Cerca nel blog

giovedì 16 febbraio 2012

Ontologia, argomento ontologico e principio di non contraddizione



Il volume di Arata si distingue da altri per l’estrema densità delle riflessioni che dimorano sullo sfondo del testo scritto.
Per breve che sia, consta di tre parti, la prima delle quali è, a mio sommesso modo di vedere, quella teoricamente rilevante. Ovviamente, non nel senso che le altre non lo siano, ma presentano, e discutono, aspetti che considero minoritari rispetto all’interesse che muove l’incipit del testo, ossia il (neo)parmenidismo che, longa manus, muove le fila sia della rinascita dell’unum argumentum anselmiano nel corso del XX secolo sia la (ri)scoperta di Parmenide in Italia (con Severino). E a quest’ultimo fronte teorico intendo indirizzare la mia attenzione. Infatti, discutere di ontologia e di “metafisica speciale” è tornato di moda oggigiorno, anche se, personalmente, ritengo che, in realtà, si tratti piuttosto di una riscoperta di moventi ed interessi mai davvero fuori luogo e che, finalmente, tornano a suscitare un discreto successo.
Passata la sbornia postmoderna, secondo la quale, obtorto collo, non importa che si dia o meno una realtà concreta, verrebbe da dire “positiva”, dato che ciascuno di noi è sempre, e soltanto, il risultato di processi storici contingenti, esterni alla nostra volontà e/o conoscenza, è possibile chiedersi se il rapporto tra il pensiero e la realtà sia più o meno stretto di quanto non appaia. L’essere che è, è in quanto essere o in quanto appare al pensiero? Questa la questione, questa la direzione fondamentale da assumere per interrogarsi sulla realtà che dimoriamo e che, in una certa qual misura, anche siamo.
O meglio: l’essere è indifferente al suo essere o non essere (p. 13)? Detto altrimenti, l’essere è a prescindere dalla nostra conoscenza/comprensione/produzione oppure è solo perché lo conosciamo/comprensiamo/produciamo? In Severino l’essere è sempre nel senso che (ciascun) essere esiste da sempre in quanto essenza, ancorché priva di forma concreta. L’essere parmenideo costituisce, dunque, la «Struttura Originaria» (p. 21) quale immediatezza di essere ed immediatezza della sua non-contraddittorietà. Se avessimo anche solo una prova di segno contrario all’essere, quest’ultimo diventerebbe seduta stante un puro immanente, una figura priva di consistenza. E tuttavia se l’essere è in quanto non può non essere ciò significa che proprio perché è allora è anche privo di contraddizione. Questa doppia movenza è, a dire di Arata, la dinamica propria del «principio di non contraddizione neoparmenideo» (p. 22) nel senso che l’attestazione di esistenza dell’essere fa il paio con l’esclusione della sua negazione (e, quindi, con la ri-affermazione potenziata della sua esistenza). Allora, le cosiddette dimostrazioni a priori dell’esistenza di Dio, meglio note forse come argomenti ontologici, sono nettamente ateistiche nel senso che lungi dal dimostrare l’esistenza di Dio, si limitano tutt’al più a riconfermare la natura immutabile dell’essere, che è e non può cessare di essere. L’essere neoparmenideo non è l’essere teista, e il divenire elenctico espresso in forma variata nei vari argomenti ontologici del secolo appena passato non è altro che la riaffermazione della verità eterna dell’essere: sempre essere, mai non – essere. Detto altrimenti, secondo Arata il Dio di siffatte prove non è mai l’essere in sé, ma sempre l’essere per me. Siccome in queste occasioni si fa uso del principio di non contraddizione e la verità soltanto può de se sibi loquitur, allora abbiamo solo la riaffermazione del principio stesso, solo la riaffermazione della verità di quest’ultimo, e non della verità divina. La necessità del principio nulla ci dice sulla necessità di Dio, il principio di non contraddizione non è un ascoltatore di diritto della trascendenza. Ciò rende conto di come nei secoli scorsi la teologia sia stata ostaggio della metafisica, di quell’essere in forza del quale soltanto si poteva sperare di attingere a Dio, ostaggio di una mediazione che, per sua stessa natura, impedisce di scorgere Dio, presentandoci soltanto una sua versione edulcorata, una sua controfigura.
Dunque, «il pensiero, nelle cosiddette prove dell’esistenza di Dio, in realtà non mette in trono Dio, bensì sé come Dio» (p. 48). Quando Severino parla di Dio, in forza dell’evidenza del (suo) essere (neo)parmenideo sbaglia dato che lui non è Dio, lui non è l’ascoltatore prediletto, autorizzato a ciò, l’ascoltatore naturale. È solo un chi dell’essere, e mai il Chi dell’Ego Sum Qui Sum, l’unica modalità attraverso la quale Dio si presenta all’uomo. Io non è essere, Io è oltre l’essere, oltre quel principio in virtù del quale le ragioni dell’esistenza vengono difese e dimostrate. Bisogna, allora, andare oltre suddetto principio se si desidera parlare di Dio come Dio, e non di Dio come essere.
Queste le ragioni di Arata. Mi si permetta, comunque, di spezzare una lancia a favore degli argomenti ontologici non perché io pensi che possano davvero funzionare nelle loro finalità, ma solo perché penso vi sia un malinteso al fondo che giace là sin dai tempi di Anselmo. Infatti, siamo davvero sicuri che si tratti di un ragionamento atto a dimostrare l’esistenza di Dio? In verità, sono più propenso a considerarlo un’attestazione di consistenza, ossia di coerenza, di chi crede nel senso che il giogo dialettico anselmiano ha valore solo se posto in contrasto con la posizione dell’insipiente, e non del non credente. Infatti, il vescovo di Bec ha a cuore condannare la contraddizione dell’insipiens il quale, seppur credendo in Dio, dice in cuor suo Deus non est. In altri termini, Anselmo non intende dimostrare affatto sola ratione l’esistenza di Dio, ma confutare i dubbi degli insipienti. Ciò significa ancora che l’argomento non è ontologico, ma solamente logico: espungere contraddizioni ed incoerenze dalle menti di chi (già) crede. Di questo, ad esempio, mi sono occupato nel mio Argomento ontologico. Una storia convergente per una lettura divergente, Aracne, Roma, 2009.



Quindi, at last, eccede forzatamente Arata nella sua critica oppure muove giusti rilievi al parmenidismo di Severino? Come spesso accade, forse, la verità sta nel mezzo: errata è la storia dell’argomento ontologico ed errori metafisici commette Severino nel suo assurgere l’essere ad assoluto del pensiero (e da pensare). Sulla bontà, comunque, di tali indicazioni di Arata lascio che chi legga possa valutare.

Nessun commento:

Posta un commento

Se desideri commentare un mio post, ti prego, sii rispettoso dell'altrui pensiero e non lasciarti andare alla verve polemica per il semplice fatto che il web 2.0 rimuove la limitazione del confronto vis-a-vi, disinibendo così la facile tentazione all'insulto verace! Posso fidarmi di te?