Cos'è la logica
deontica?
Si tratta di una nuova
branca nelle ricerche logiche del XX secolo che, ufficialmente,
prende le mosse dai lavori di von Wright nel 1951[1].
Come “ufficialmente”?
Notoriamente, si ritiene
atto fondativo della logica deontica moderna il saggio Deontic
Logic pubblicato nel 1951 sulla
rivista Mind.
Tuttavia, però, come dimostrato ampiamente dalle ricerche di
Knnuttila[2], sono presenti nel corso della storia umana molti
precorrimenti o anticipazioni i quali, però, non hanno mai raggiunto
la completezza, formale e d'intenti, del progetto di von Wright.
Ma
di cosa si occupa esattamente?
Al
riguardo, e coerentemente con la sua evoluzione, tanto rapida quanto
burrascosa[3], il suo ambito di occupazione è mutato, passando dalle
generiche 'norme' alla 'razionalità pratica'. Volendo schematizzare,
però, possiamo sintetizzare almeno i seguenti sei significati
fondamentali, magari tra loro molto simili, ma con significati
reciprocamente eterogenei:
- logica delle proposizioni normative[4];
- logica delle norme[5];
- logica della deontica[6];
- logica dei concetti normativi[7];
- logica del ragionamento normativo[8];
- logica della razionalità pratica[9].
A
seconda del significato specifico prescelto, i vari autori hanno
posto in modo particolare l'accenso rispettivamente sul formalismo a)
delle proposizioni normative; b) delle norme; c) della sfera
deontica; d) sulla proprietà formali delle nozioni normative; e) sul
formalismo specifico del ragionamento su
norme; e, f) sul rapporto tra causalità pratica e conformità a
precisi valori.
D'accordo,
ma cosa sono le proposizioni normative? E cosa i concetti normativi?
Per
le prime, in genere, s'intendono tutte quelle proposizioni ove
figurano nozioni normative, come, ad esempio, 'permesso', 'vietato',
'obbligatorio', indifferente', e così via. In breve, tutte quelle
espressioni che hanno uno specifico significato normativo, e
nettamente in contrasto con quello delle espressioni che descrivono
stati di cose. I concetti normativi, poi, sono semplicemente le
nozioni aventi significato normativo senza che ciò comporti far
riferimento diretto alle propozioni ove compaiono.
E
il ragionamento normativo?
Detto
in breve, tutti quei ragionamenti che operano su o con proposizioni
ove figurano nozioni normative. Questo perché si ritiene che il
comportamento logico di questi ultimi non sia riducibile a quello dei
ragionamenti con o su proposizioni descrittivi di cose. Per questi
ultimi, infatti, non v'è problema a verificare, in termini
verofunzionali, le proposizioni oggetto di discussione o
ragionamento, cosa che non è possibile fare alla stessa maniera con
le proposizioni ove figurino nozioni normative o che possiedano uno
spiccato significato normativo. In questo senso, infatti, la logica
deontica appare dotata di particolare significato dal momento che,
sensu lato, consente
di estendere il dominio della logica oltre il reame della verità[10].
Perché
le proposizioni normative non sono verofunzionali?
Perché
non descrivono uno stato di cose, rispetto al quale ha senso
chiedersi se siano vere oppure false, ma prescrivono un certo ordine
reale, e rispetto al quale è impossibile chiedersi se siano vere
oppure false. In letteratura, si parla appunto di 'Grande Divisione'
tra fatti e valori,
o anche di 'Legge di Hume', violando la quale si incorre nella
'fallacia naturalistica'. Tanto l'una quanto l'altra sostengono una
sola cosa: non è possibile derivare il 'dovere', ossia il
'normativo', dall'essere', ossia il 'descrittivo' (e viceversa,
ovviamente)[11].
Questo
significa che la sfera pratica è del tutto svincolata dalla
razionalità?
Assolutamente
no, ma che, da un punto di vista teorico è problematico trovare una
fondazione razionale la quale non incorra nella suddetta fallacia, o
che operi arbitrarie invasioni di campo, p.e. Dal 'descrittivo' al
'normativo', oppure dal 'prescrittivo' all'essere'. E tuttavia appare
prima facie banale
osservare come le proposizioni normative funzionino secondo una
logica. A rigore, dovrebbero collocarsi in un dominio eterogeneo a
quest'ultima, ma ciò non accade né tantomeno possiamo considerarle
del tutto 'logiche'. Da qui sorge un problema che Jørgensen chiamò
puzzle[12].
Successivamente, il danese Ross chiamò questo problema, in onore del
connazionale che per primo lo colse da un punto di vista teorico,
'dilemma di Jørgensen'[13].
Cos'è
esattamente il dilemma di Jørgensen?
Si
tratta del riconoscimento della difficoltà formale a giustificare la
possibilità di inferenze ove figurino proposizioni normative o come
premesse o come conclusione[14]. Questo perché essendo non
verofunzionali, non pare possibile adoperare la logica, di per sé
verofunzionale invece, per dare luogo a inferenze corrette o sensate.
In genere, essendo un dilemma, vi sono due tesi reciprocamente
esclusive le quali danno, rispettivamente, una versione della logica
e una possibilità, positiva o negativa, circa una logica delle
norme[15]. Volendo sintetizzare in questa sede, possiamo avere:
i)
la logica, essendo verofunzionale, trova applicazione solamente alle
proposizioni verofunzionali, e non alle proposizioni normative,
ragion per cui è impossibile una logica delle norme;
ii)
è possibile una logica delle norme a condizione, però, che la
logica estenda il suo
Allora
c'è un rapporto tra la logica deontica e il dilemma di Jørgensen?
Concettualmente
sì, praticamente no. Infatti, si tratta di una topica afferente alla
discussione teorica sulla possibilità, o meno, di una logica
deontica[16] mentre nessun legame vero e proprio è possibile
scorgere tra la prima e il secondo. Dire che la logica deontica
affonda le proprie radici nella cd. Is
– Ought Question[17]
è banale nel senso che l'intera riflessione morale del XX secolo è
stata determinata dalla sistemazione di Poincaré ai rapporti tra
scienza e
morale[18].
Piuttosto ha senso, invece, affermare che il pensiero pratico è pur
sempre pensiero, e come tale dovrebbe rispondere alle medesime “leggi
del pensiero”[19], sebbene, ovviamente, ciò appaia complicato e
problematico. La presenza di diffusi paradossi deontici, ad esempio,
e quello più eclatante, mette seriamente in questione la possibilità
stessa di una logica deontica[20].
(continua
...)
Note
[1]
G. H. von
Wright, Deontic
Logic, “Mind”, 60, 1951, p.
1 e sgg. Cfr. G.
H. von Wright,
An Essay in
Modal Logic,
North – Holland, Amsterdam, 1951.
[2]
Cfr. S.
Knuuttila,
Logica modale,
in AA. VV., La logica nel Medioevo,
Jaca book, Milano, 1999, pp. 289 – 308. Cfr. S.
Knuuttila, Modalities
in Medieval Philosophy,
Routledge, London and New York, 1993. Cfr. S. Knuuttila,
The Emergence of
Deontic Logic in
the Fourteenth Century,
in R. Hilpinen (eds.),
New Studies in
Deontic Logic,
Reidel, Dordrecht, 1981, pp. 225 – 248. Cfr. S.
Knuuttila,
The Emergence
of the Logic of Will in Medieval Thought,
in G. B. Matthews (eds.), Augustine
Tradition,
University of California Press, New York, 1999, pp. 206 – 221.
[3]
Cfr. Cfr. G. H.
von Wright, Norme,
verità e logica,
“Informatica e diritto”, 3, 1983, p. 5: «Il
mio itinerario attraverso il labirinto della «logica deontica»
dura ormai da più di trent’anni».
Cfr. Cfr.
J.
Hintikka,
Deontic
Logic
and Its Philosophical Morals,
in J.
Hintikka,
Models
for Modalities. Selected Essays,
Reidel, Dordrecht, 1969, pp. 191 – 2: «The
literature of deontic logic offers instructive and amusing examples
of such fallacies».
Cfr. G.
Di Bernardo,
La
teoria dell’azione come base per la logica deontica,
“Informatica e diritto”, 2, 1983, p. 239: «emerge
ancora una volta la preoccupazione di von Wright
di dare alla logica deontica
una solida base, una base cioè che eviti i continui paradossi
in cui la logica deontica incorre fin dal suo nascere».
[4]
Cfr. A. C. A.
Mangiameli, Diritto
e Cyberspazio. Appunti di informatica giuridica e filosofia del
diritto, Giappichelli, Torino,
2000, p. 128. Cfr. G.
Kalinowski, Il
significato della logica deontica
per la filosofia morale e giuridica,
in G. Di
Bernardo (ed.), Logica
deontica e semantica,
Il Mulino, Bologna, 1977 p. 282.
[5]
Cfr. N. Grana,
Logica deontica paraconsistente,
Liguori, Napoli, 1990, p. 57.
[6]
Cfr. P. Di
Lucia, Deontica
in von Wright, Giuffré, Milano,
1992 p. 5.
[7]
G. H. von
Wright, Deontic
Logic, “Mind”, 60, 1951, p.
1. Cfr. A.
Ross, Direttive
e norme, Comunità, Milano, 1978
p. 209; Cfr. T.
Mazzarese, Logica
deontica e linguaggio
giuridico, Cedam, Padova, 1989
p. 3: «l’insieme
di sistemi formali (di calcoli) che assumono ad oggetto il
comportamento logico
di concetti normativi
quali obbligo, divieto, permesso, facoltà, diritto,
pretesa».
[8]
Cfr.
Y.
U. Ryu
– R. M. Lee,
Defeasible
Deontic Reasoning: A Logic Programming Model,
in J.
J. Ch. Meyer
– R. J. Wieringa,
Deontic
Logic
in Computer Science. Normative System Specification,
John Wiley and Sons, Chichester, 1993, p. 225: «deontic
logic, also called logic of norm or logic of obligation, refers to a
study of the normative use of language in which statements of “it
is obliged…”, “it is permitted …”, etc. occur».
[9]
Cfr. G.
H. von Wright,
Norme,
verità
e logica,
“Informatica e diritto”,
3, 1983, pp. 5 – 87. Cfr. A.
Pizzo,
Pensiero
pratico e logica deontica: assenza o presenza di razionalità?,
“www.filosofia.it”, pp. 1 – 31 (contenuto on – line: http://www.filosofia.it/images/download/essais/07_PensieroPratico_e_logica0deontica.pdf).
[10]
Cfr. G. H. von Wright, Logical
Studies,
Routledge And Kegan Paul, London, 1957, p. vii.
[11]
Cfr. G.
F. Schueler,
Why
“oughts” are not Facts (or What the Tortoise and Achilles Taught
Mrs. Ganderhoot and Me about Practical Reason),
“Mind”, 416, 1995, p. 713: «A
great deal of the moral philosophy of the last hundred yaears has
been devoted to trying to understand “the relation between ‘is’
and ‘ought’. On the one side, when we are engaged in genuine
moral reasoning and debite, we seen to take it for granted that
various factual claims support judgments about we ought or ought not
to do. We even seem to regard some such judgments as true (and othres
as false). On the other side, when we reflect on such judgments, it
seems difficult indeed to see how either of these things could be
straightforwardly the case, in view of the very great difference
between factual and evaluative (or normative) judgments».
[12]
Cfr. J. Joergensen, Imperatives
and Logic,
“Erkentnnis”, 7, 1937 – 8, p. 290.
[13]
Cfr. Cfr. A.
Ross,
Imperativi
e logica,
in A. Ross, Critica
del diritto
e analisi del linguaggio,
Il Mulino, Bologna, 1982, p. 76.
[14].
Cfr. A. Marturano, Il “Dilemma di Jørgense”,
Aracne, Roma, 2012, p. 9.
[15]
Cfr. Cfr.
G.
H. von Wright,
Deontic
Logic:
A Personal View,
“Ratio Juris”, 1, 1999, p. 27: «Mally’s
work had few, if any, repercussions in the literature. But in the
late 1930s and early 1940s there was a certain amount of discussion
whether a logic of norms or of imperatives is at all possible in view
of the fact that imperatives – and presumably norms too – lack
truth-value. In the debate two Danes took a prominent part. One was
Jørgen Jørgensen, after whom the name “Jørgensen’s Dilemma”
was coined. The other was Alf Ross, inventor of the famous paradox.
Both the dilemma and the paradox are still active topics of current
debate».
[16]
Cfr. S. Coyle, The
Possibility of Deontic Logic,
“Ratio Juris”, 15, 2002, pp. 294 - 318.
[17]
Cfr. G.
Di Bernardo,
Is
– ought question e logica
deontica,
in U.
Scarpelli
(ed.), La
logica e il dover essere,
“Rivista di filosofia”, 1976, p. 169.
[18]
Cfr. A.
N. Prior,
op. cit.,
p. 22: «to
find a ‘foundation’ for morality that is not itself already
moral». Cfr. Cfr. A.
G. Conte,
Alle
origini della deontica…cit.,
p. 641: «La
teoria di Jørgen Jørgensen (1894 – 1969) è nata come critica
d’una tesi formulata da Jules - Henri Poincaré (1854 – 1912)».
Cfr. S.
Cremaschi,
L’etica
del novecento. Dopo Nietzsche,
Carocci, Roma, 2005, p. 64: «Negli
anni quaranta iniziò a concentrarsi l’attenzione sulle possibili
conseguenze per l’etica
degli sviluppi della logica. Una delle linee di ricerca intraprese fu
quella dello sviluppo di sistemi di logica formale
specifici per il linguaggio deontico, cioè contenente prescrizioni
[…] una seconda linea partì dalla riscoperta della critica humiana
al passaggio is – ought».
[19]
Cfr. G.
H. von Wright,
Introduzione,
a: G.
Di Bernardo
(ed.), Logica
deontica
e semantica,
Il Mulino, Bologna, 1977, p. 37: «il
pensiero pratico è pur sempre pensiero e, come tale, deve soddisfare
i requisiti e le leggi della logica. Lo studio del pensiero pratico
rappresenta, tuttavia, un notevole ampliamento della tradizionale
scienza della logica. Tale studio può valere anche come fondamento
di un’antropologia filosofica, che corrisponda al senso profondo
della caratterizzazione aristotelica dell’uomo come animale
razionale».
[20]
Cfr. N.
Grana,
Logica
deontica
paraconsistente,
Liguori, Napoli, 1990, pp. 13 – 4: «la
derivazione nel sistema formalizzato deontico di alcuni paradossi
dividono gli studiosi. Il dilemma di Jørgensen, che pone in
discussione la legittimità stessa della logica deontica, viene
riproposto da studiosi che non sono disposti a tollerare i paradossi
nella logica deontica e che non credono alla possibilità razionale
della stessa».
(immagine tratta da: http://www.syzetesis.it/immagini/ArticoliRecensioni2009/deontic-hexagon.jpg)
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