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sabato 27 luglio 2013

Logica deontica. FAQ




Cos'è la logica deontica?

Si tratta di una nuova branca nelle ricerche logiche del XX secolo che, ufficialmente, prende le mosse dai lavori di von Wright nel 1951[1].

Come “ufficialmente”?

Notoriamente, si ritiene atto fondativo della logica deontica moderna il saggio Deontic Logic pubblicato nel 1951 sulla rivista Mind. Tuttavia, però, come dimostrato ampiamente dalle ricerche di Knnuttila[2], sono presenti nel corso della storia umana molti precorrimenti o anticipazioni i quali, però, non hanno mai raggiunto la completezza, formale e d'intenti, del progetto di von Wright.

Ma di cosa si occupa esattamente?

Al riguardo, e coerentemente con la sua evoluzione, tanto rapida quanto burrascosa[3], il suo ambito di occupazione è mutato, passando dalle generiche 'norme' alla 'razionalità pratica'. Volendo schematizzare, però, possiamo sintetizzare almeno i seguenti sei significati fondamentali, magari tra loro molto simili, ma con significati reciprocamente eterogenei:

  1. logica delle proposizioni normative[4];
  2. logica delle norme[5];
  3. logica della deontica[6];
  4. logica dei concetti normativi[7];
  5. logica del ragionamento normativo[8];
  6. logica della razionalità pratica[9].

A seconda del significato specifico prescelto, i vari autori hanno posto in modo particolare l'accenso rispettivamente sul formalismo a) delle proposizioni normative; b) delle norme; c) della sfera deontica; d) sulla proprietà formali delle nozioni normative; e) sul formalismo specifico del ragionamento su norme; e, f) sul rapporto tra causalità pratica e conformità a precisi valori.

D'accordo, ma cosa sono le proposizioni normative? E cosa i concetti normativi?

Per le prime, in genere, s'intendono tutte quelle proposizioni ove figurano nozioni normative, come, ad esempio, 'permesso', 'vietato', 'obbligatorio', indifferente', e così via. In breve, tutte quelle espressioni che hanno uno specifico significato normativo, e nettamente in contrasto con quello delle espressioni che descrivono stati di cose. I concetti normativi, poi, sono semplicemente le nozioni aventi significato normativo senza che ciò comporti far riferimento diretto alle propozioni ove compaiono.

E il ragionamento normativo?

Detto in breve, tutti quei ragionamenti che operano su o con proposizioni ove figurano nozioni normative. Questo perché si ritiene che il comportamento logico di questi ultimi non sia riducibile a quello dei ragionamenti con o su proposizioni descrittivi di cose. Per questi ultimi, infatti, non v'è problema a verificare, in termini verofunzionali, le proposizioni oggetto di discussione o ragionamento, cosa che non è possibile fare alla stessa maniera con le proposizioni ove figurino nozioni normative o che possiedano uno spiccato significato normativo. In questo senso, infatti, la logica deontica appare dotata di particolare significato dal momento che, sensu lato, consente di estendere il dominio della logica oltre il reame della verità[10].

Perché le proposizioni normative non sono verofunzionali?

Perché non descrivono uno stato di cose, rispetto al quale ha senso chiedersi se siano vere oppure false, ma prescrivono un certo ordine reale, e rispetto al quale è impossibile chiedersi se siano vere oppure false. In letteratura, si parla appunto di 'Grande Divisione' tra fatti e valori, o anche di 'Legge di Hume', violando la quale si incorre nella 'fallacia naturalistica'. Tanto l'una quanto l'altra sostengono una sola cosa: non è possibile derivare il 'dovere', ossia il 'normativo', dall'essere', ossia il 'descrittivo' (e viceversa, ovviamente)[11].

Questo significa che la sfera pratica è del tutto svincolata dalla razionalità?

Assolutamente no, ma che, da un punto di vista teorico è problematico trovare una fondazione razionale la quale non incorra nella suddetta fallacia, o che operi arbitrarie invasioni di campo, p.e. Dal 'descrittivo' al 'normativo', oppure dal 'prescrittivo' all'essere'. E tuttavia appare prima facie banale osservare come le proposizioni normative funzionino secondo una logica. A rigore, dovrebbero collocarsi in un dominio eterogeneo a quest'ultima, ma ciò non accade né tantomeno possiamo considerarle del tutto 'logiche'. Da qui sorge un problema che Jørgensen chiamò puzzle[12]. Successivamente, il danese Ross chiamò questo problema, in onore del connazionale che per primo lo colse da un punto di vista teorico, 'dilemma di Jørgensen'[13].

Cos'è esattamente il dilemma di Jørgensen?

Si tratta del riconoscimento della difficoltà formale a giustificare la possibilità di inferenze ove figurino proposizioni normative o come premesse o come conclusione[14]. Questo perché essendo non verofunzionali, non pare possibile adoperare la logica, di per sé verofunzionale invece, per dare luogo a inferenze corrette o sensate. In genere, essendo un dilemma, vi sono due tesi reciprocamente esclusive le quali danno, rispettivamente, una versione della logica e una possibilità, positiva o negativa, circa una logica delle norme[15]. Volendo sintetizzare in questa sede, possiamo avere:

i) la logica, essendo verofunzionale, trova applicazione solamente alle proposizioni verofunzionali, e non alle proposizioni normative, ragion per cui è impossibile una logica delle norme;
ii) è possibile una logica delle norme a condizione, però, che la logica estenda il suo

Allora c'è un rapporto tra la logica deontica e il dilemma di Jørgensen?

Concettualmente sì, praticamente no. Infatti, si tratta di una topica afferente alla discussione teorica sulla possibilità, o meno, di una logica deontica[16] mentre nessun legame vero e proprio è possibile scorgere tra la prima e il secondo. Dire che la logica deontica affonda le proprie radici nella cd. Is – Ought Question[17] è banale nel senso che l'intera riflessione morale del XX secolo è stata determinata dalla sistemazione di Poincaré ai rapporti tra scienza e morale[18]. Piuttosto ha senso, invece, affermare che il pensiero pratico è pur sempre pensiero, e come tale dovrebbe rispondere alle medesime “leggi del pensiero”[19], sebbene, ovviamente, ciò appaia complicato e problematico. La presenza di diffusi paradossi deontici, ad esempio, e quello più eclatante, mette seriamente in questione la possibilità stessa di una logica deontica[20].

(continua ...)

Note

[1] G. H. von Wright, Deontic Logic, “Mind”, 60, 1951, p. 1 e sgg. Cfr. G. H. von Wright, An Essay in Modal Logic, North – Holland, Amsterdam, 1951.
[2] Cfr. S. Knuuttila, Logica modale, in AA. VV., La logica nel Medioevo, Jaca book, Milano, 1999, pp. 289 – 308. Cfr. S. Knuuttila, Modalities in Medieval Philosophy, Routledge, London and New York, 1993. Cfr. S. Knuuttila, The Emergence of Deontic Logic in the Fourteenth Century, in R. Hilpinen (eds.), New Studies in Deontic Logic, Reidel, Dordrecht, 1981, pp. 225 – 248. Cfr. S. Knuuttila, The Emergence of the Logic of Will in Medieval Thought, in G. B. Matthews (eds.), Augustine Tradition, University of California Press, New York, 1999, pp. 206 – 221.
[3] Cfr. Cfr. G. H. von Wright, Norme, verità e logica, “Informatica e diritto”, 3, 1983, p. 5: «Il mio itinerario attraverso il labirinto della «logica deontica» dura ormai da più di trent’anni». Cfr. Cfr. J. Hintikka, Deontic Logic and Its Philosophical Morals, in J. Hintikka, Models for Modalities. Selected Essays, Reidel, Dordrecht, 1969, pp. 191 – 2: «The literature of deontic logic offers instructive and amusing examples of such fallacies». Cfr. G. Di Bernardo, La teoria dell’azione come base per la logica deontica, “Informatica e diritto”, 2, 1983, p. 239: «emerge ancora una volta la preoccupazione di von Wright di dare alla logica deontica una solida base, una base cioè che eviti i continui paradossi in cui la logica deontica incorre fin dal suo nascere».
[4] Cfr. A. C. A. Mangiameli, Diritto e Cyberspazio. Appunti di informatica giuridica e filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2000, p. 128. Cfr. G. Kalinowski, Il significato della logica deontica per la filosofia morale e giuridica, in G. Di Bernardo (ed.), Logica deontica e semantica, Il Mulino, Bologna, 1977 p. 282.
[5] Cfr. N. Grana, Logica deontica paraconsistente, Liguori, Napoli, 1990, p. 57.
[6] Cfr. P. Di Lucia, Deontica in von Wright, Giuffré, Milano, 1992 p. 5.
[7] G. H. von Wright, Deontic Logic, “Mind”, 60, 1951, p. 1. Cfr. A. Ross, Direttive e norme, Comunità, Milano, 1978 p. 209; Cfr. T. Mazzarese, Logica deontica e linguaggio giuridico, Cedam, Padova, 1989 p. 3: «l’insieme di sistemi formali (di calcoli) che assumono ad oggetto il comportamento logico di concetti normativi quali obbligo, divieto, permesso, facoltà, diritto, pretesa».
[8] Cfr. Y. U. Ryu – R. M. Lee, Defeasible Deontic Reasoning: A Logic Programming Model, in J. J. Ch. Meyer – R. J. Wieringa, Deontic Logic in Computer Science. Normative System Specification, John Wiley and Sons, Chichester, 1993, p. 225: «deontic logic, also called logic of norm or logic of obligation, refers to a study of the normative use of language in which statements of “it is obliged…”, “it is permitted …”, etc. occur».
[9] Cfr. G. H. von Wright, Norme, verità e logica, “Informatica e diritto”, 3, 1983, pp. 5 – 87. Cfr. A. Pizzo, Pensiero pratico e logica deontica: assenza o presenza di razionalità?, “www.filosofia.it”, pp. 1 – 31 (contenuto on – line: http://www.filosofia.it/images/download/essais/07_PensieroPratico_e_logica0deontica.pdf).
[10] Cfr. G. H. von Wright, Logical Studies, Routledge And Kegan Paul, London, 1957, p. vii.
[11] Cfr. G. F. Schueler, Why “oughts” are not Facts (or What the Tortoise and Achilles Taught Mrs. Ganderhoot and Me about Practical Reason), “Mind”, 416, 1995, p. 713: «A great deal of the moral philosophy of the last hundred yaears has been devoted to trying to understand “the relation between ‘is’ and ‘ought’. On the one side, when we are engaged in genuine moral reasoning and debite, we seen to take it for granted that various factual claims support judgments about we ought or ought not to do. We even seem to regard some such judgments as true (and othres as false). On the other side, when we reflect on such judgments, it seems difficult indeed to see how either of these things could be straightforwardly the case, in view of the very great difference between factual and evaluative (or normative) judgments».
[12] Cfr. J. Joergensen, Imperatives and Logic, “Erkentnnis”, 7, 1937 – 8, p. 290.
[13] Cfr. Cfr. A. Ross, Imperativi e logica, in A. Ross, Critica del diritto e analisi del linguaggio, Il Mulino, Bologna, 1982, p. 76.
[14]. Cfr. A. Marturano, Il “Dilemma di Jørgense”, Aracne, Roma, 2012, p. 9.
[15] Cfr. Cfr. G. H. von Wright, Deontic Logic: A Personal View, “Ratio Juris”, 1, 1999, p. 27: «Mally’s work had few, if any, repercussions in the literature. But in the late 1930s and early 1940s there was a certain amount of discussion whether a logic of norms or of imperatives is at all possible in view of the fact that imperatives – and presumably norms too – lack truth-value. In the debate two Danes took a prominent part. One was Jørgen Jørgensen, after whom the name “Jørgensen’s Dilemma” was coined. The other was Alf Ross, inventor of the famous paradox. Both the dilemma and the paradox are still active topics of current debate».
[16] Cfr. S. Coyle, The Possibility of Deontic Logic, “Ratio Juris”, 15, 2002, pp. 294 - 318.
[17] Cfr. G. Di Bernardo, Is – ought question e logica deontica, in U. Scarpelli (ed.), La logica e il dover essere, “Rivista di filosofia”, 1976, p. 169.
[18] Cfr. A. N. Prior, op. cit., p. 22: «to find a ‘foundation’ for morality that is not itself already moral». Cfr. Cfr. A. G. Conte, Alle origini della deontica…cit., p. 641: «La teoria di Jørgen Jørgensen (1894 – 1969) è nata come critica d’una tesi formulata da Jules - Henri Poincaré (1854 – 1912)». Cfr. S. Cremaschi, L’etica del novecento. Dopo Nietzsche, Carocci, Roma, 2005, p. 64: «Negli anni quaranta iniziò a concentrarsi l’attenzione sulle possibili conseguenze per l’etica degli sviluppi della logica. Una delle linee di ricerca intraprese fu quella dello sviluppo di sistemi di logica formale specifici per il linguaggio deontico, cioè contenente prescrizioni […] una seconda linea partì dalla riscoperta della critica humiana al passaggio is – ought».
[19] Cfr. G. H. von Wright, Introduzione, a: G. Di Bernardo (ed.), Logica deontica e semantica, Il Mulino, Bologna, 1977, p. 37: «il pensiero pratico è pur sempre pensiero e, come tale, deve soddisfare i requisiti e le leggi della logica. Lo studio del pensiero pratico rappresenta, tuttavia, un notevole ampliamento della tradizionale scienza della logica. Tale studio può valere anche come fondamento di un’antropologia filosofica, che corrisponda al senso profondo della caratterizzazione aristotelica dell’uomo come animale razionale».

[20] Cfr. N. Grana, Logica deontica paraconsistente, Liguori, Napoli, 1990, pp. 13 – 4: «la derivazione nel sistema formalizzato deontico di alcuni paradossi dividono gli studiosi. Il dilemma di Jørgensen, che pone in discussione la legittimità stessa della logica deontica, viene riproposto da studiosi che non sono disposti a tollerare i paradossi nella logica deontica e che non credono alla possibilità razionale della stessa».



(immagine tratta da: http://www.syzetesis.it/immagini/ArticoliRecensioni2009/deontic-hexagon.jpg)

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