Cerca nel blog

domenica 12 febbraio 2012

Dialogo semiserio su "che cos'è filosofia?"

Quanto segue è il contenuto di una nota da me pubblicata tempo addietro su FB. Non godette di molto successo, ed in effetti era molto "acerbo", ma mi pregio di ripresentarlo in questa sede fedele all'originale, in vista di una sua modifica in vista di pubblicazione (cartacea) futura!






Aristotele e Foucault, due personaggi del tutto inventati, simboleggianti due opposti modi di “fare filosofia”, dopo una piacevole serata a base di vino e frittelle di farina di ceci, decidono di confrontarsi sulla natura della filosofia. Quel che ne esce è … quanto segue

A: Allora, cosa possiamo dire essere la filosofia? Per me è la ricerca di un significato da parte di una ragione, la mia come quella di chi entra in relazione con me …
F: secondo me la filosofia è non quanto la tradizione ci ha dato in dote, un lògos atemporale e falsificazionista che ha avuto il solo scopo di nascondere la vacuità stessa del pensiero, ma al contrario un pensiero mobile, dinamico, in divenire, che non può venir catturato entro forme fisse di linguaggio, anzi, la filosofia è demolizione dei linguaggi, scomposizione dei saperi dati per acquisiti, critica degli impliciti presenti in ogni dimostrazione, in ogni ragionamento, contaminazione di generi e lessici …
A: insomma, filosofia si dice in molti modi, mi sembra …
F: uno soltanto: non v’è verità, ma soltanto interpretazioni narrate mediante metafore, mediante scelte estetiche di per sé unilaterali ma le uniche possibili dopo che i maestri del sospetto hanno questionato nella sua stessa essenza la ragione indagata o, meglio, costruita, dalla filosofia …
A: beh, anche l’uomo della strada pensa che tutta la realtà sia frutto d’interpretazioni, non trovi?
F: sì, ma il filosofo è cosciente dell’estrema precarietà di ogni suo risultato conoscitivo, speculativo, egli sa benissimo che quanto afferma o pensa o crede non esiste davvero, sono solo sue scelte estetiche …
A: estetiche?
F: sì, egli sceglie, magari arbitrariamente, ma libero da tradizioni paternalistiche, cosa affermare, cosa pensare, cosa credere, senza di perciò stesso ipostatizzarlo nella realtà
A: ma ‘estetica’ non vuol dire ‘sentire’? Cosa intendi dire? Che quanto si afferma, o si pensa, o si crede, è in qualche modo un fluire di percezioni privo d’intenzionalità? Percezioni magari ‘belle’?
F: vedi, noi ci muoviamo all’interno di una precisa cultura la quale ha coniato l’intero linguaggio che adoperiamo, non possiamo farne a meno, eppure io ritengo che lo si debba forzare per condurlo ai suoi stessi limiti, anche solo per far intravedere possibili vie di fuga, per far balenare anche solo la possibilità di una modalità di pensiero diversa da quella tradizionale …
A: ma perché?
F: perché non va più bene! Oggi sappiamo che prima di noi si è fatta filosofia credendola qualcosa di separato da condizionamenti di vario tipo …
A: per esempio?
F: ma penso ai condizionamenti ambientali …
A: ma quelli hanno sempre inciso su come si facesse, e si fa tutt’ora, filosofia …
F: d’accordo, ma non lo si è mai riconosciuto
A: ma io lo sto riconoscendo, solo non credo che questo sia un elemento importante, da sottolineare come stai facendo adesso tu ma continua, per carità, sono curioso di conoscere il resto della tua prospettiva …
F: ti prego di non interrompermi, è indice di scarsa considerazione, nonché di aderenza a quel modulo di pensiero che si nasconde dietro i padri, venerabili e terribili, per occultare la propria vacuità, per esorcizzare il terrore del nulla attorno e dentro di sè …
A: addirittura! Scusami, prosegui
F: sì, come dicevo, oggi sappiamo che i nostri processi di pensiero sono condizionati dalla cultura cui inevitabilmente apparteniamo, dalla natura di cui facciamo parte, dai lessici settoriali che in qualche modo adoperiamo, dalle forme politiche entro le quali dimoriamo …
A: ma prima era differente? Cioè, cos’è che è cambiato? Cos’è che marca la differenza rispetto a prima, che cala una cesura tra come in precedenza si faceva filosofia e come invece si fa adesso?
F: mio caro, è cambiato tutto! Ora sappiamo che quasi ogni nostro pensiero è determinato dalle varie appartenenze, siano esse biologiche piuttosto che politiche, ideologiche piuttosto che fisiche, e così via
A. anch’io penso che la materialità del nostro vivere abbia il suo peso, magari non indifferente, e tuttavia ritengo anche che il pensare non sia né determinato né riducibile in toto a quelli che chiami condizionamenti … c’è un’adesione alla realtà in cui viviamo, ma questa non si traduce direttamente in pensieri, anzi è una loro precondizione, necessaria ma da un punto di vista di possibilità; per intenderci, non detta direttamente i contenuti dei pensieri, rende possibile pensare, ma non decide il “cosa” pensare
F: ma allora dimmi: che differenza c’è tra la forma, il pensare, e il contenuto, il pensato?
A: la stessa che vi è tra il linguaggio e le sue proposizioni, no?
F: vedi come non sei chiaro? Come ti nascondi dietro i saperi tradizionali?
A: spiegami la tua obiezione
F: poiché tutto per me è interpretazione, e, come tale, frutto di una mia scelta estetica, ritengo non ci sia nulla da spiegare, semplicemente pensare è lo stesso che essere pensato, la forma coincide con il contenuto …
A: ma se coincide, cosa distingue il pensiero degli uomini dalla coscienza delle cose, ammesso che ne possiedano una?
F: è una questione irrilevante, il pensiero non è antropocentrico, esistono anche pensieri “altri” …
A: gradirei un esempio …
F: ed io scelgo di non dartelo
A: un procedimento alquanto arbitrario, direi …
F: ne sono consapevole, ma venute meno le grandi narrazioni restano soltanto i pensieri, pensieri senza pensatore …

TARTARUGA: scusate, gentili signori, mi spiace disturbare la vostra piacevole discussione ma potreste aiutarmi?
A: dipende, ma vediamo un po’ in cosa possiamo aiutarla?
F: nonostante le ultime derive pericolose della razione strumentale, produttrice di un capitalismo senza remore, potremmo … in cosa possiamo aiutarla?
TARTARUGA: ecco, non so come dirlo meglio … è una questione delicata e un po’ sconveniente. A dire il vero non è nemmeno stata una mia idea … però ormai ci sono così ho cominciato a correre, correre, correre e ancora correre … poi però mi sono accorta che c’è qualcosa che non va … e in questo potreste aiutarmi voi … se non vi dispiace …
A: dica con tranquillità
F: favelli mentre penso ad una via di fuga
TATARUGA: … è dalla partenza che non vedo più … come si chiama quello lì? Ecco … è un VIP … e corre veloce … ma dopo averlo staccato alla partenza non l’ho più visto … nemmeno superarmi … ma potrei essermi sbagliata … non è che per caso l’avete visto? Magari mi ha preceduta …
A: no, mi spiace, non l’ho visto passare … magari lei è in vantaggio …
F: metafore che mistificano le cose, il nulla che è …
TATARUGA: ciò m’induce a pensare di essere ancora in vantaggio … dunque mi scuso per il disturbo, vi ringrazio per l’aiuto che mi avete data e mi rimetto in carreggiata … ma mi scusi signor …
A: Aristotele!
TARTARUGA: signor Aristotele, ma quello lì mi sembra un po’ suonato … stia attento! Potrebbe essere pericoloso!
A: stia tranquilla, signora tartaruga, can che abbaia non morde …
F: vacui giri di parole mistificanti e rassicuranti!
A: ecco, vede?
TARTARUGA: e v’intendete?
A: io ci provo, lui proprio non saprei
TARTARUGA: va bene, allora, se permette signor Aristotele, io ricomincio a correre
A: allora, buon viaggio! E che la ventura sia con lei!
TARTARUGA: grazie …
A: certo che se continua così non arriverà al traguardo nemmeno tra mille anni … e dove sarà il VIP concorrente? Magari si sarà fermato in qualche discopub tanto quando vuole riuscirà a superarla … ma torniamo a noi, a che punto eravamo?
F: a che non punto eravamo?
A: a che punto non eravamo pertanto?
F: discutevamo sulla natura del pensiero, non una ragione ma una modalità mutevole di pensiero, tanti pensieri senza un pensatore …
A: insomma, possiamo parlare di una non meglio precisata grande narrazione spontanea, giusto?
F: sì
A: ma se le cose stanno così …
F: no, non puoi esprimerti in questo modo, non v’è una verità, soltanto una forma estetica prescelta …
A: coincidente con il suo contenuto?
F: la forma è sostanza!
A: d’accordo, allora diciamo che io, te, gli altri, quanti ci hanno preceduto e quanti seguiranno a noi, non hanno pensato, ma sono stati pensieri … dico bene?
F: direi di sì …
A: allora, rispondi a questo dubbio che mi susciti …
F: dimmi pure …
A: … ma i pensieri esistono come esistono i sassi?
F: questa è una provocazione. Ti smonto facilmente, i sassi, per prima cosa, non esistono da sempre, hanno anche loro una storia …
A: d’accordo, e i pensieri?
F: anch’essi sono prodotti storici …
A: e dov’è la differenza?
F: semplice, i primi sono passivi, i secondi un po’, anche se di poco, più attivi …
A: cioè sollevano oggetti? Corrono di più?
F: non fare lo spiritoso, i sassi, forse, non hanno coscienza, i pensieri, invece, sono frutti di coscienza anche se in realtà non esiste nemmeno essa
A: e cosa produce gli uni e gli altri?
F: i primi la natura direttamente, i secondi sempre la natura indirettamente
A: la natura? Esiste una natura? Mi sembrava che poco fa ne negassi l’essere …
F: e lo nego tutt’ora, solo che non sono così sciocco da credere che tutto sia creato qui ed ora, c’è un qualcosa, solo che ne possiamo dare interpretazioni, narrazioni, enunciazioni estetiche …
A: solo che così facendo perdiamo il rigore dell’argomentazione, della stessa ricerca filosofica …
F: ti sbagli, andiamo dietro possibili vie di fuga, dietro l’Uno molteplice …
A: quale Uno? Quale molteplice? Questo qualcosa è qualcosa solo … per noi, no?
F: … siamo costretti a dirlo così anche se le cose non sono davvero così …
A: ma scusami, o le cose stanno così, e ne deriviamo tutte le conseguenze, o le cose stanno altrimenti, e anche in tal caso ne deriviamo tutte le conseguenze del caso, non trovi? Pertanto, se qualcosa è, cos’è? Se nulla è, cosa diciamo?
F: l’alternativa non regge!
A: no?
F: no, è una modalità discorsiva che crea la realtà, anziché consentire di conoscerla … non possiamo dire che qualcosa sia o non sia, solo possiamo supporre che le cose stiano così ma poi siamo liberi di narrarle come meglio preferiamo …
A: ripeto: un procedimento unilaterale. Oltre che … se mi permetti … un tantino incoerente …
F: perché?
A: è semplice, da un lato neghi valore al lògos, ossia al discorso razionalmente fondato e discorsivamente analizzabile e criticabile, e dall’altro lato ne adoperi le movenze …
F: le adopero perché non posso fare altrimenti, ma se potessi ne farei a meno …
A: per dire cosa?
F: meglio quanto, a fatica, ho detto adesso
A: e le diresti meglio? Cosa te lo garantisce?
F: il fatto che avrei un linguaggio più adatto …
A: più adatto? Come puoi giudicarlo più o meno adatto se hai fatto venir meno qualsiasi metro di giudizio?
F: non è esattamente così, la mia metafora sarà più funzionale …
A: e in base a cosa lo dici?
F: perché funzionerà meglio …
A: meglio? Come puoi dirlo? Su quale criterio? Su quale principio? Non esiste una realtà, non esistono canoni di riferimento, giusto?
F: … non imbrogliar le cose …
A: guarda che seguo il tuo ragionamento …
F: il mio non – ragionamento semmai …
A: vedi? Lo riconosci te stesso: un non - ragionamento che pretende di valere come un ragionamento …
F: il mio compito, e quello della filosofia oggi, è quello di demolire, di decostruire, di forzare le regole del pensiero per cercare di farne emergere … di nuove …
A: e tutto questo perché le regole codificate in passato non vanno più bene, giusto?
F: non direi ‘giusto’, semmai ‘credo di sì’ …
A: e lo credi perché … non aderiscono a quel qualcosa di cui prima si parlava, giusto?
F: a questa domanda non rispondo e mi limito a farti notare come tu non abbia il coraggio di sottoporre a critica i saperi …
A: veramente sto criticando quello da te formulato … ma torniamo al mio appunto principale: pensi che io e te oggi stiamo parlando?
F: nulla mi impedisce di pensarla così …
A: e nulla ti impedisce anche di pensare che ci stiamo intendendo?
F: nulla
A: ma come mai allora ci capiamo?
F: come prima, perché adoperiamo significanti e significati socialmente condivisi …
A: e da noi inventati, giusto?
F: direi di sì …
A: dunque, ci capiamo perché condividiamo il medesimo linguaggio?
F: credo di sì …
A: quindi se io dico ‘A’ tu capisci ‘A’, no?
F: direi di sì … se sento ‘A’ comprendo ‘A’ …
A: e se dico ‘B’ è ‘B’ anche per te, no?
F: penso di sì …
A: allora potrei dire che la comunicazione tra noi due è possibile pur in presenza di contenuti differenti …
F: pur con qualche riserva, posso accettarlo …
A: ma come mai la comunicazione è possibile?
F: perché socialmente la condividiamo …
A: tu dici ‘socialmente’ … non potrebbe andar bene ‘razionalmente’?
F: no, la comunicazione non è razionale, ché poi esiste forse la ragione?
CONIGLIO BIANCO: scusate lor signori, non ho potuto fare a meno di notare che stravate amabilmente discutendo sul ciglio della strada e siccome cerco una bambina beneducata non posso pensare che vada per boschi, sicuramente andrà lungo la strada, come tutte le bambine dabbene … però non riesco a trovarla. Voi l’avete vista per caso?
A: no, mi spiace
F: se la bambina si chiama Alice e s’ingrandisce e si rimpicciolisce bevendo o mangiando … no mi spiace!
CONIGLIO BIANCO: oh povero bene! Adesso chi lo dice al Cappellaio matto? Proprio oggi era prevista una bellissima festa per Alice! E non se ne potrà fare nulla! Litri e litri di the buttati nelle fogne … poveri noi! Che mondo!
F: perché fate una festa? È forse il compleanno di Alice?
A: che cos’è un compleanno? Esistono compleanni?
F: non sia spiritoso!
CONIGLIO BIANCO: no, ovvio che no, non ho mai detto che avremmo festeggiato il suo compleanno …
A: no? E allora perché una festa?
F: che strane assonanze dissonanti …
CONIGLIUO BIANCO: ma è semplice! Non ci arrivate? Se non il suo compleanno, cosa volete che festeggiamo?
A: insomma, è presente Alice, la festeggiata, ma la festa è per il suo … non compleanno?
CONIGLIO BIANCO: ecco! Ci siete arrivati finalmente! Vuol sentire la canzoncina? Buon non compleanno …
A: no, per carità! No, Alice non è passata di qua!
F: però, che menti ardite ed estetiche! Vorrei il vostro indirizzo per unirmi alla festa …
CONIGLIO BIANCO: davvero? Che gioia! Allora festeggeremo il vostro … buon non compleanno!
F: al mondo c’è qualcuno che condivide le mie vedute larghe …
A: ehm … signori, si sta facendo tardi, vogliamo concludere la serata?
F: ovvio che sì, sia pure a malincuore …
CONIGLIO BIANCO: allora vado signori, grazie comunque e l’attendo presso la radura est del bosco … alle cinque puntuali …
F: … del pomeriggio di domani?
A: ma no, forse intendeva del mattino … sarebbe erroneo intendere le diciassette del giorno dopo …
F: ecco il solito fallocentrico! Mancata dimestichezza con le convenzioni, vedo …
A: basta che lo si faccia razionalmente …
F: cos’è? Un apriori a storico?
A: no, un’escogitazione razionale …
F: un orpello linguistico per celare il vuoto temporale …
A: si, come no!
CONIGLIO BIANCO: ehm … cari signori … io vi lascerei alla vostra amabile discussione e toglierei il disturbo … buona serata …
A: ma ancora non sappiamo di che ora cinque si tratta …
F: mattino o pomeriggio?
CONIGLIO BIANCO: uhm … è una questione davvero ardua … finché non mi si chiede cos’è il tempo lo so, non appena me lo si chiede proprio non so cosa dire … ma nel fantastico mondo di Alice tutto è possibile!
F: hai detto bene! Mi piace!
A: proprio per niente!
CONIGLIO BIANCO: facciamo così signor …
F: Foucault!
CONIGLIO BIANCO: signor Fucòl …
F: err … no, Foucault …
A: esempio di pratica sociale non condivisa …
F: taci, è meglio! Foucault! Ripeta!
CONIGLIO BIANCO: signor Foucault … giusto?
F: ora sì!
A: che strano dialogo! Un mancato accordo tra parola e significato …
F: tutto sta nel reinventare …
CONIGLIO BIANCO: scusate signori, come le dicevo signor Foucault, può fare come meglio crede, passare al mattino oppure al pomeriggio … sarà festa comunque!
A: poveri noi, dov’è andata a finire la logica?
F: questo è parlare bene! Allora più tardi festeggeremo il nostro buon non compleanno!
CONIGLIO BIANCO: è cosa fatta! Ossequi!
A: potreste anche non festeggiare un bel nulla! Se nulla è …
F: il solito antico privo di nozioni scientifiche …
A: ma allora l’accordo sulla connessione tra significante e significato è soltanto arbitraria? Frutto di negoziazione sociale?
F: assolutamente sì!
A: ma se così fosse, io e te possiamo comunicare?
F: l’ho detto prima: sì perché accettiamo e manipoliamo la stessa sintassi, che è la stessa semantica!
A: allora la filosofia è una pratica socialmente condivisa?
F: potrebbe essere …
A: e se così è, che valore hanno le sue asserzioni?
F: di mere scelte estetiche …
A: ma così essendo, le tue stesse asserzioni sono opinabili in quanto storicamente determinate … non puoi dire senza conseguenze su te stesso cose del tipo “questa proposizione è vera: non v’è verità” oppure “esiste qualcosa: tutto è inventato” … altrimenti non facciamo filosofia, ma qualcos’altro!
F: si tratta di formalismi stantii, che cercano di irretire la mobilità fluida e polimorfa del pensiero entro forme morte … ammettilo!
A: che senso dai alle tue parole? Ritieni possano essere importanti anche per me?
F: certamente!
A: ma se sono metafore, e si fermano al mero livello della suggestione, senza render conto del ‘perché delle cose’, o di quel qualcosa di cui prima parlavamo, non possono aver alcun senso per me, si tratta di semplici giochi di parole, magari suggestivi, ma niente di davvero rilevante …
F: l’importante è esserne coscienti …
A: ma così né ragioni né pensi, al massimo provi … non a caso prima parlavi di pensieri privi di pensatore, di narrazioni che fluiscono spontaneamente … e per di più neghi che ciò avvenga in conformità a regole … quali che siano … insomma, sostieni una specie di vitalismo anarchico, del tutto affine a certe opzioni psicologiche contemporanee, dimenticando però che una cosa è la psicologia un’altra, e per fortuna, la filosofia …
F: vedi come sei antico? Come sei astorico? Non possiamo prescindere da quanto ci dice la psicologia …
A: ma per assunto di prima, la psicologia, in quanto sapere non esiste, è solo una narrazione storicamente e culturalmente determinata, no? Quindi, che influenza vuoi che abbia sul pensiero?
F: … err … va bene, diciamo pure che le cose stiano così, ma è perché scelgo che le cose funzionano così come dici!
A: Io scelgo? Cosa scelgo? Ho pensieri senza pensatore, pensieri narrati e narrabili, narrazioni esteticamente scelte, ossia arbitrariamente divenienti, fasci di percezioni senza un soggetto percepiente …
F: … guarda che qui non facciamo logica, non sono queste le regole del gioco!
A: ah no? E quali sono? Son curioso!
F: quelle socialmente condivise …
A: che società? Che condivisione? Si tratta soltanto di metafore, non di realtà …
F: sono creazioni sì, ma …
A: … non possiamo farne a meno?
F: sei un logofallocentrico!
A: suggestiva metafora, ma non rende conto di quel qualcosa che sono …
F: non tieni conto del secolo e mezzo appena passati!
A: e certo! Son Aristotele, come puoi pretendere ch’io lo conosca?
F: quando dico ‘socialmente condiviso’ intendo che gli uomini stanno giocando …
A: ad un gioco?
F: sì
A: e cosa rende un gioco davvero tale?
F: le sue regole costruite …
A: e cosa differenzia questo gioco da altri possibili?
F: il rispetto delle suddette regole …
A: e se la filosofia fosse un gioco?
F: è un gioco: un genere letterario …
A: e in quanto tale rispetta delle regole, dico bene?
F: potrebbe essere …
A: quindi, dimmi un po’: a che gioco stiamo giocando?
F: alla filosofia!
A: no, mio caro! Questa sarà poesia, letteratura, musica, psicologia, tuttologia, tutto tranne che filosofia!
F: e perché?
A: perché se parli devi dire qualcosa di significativo per te e per me, qualcosa che si offra ad essere discusso, analizzato, criticato, qualcosa di pubblicamente condivisibile, non rifuggire un certo linguaggio o certi concetti salvo però nel contempo pretendere di recuperarne il ‘peso’, il valore … per intenderci, non adoperi un linguaggio argomentativo e però pretendi di conferire il valore di sensatezza al tuo linguaggio non argomentativo, retorico, metaforico, estetico, suggestivo … non puoi, devi accettare sino in fondo le conseguenze delle tue scelte, pagarne il fio … non scherzare con i termini, non tentare di superare la filosofia filosofandoci sopra …
F: chi me lo impedirà? Tu?
A: non io, il buon senso, o si fa filosofia o si fa altro, o si parla in modo sensato o si chiacchiera, o si filosofa o si …
F: o si?
POLIFEMO: scusate piccoli uomini, potreste aiutarmi?
A: a sua disposizione!
F: siamo proprio sulle spalle dei giganti …
P: cerco tanto quel disgraziato che mi ha rovinato l’unico occhio buono … voglio fargliela pagare … per caso l’avete visto passare nei paraggi?
A: ma di chi parla, mi scusi?
F: non ci sarebbe certo bisogno di nominare, di etichettare, di definire … ah, che pensiero inetto!
P: mi faccia pensare … mi ha proprio imbrogliato quella sera nella mia cavernuccia …
F: io ricordo un altro che ha imbrogliato tutti con la storiella di una caverna e di uomini là imprigionati …
A: non divaghiamo …
P: come si chiamava?
A: Ulisse?
P: no! Un nome tanto stupido me lo ricorderei!
F: Odisseo?
P: mi prendete in giro anche voi?
A: no, no, per carità!
F: lungi da noi!
P: allora … il suo nome è … nessuno! Ecco quale!
A: nessuno? Non ha alcun senso!
F: qualcuno che ha capito tutto finalmente! Nulla! Niente! Nessuno!
A: ma allora che senso ha tutto ciò?
P: ah chiedete all’uomo sbagliato, io conduco le pecore al pascolo e produco formaggi, cosa volete che ne sappia? Comunque c’è un’altra questione che mi ha turbato in precedenza … quando nessuno mi ha imbrogliato …
F: nessuno, ah!ah!ah! Divertente!
P: perché il tuo amico dice cose insensate e ride solo?
A: non farci caso! È normale!
P: va … bene … allora proprio non capisco perché quella sera una volta che gli altri ciclopi erano giunti in mio aiuto anziché soccorrermi mi hanno deriso …
A: … ah … ma tu cosa hai detto loro?
P: che nessuno mi aveva fatto del male! Cos’altro avrei dovuto dire? Era la verità!
F: ah!ah!ah! che ridere! Nessuno! Ah! Ah! Ah!
A: falla finita! Senti, ma non per caso che nessuno era cretese?
P: che differenza fa?
A: beh … lo sanno tutti: i cretesi mentono sempre!
F: e chi lo dice?
A: è un luogo comune …
P: signori, siete davvero strani, mi spiace avervi disturbato ma sicuramente avete cose molto più importanti da discutere … così tolgo il disturbo …
A: arrivederci signor Polifemo!
F: arrivederci … chiunque o qualunque cosa tu sia …ah!ah!ah! nessuno! Che farsa!
A: ti guardo e mi accorgo che non hai nessuna intenzione di cercare un accordo, non puoi concedermi nulla, non vuoi arretrare su nulla, ma sei incoerente! O giochiamo seriamente oppure facciamo qualcos’altro, qualcosa che non è filosofia!
F: ribadisco il mio non – pensiero: troppo facile nascondersi dietro simulacri vuoti dell’accademia, la filosofia ha lo scopo di denotare di senso sempre nuovi quei concetti in divenire cui si stiamo riferendo, le pratiche sono mutevoli …
A: senti, non prendiamoci in giro! Abbiamo quattro possibilità: la prima, è che facciamo filosofia, e per farla dobbiamo rispettarne le regole di coerenza, di chiarezza, di rigore, di analisi, di razionalità, accettando anche di confrontarci con altri e di poter essere criticati senza cambiare in corso quanto diciamo o pensiamo, accettando di giustificare quanto asseriamo e garantendo oggettivamente il collegamento tra le premesse e le conclusioni delle nostre proposizioni; la seconda, è che facciamo poesia, letteratura, e per farle seguiamo le regole estetiche dei generi letterari; la terza, è che tacciamo dinanzi all’essere perché non riusciamo a dirne nulla di sensato; la quarta, è il misticismo, ci prodighiamo in affermazioni soggettive, magari estetiche, metaforiche, cariche di suggestioni, ma nulla di davvero conoscitivo rispetto alla realtà. Tu, quale possibilità scegli?
F: scelgo di non scegliere, è finito il tempo di questo questionare astorico e imprigionante nei confronti del pensiero! Faccio filosofia per come ho detto prima …
A: ed io conseguentemente, e coerentemente, taccio come le piante!
VLADIMIR: scusate gentili signori, posso disturbarvi soltanto un attimo?
A: già che ci siamo, dica pure!
F: che strana serata però!
V: avete per caso visto il mio amico?
A: chi? Ma credo proprio di no, di qua almeno non è passato nessuno!
F: cos’è il “chi”? passare? Si passa?
A: uff!
V: Estragon! Lo avete visto per caso?
F: direi di no … pur con tutte le remore del caso …
V: remore? Come mai?
A: lo lasci stare! Non ci faccia troppa attenzione!
F: il solito pensiero convesso! Non rispetti l’alterità!
A: almeno non te la impongo la … differenza!
F: non sai nemmeno cos’è!
A: e come potrei se nulla c’è?
V: nulla c’è? Mi suona strano … un’espressione linguistica erronea … se nulla … non è!
A: così pare pure a me, non a questo estraneo razionale …
F: non razionale, prego!
V: insomma, un non essere mi pare di capire …
A: più o meno …
F: mi piace pensarmi come un polimorfo non essente
V: l’importante è intendersi nelle differenze!
A: è quanto ho cercato di fargli capire ma lui … nisba!
F: in genere, l’accordo è uno strumento del Potere per opprimere le masse da quanto storicamente sono comparse …
V: ma nell’antica Roma c’erano già le masse … e per tenerle buone indivano i giochi …
A: anche nell’antica Grecia c’erano e le tenevano buone con le tragedie e la commedia …
F: una lingua poetica che abbiam perduto …
A: forse che credi che il poeta sia più dicente?
F: anche più sapiente!
V: ah me pare sedicente …
F: non comprendete! L’orizzonte può essere squarciato! Possiamo dire di più nelle radure dell’essere …
A: non era non essere?
V: che strano modo di parlare ha il suo amico …
A: non ci faccia caso, per lui non valgono, a parole almeno, i principi di identità, contraddizione e terzo escluso …
V: ma così che senso ha quel che dice?
A: poco o nulla credo ma lui è di avviso diverso …
F: … nelle radure dell’essere noi rammemoriamo …
V: se nulla c’è di cosa parla?
A: al posto di tacere, continua a parlare …
V: sembra quasi una … come la chiamava quel medico viennese ch’ebbi la sventura di conoscere? … comunque parlava di … coazione a ripetere!
A: ripetere senza prestare attenzione al significato delle proprie parole?
V: esattamente! È come se il suo amico si sforzasse di alludere a qualcosa esulante dal linguaggio umano …
F: è solo una tradizione! Si può innovare, decostruire, demolire …
V: ma una volta decostruito bisogna pur ricostruirlo, no?
F: chi lo dice? Tu?
A: se fosse analisi del linguaggio potrebbe ancor andarmi bene, ma lui sostiene che il compito della filosofia è soltanto demolire …
V: a che pro?
A: boh! Forse è come sostiene quel viennese … ripetere ossessivamente …
V: dinamica linguistica simboleggiante i processi metabolici di introiezione ed espulsione …
A: comunque è strano, non trova?
V: proprio sì …
F: demolire, demolire, demolire, demolire …
ALGORITMO: io una spiegazione plausibile l’avrei …
V: e lei chi è, scusi?
ALGORITMO: mi presento! Che sbadato! Sono ALGORITMO!
V: nome suggestivo!
F: ecco, la chiacchiera che avanza!
A: mai saputo prima!
ALGORITMO: il vostro amico è solo incappato in un errore di programmazione … è un blocco nell’esecuzione dei programmi che in gergo prende il nome di loop infinito …
V: è curabile?
A: v’è soluzione?
ALGORITMO: certo! Ecco!
F: … ma di cosa stavamo parlando?
A: niente di che! Del più e del meno! Ti va un sorso di amaro?
F: accidenti se sì!
V: potrei essere della partita?
A: perché no? Venga pure e lei … signor ALGORITMO vuol unirsi a noi?
ALGORITMO: spiacente! Non quando sono in servizio! E poi l’acqua non è tanto amica degli stati elettrici … una buona serata allora!
V: arrivederla!
A: saluti!
F: piacere nostro!
V: la vostra compagnia mi ha fatto ricordare cosa stavo facendo prima di cercare il mio amico Estragone …
F: e cosa faceva?
V: attendevo …
A: attendeva? E cosa?
F: magari attendeva qualcuno … chi?
V: attendevo, assieme ad Estragone, l’arrivo del signor … come si chiamava? … il signor … Godot … lo attendete anche voi?
A: chi può dirlo? Magari sì
F: lo ammetto, solo un dio può salvarci.



Nessun commento:

Posta un commento

Se desideri commentare un mio post, ti prego, sii rispettoso dell'altrui pensiero e non lasciarti andare alla verve polemica per il semplice fatto che il web 2.0 rimuove la limitazione del confronto vis-a-vi, disinibendo così la facile tentazione all'insulto verace! Posso fidarmi di te?