic, North – Holland, Amsterdam, 1951.
[2] Cfr. S. Knuuttila, Logica modale, in AA. VV., La logica nel Medioevo, Jaca book, Milano, 1999, pp. 289 – 308. Cfr. S. Knuuttila, Modalities in Medieval Philosophy, Routledge, London and New York, 1993. Cfr. S. Knuuttila, The Emergence of Deontic Logic in the Fourteenth Century, in R. Hilpinen (eds.), New Studies in Deontic Logic, Reidel, Dordrecht, 1981, pp. 225 – 248. Cfr. S. Knuuttila, The Emergence of the Logic of Will in Medieval Thought, in G. B. Matthews (eds.), Augustine Tradition, University of California Press, New York, 1999, pp. 206 – 221.
[3] Cfr. Cfr. G. H. von Wright, Norme, verità e logica, “Informatica e diritto”, 3, 1983, p. 5: «Il mio itinerario attraverso il labirinto della «logica deontica» dura ormai da più di trent’anni». Cfr. Cfr. J. Hintikka, Deontic Logic and Its Philosophical Morals, in J. Hintikka, Models for Modalities. Selected Essays, Reidel, Dordrecht, 1969, pp. 191 – 2: «The literature of deontic logic offers instructive and amusing examples of such fallacies». Cfr. G. Di Bernardo, La teoria dell’azione come base per la logica deontica, “Informatica e diritto”, 2, 1983, p. 239: «emerge ancora una volta la preoccupazione di von Wright di dare alla logica deontica una solida base, una base cioè che eviti i continui paradossi in cui la logica deontica incorre fin dal suo nascere».
[4] Cfr. A. C. A. Mangiameli, Diritto e Cyberspazio. Appunti di informatica giuridica e filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2000, p. 128. Cfr. G. Kalinowski, Il significato della logica deontica per la filosofia morale e giuridica, in G. Di Bernardo (ed.), Logica deontica e semantica, Il Mulino, Bologna, 1977 p. 282.
[5] Cfr. N. Grana, Logica deontica paraconsistente, Liguori, Napoli, 1990, p. 57.
[6] Cfr. P. Di Lucia, Deontica in von Wright, Giuffré, Milano, 1992 p. 5.
[7] G. H. von Wright, Deontic Logic, “Mind”, 60, 1951, p. 1. Cfr. A. Ross, Direttive e norme, Comunità, Milano, 1978 p. 209; Cfr. T. Mazzarese, Logica deontica e linguaggio giuridico, Cedam, Padova, 1989 p. 3: «l’insieme di sistemi formali (di calcoli) che assumono ad oggetto il comportamento logico di concetti normativi quali obbligo, divieto, permesso, facoltà, diritto, pretesa».
[8] Cfr. Y. U. Ryu – R. M. Lee, Defeasible Deontic Reasoning: A Logic Programming Model, in J. J. Ch. Meyer – R. J. Wieringa, Deontic Logic in Computer Science. Normative System Specification, John Wiley and Sons, Chichester, 1993, p. 225: «deontic logic, also called logic of norm or logic of obligation, refers to a study of the normative use of language in which statements of “it is obliged…”, “it is permitted …”, etc. occur».
[9] Cfr. G. H. von Wright, Norme, verità e logica, “Informatica e diritto”, 3, 1983, pp. 5 – 87. Cfr. A. Pizzo, Pensiero pratico e logica deontica: assenza o presenza di razionalità?, “www.filosofia.it”, pp. 1 – 31 (contenuto on – line: http://www.filosofia.it/images/download/essais/07_PensieroPratico_e_logica0deontica.pdf).
[10] Cfr. G. H. von Wright, Logical Studies, Routledge And Kegan Paul, London, 1957, p. vii.
[11] Cfr. G. F. Schueler, Why “oughts” are not Facts (or What the Tortoise and Achilles Taught Mrs. Ganderhoot and Me about Practical Reason), “Mind”, 416, 1995, p. 713: «A great deal of the moral philosophy of the last hundred yaears has been devoted to trying to understand “the relation between ‘is’ and ‘ought’. On the one side, when we are engaged in genuine moral reasoning and debite, we seen to take it for granted that various factual claims support judgments about we ought or ought not to do. We even seem to regard some such judgments as true (and othres as false). On the other side, when we reflect on such judgments, it seems difficult indeed to see how either of these things could be straightforwardly the case, in view of the very great difference between factual and evaluative (or normative) judgments».
[12] Cfr. J. Joergensen, Imperatives and Logic, “Erkentnnis”, 7, 1937 – 8, p. 290.
[13] Cfr. Cfr. A. Ross, Imperativi e logica, in A. Ross, Critica del diritto e analisi del linguaggio, Il Mulino, Bologna, 1982, p. 76.
[14]. Cfr. A. Marturano, Il “Dilemma di Jørgense”, Aracne, Roma, 2012, p. 9.
[15] Cfr. Cfr. G. H. von Wright, Deontic Logic: A Personal View, “Ratio Juris”, 1, 1999, p. 27: «Mally’s work had few, if any, repercussions in the literature. But in the late 1930s and early 1940s there was a certain amount of discussion whether a logic of norms or of imperatives is at all possible in view of the fact that imperatives – and presumably norms too – lack truth-value. In the debate two Danes took a prominent part. One was Jørgen Jørgensen, after whom the name “Jørgensen’s Dilemma” was coined. The other was Alf Ross, inventor of the famous paradox. Both the dilemma and the paradox are still active topics of current debate».
[16] Cfr. S. Coyle, The Possibility of Deontic Logic, “Ratio Juris”, 15, 2002, pp. 294 - 318.
[17] Cfr. G. Di Bernardo, Is – ought question e logica deontica, in U. Scarpelli (ed.), La logica e il dover essere, “Rivista di filosofia”, 1976, p. 169.
[18] Cfr. A. N. Prior, op. cit., p. 22: «to find a ‘foundation’ for morality that is not itself already moral». Cfr. Cfr. A. G. Conte, Alle origini della deontica…cit., p. 641: «La teoria di Jørgen Jørgensen (1894 – 1969) è nata come critica d’una tesi formulata da Jules - Henri Poincaré (1854 – 1912)». Cfr. S. Cremaschi, L’etica del novecento. Dopo Nietzsche, Carocci, Roma, 2005, p. 64: «Negli anni quaranta iniziò a concentrarsi l’attenzione sulle possibili conseguenze per l’etica degli sviluppi della logica. Una delle linee di ricerca intraprese fu quella dello sviluppo di sistemi di logica formale specifici per il linguaggio deontico, cioè contenente prescrizioni […] una seconda linea partì dalla riscoperta della critica humiana al passaggio is – ought».
[19] Cfr. G. H. von Wright, Introduzione, a: G. Di Bernardo (ed.), Logica deontica e semantica, Il Mulino, Bologna, 1977, p. 37: «il pensiero pratico è pur sempre pensiero e, come tale, deve soddisfare i requisiti e le leggi della logica. Lo studio del pensiero pratico rappresenta, tuttavia, un notevole ampliamento della tradizionale scienza della logica. Tale studio può valere anche come fondamento di un’antropologia filosofica, che corrisponda al senso profondo della caratterizzazione aristotelica dell’uomo come animale razionale».

[20] Cfr. N. Grana, Logica deontica paraconsistente, Liguori, Napoli, 1990, pp. 13 – 4: «la derivazione nel sistema formalizzato deontico di alcuni paradossi dividono gli studiosi. Il dilemma di Jørgensen, che pone in discussione la legittimità stessa della logica deontica, viene riproposto da studiosi che non sono disposti a tollerare i paradossi nella logica deontica e che non credono alla possibilità razionale della stessa».



(immagine tratta da: http://www.syzetesis.it/immagini/ArticoliRecensioni2009/deontic-hexagon.jpg)

giovedì 11 aprile 2013

L'etica senza verità ...



"dalla prospettiva logica vediamo che i valori e le norme etiche sono proposte […] e non proposizioni indicative. L'etica non descrive; essa prescrive. L'etica non spiega; essa valuta. Difatti: non esistono spiegazioni etiche, esistono solo spiegazioni scientifiche. Esistono spiegazioni scientifiche e valutazioni etiche. Né si danno previsioni etiche (o estetiche). L'etica non sa. L'etica non è scienza. L'etica è senza verità. La scienza non produce (non produce logicamente) etica. Dalle proposizioni descrittive non è possibile dedurre asserti prescrittivi. Dall'intera scienza non è possibile spremere un grammo di morale. La “grande divisione” tra fatti e valori – la cosiddetta legge di Hume – ci dice che dall'”è” non deriva il “deve”, dall'”essere” non si deduce il “dover essere” […] La scienza sa; l'etica valuta. L'etica non sa; la scienza non valuta. I fatti non sono valori. Le norme non si riducono a fatti"

(Antiseri D. (2001), La conoscenza filosofica, in Reale G. - Antiseri D., Quale ragione?, Milano, Raffaello Cortina, p. 137)


Antiseri riassume i termini estremi del Dilemma di Joergensen: se la logica trova applicazione esclusivamente alle inferenze con proposizioni indicative, o descrittive, ossia le proposizioni conoscitive, mentre l'etica ha a che fare con proposizioni valutative, o normative, ossia le proposizioni pratiche, è possibile prendere in considerazione inferenze con proposizioni non indicative? 


Se da un lato ciò appare quanto meno dubbio, stante la separazione suddetta tra scienza e morale, tra conoscenza e valutazione, tra logica ed etica, tra le proposizioni dell'una, indicative, e le proposizioni, prescrittive, dell'altra parte, come si devono pensare i termini del problema sollevato da Jørgesens


Dobbiamo pensarla ancora come Poincaré oppure sono possibili (valide) alternative?


E se la logica trova comunque applicazione alle proposizioni morali, e corrispondenti ragionamenti, possiamo andare oltre la limitazione alle cosiddette inferenze miste?


La questione, a mio modesto modo di vedere, non solo è ancora aperta, ma ancora tutta da affrontare.



(immagine tratta da: http://www.gramma.it/sussidiario/grafi/img_grafi/grafo_inferenze.gif)