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martedì 8 ottobre 2013

Filosofia sociale

(recentemente ho introdotto l'argomento, lo faccio adesso in maniera molto più estesa, recensendo direttamente il testo in questione)


Recensione a: V. Rosito – M. Spanò, I soggetti e i poteri. Introduzione alla filosofia sociale contemporanea, Carocci, Roma, 2013, pp. 250.




Vincenzo Rosito e Michele Spanò scrivono a quattro mani il presente volume che introduce alla filosofia sociale contemporanea.


Il testo, corposo nel numero di pagine, consta di una introduzione e di cinque capitoli, ciascuno dei quali significativamente declinati al plurale ed indicanti specifici verbi della filosofia sociale.


Gli autori forniscono un inquadramento di massima della disciplina. Essa «indaga […] i nessi sociali che precedono e consentono ogni messa in forma istituzionale» (p. 9), quei legami tra attori sociali i quali, per loro specifica natura, stanno sia prima sia durante ogni manifestazione istituzionale dei comportamenti sociali. La filosofia sociale «descrive tipi diversi di normatività» (p. 10), vale a dire che procede alla «descrizione dei regimi di normatività che percorrono la società e che sono dunque la premessa […] per poterla eventualmente criticare e trasformare» (p. 10). Detto altrimenti, la filosofia sociale non si presenta come una critica della società, come una prescrizione ideale di organizzazioni alternative della stessa, quanto piuttosto come discorso della società. Il teorico viene chiamato in causa per poter “dire” la società. La società, infatti, «è il “luogo comune” di soggetti e poteri» (p. 11), quel «luogo in cui si situa la filosofia sociale» (p. 11) chiamata a compiere «un'indagine dinamica dei rapporti interni a soggetti e poteri […] e del loro modo di comporsi» (p. 11). Pertanto, essa viene compiutamente concepita come «una forma di critica immanente al proprio tempo» (p. 13) poiché «descrive il rapporto tra i soggetti e i poteri in una data epoca» (p. 13) e «diagnostica le forme degli uni e degli altri» (pp. 13 – 4), riflette in maniera critica «sulla trasformabilità della condizione presente» (p. 14) e offre «gli strumenti per dare corso a questa trasformazione» (p. 14). I soggetti e i poteri, pertanto, non si danno come 'cose', ma sempre come 'discorsi'. Allora, la filosofia sociale opera sul linguaggio, «sui suoi limiti e le sue potenzialità, sul suo carattere vincolante e su quello abilitante» (p. 14).


Il primo capitolo prende le mosse da un verbo particolare, vale a dire Riconoscersi. Per gli autori, esso significa gettare uno sguardo sulle pratiche del riconoscimento. La scuola di Francoforte è, al riguardo, il punto focale di tale discorso in quanto si cerca di fornire importanti chiavi di lettura per lo spaesamento moderno della soggettività, oramai incapace di riconoscersi. Ma non basta certo denunciare il processo alienante del sistema di produzione capitalistico per salvare il soggetto, è necessario piuttosto spostare il discorso sulle «pratiche discorsive in seno alle quali il sociale prende forma e la realtà viene cooperativamente costruita» (p. 22). È tuttavia con Honneth che la pratica del riconoscimento viene fattivamente riconosciuta come tale e presa seriamente in considerazione. Egli, infatti, «intende fornire principalmente una concezione critico-normativa dei processi costitutivi dell'autocoscienza e del valore strutturalmente produttivo del conflitto e del dissenso» (p. 27). Attingendo al lascito culturale di Habermas da un lato e di Foucault dall'altro, Honneth si propone come saggio interprete della secolarizzazione, vale a dire dell'attuale disagio della civiltà occidentale stretta dalla perdita della propria centralità secolare e pressata da forze esterne potenti. Più sede di contrasti e conflitti che di composizioni e mediazioni. Solo attraverso il cooperativo riconoscimento dell'identità singola con l'identità dell'altro appare possibile rinnovare il processo del dialogo tra soggetti. Ovviamente, la filosofia sociale non guarda solamente a questo apparato teorico, ma prende in considerazione anche ben altri registri, come la teoria del dono, equiparato ad un vero e proprio «modello sociale onnivalente» (p. 41), vale a dire una struttura sociale ubiquitaria. Con la donazione, in altri termini, si instaura una «circolarità virtuosa» (p. 46) del dare, del ricevere e del ricambiare che realizza una «costituzione partecipata di rapporti sociali» (p. 46). Tuttavia, non tutti concordano sulla natura disinteressata della donazione. Derrida è uno dei massimi esponenti di questa teoria ed oppone dono a reciprocità nello scambio. Recentemente, si è anche insediato un altro modello filosofico che prende il nome di filosofia della cura. Essa «descrive infatti un modo delle relazioni sociali attraverso il quale prende forma una specifica gestualità morale: quella dell'interessamento pratico, della sollecitudine affettiva e della tutela etica» (pp. 59 – 50). Prendendo atto della consustanziale vulnerabilità umana, la nozione di cura esprime una tipologia di relazioni sociali fondate appunto sull'interessarsi del destino esistenziale altrui e del prendersi cura dei propri simili, al punto a configurarsi come la «possibilità di una base etica condivisa tra pubblico e privato» (p. 53). La filosofia politica moderna, invece, ha orientato la propria riflessione attorno al rapporto problematico della libertà e della eguaglianza. Basti pensare a Rawls per il quale la giustizia è «la categoria primaria dell'analisi filosofica delle interazioni sociali» (p. 61). Ne emerge, pertanto, come nei coevi conflitti sociali un ruolo sempre maggiore venga ad essere svolto dall'«identità sociale» (p. 65) la quale svolge due distinte funzioni: 1) identificare i gruppi sociali di appartenenza dei singoli a determinate categorie, in funzione della quale formulare in maniera corretta le «realtà materiali o immateriali che definiamo beni sociali» (p. 65); e, 2) solo in base ad essa, ciascun individuo «matura quelle capacità specifiche con cui è in grado di percepire il mondo come proprio e sé stesso come membro di una determinata comunità» (p. 65). Il riconoscimento di un ruolo importante all'identità sociale, e alla riscoperta del suo ruolo all'interno delle teorie economiche, è uno dei grandi meriti di Sen secondo il quale il grande limite delle teorie economiche contemporanee è di muovere «dall'illusione dell'unicità» (p. 66), vale a dire ignorare come alla base dell'identità sociale possano esservi processi arbitrari e decisionali che sperimentano e sintetizzano appartenenze diverse in funzione al genere sessuale, alla lingua, alle abilità pratiche, alle conoscenze culturali. Così, l'equità sociale andrebbe valutata «in relazione alle modalità concrete che permettono a ciascuno di realizzare funzioni e di sviluppare competenze reali» (p. 67). La libertà per Sen consiste «nella disponibilità concreta ed equamente garantita» (p. 68) delle condizioni che rendono possibile il dispiegamento delle capacità individuali.



Il secondo capitolo s'intitola Governarsi e pone al centro della riflessione la forma di organizzazione politica attraverso la quale i soggetti si pongono in relazione a dei poteri. La filosofia sociale guarda alla democrazia «come un dato sociologico» (p. 72), ravvisandone anche l'«ineliminabile componente emotiva, affettiva, passionale» (p. 72). In questo modo, ad esempio, per Tocqueville la democrazia non è una forma di governo, ma «uno stato della società» (p. 74), segnatamente quella condizione che si realizza con la scomparsa dell'aristocrazia e con l'estensione universale del principio di eguaglianza. Ma alla pari di Tocqueville, Mill riscontra la necessità del governo di una società la quale proprio perché plurale è «mossa da interessi e desideri diversi» (p. 76). Così, la filosofia sociale si trova a lavorare su questo terreno, «l'antropologia dell'homo democraticus contemporaneo» (p. 77). La disamina dei mutamenti nei desideri dei soggetti relati da diversi poteri è alla base della ricognizione foucaltiana intorno ai governi delle società. Foucault conia appunto il concetto di governamentalità, vale a dire «una specifica razionalità di potere» (p. 81) che non si identifica né con un'istituzione né con una teoria. Essa si rivela un «dispositivo articolato secondo una duplice polarità: il governo di sé e il governo degli altri» (p. 82). Esso permette a Foucault di criticare il modello giuridico del potere, di rendere più chiaro il rapporto tra tecniche del sé e tecniche del dominio, di estendere il campo del potere sino a poterlo descrivere «come un gioco strategico, come governo e come dominio» (p. 86). Il principale lascito teorico di Foucault alla filosofia sociale appare essere quello di aver suggerito come il potere non debba essere analizzato in funzione di una sua pretesa essenza, ma «nei modi specifici in cui si esercita» (p. 89), ossia come entra in contatto con i soggetti. Vi sono, comunque, anche altre prospettive al riguardo le quali conducono una critica alla democrazia la quale va di pari passo alla crisi della stessa. Per rispondere a quest'ultima, Sintomer propone la procedura del sorteggio perché garantisce «imparzialità e favorisce la qualità della deliberazione» (p. 103). Si tratterebbe, per dirlo altrimenti, di uno strumento democratico che impone «il principio di eguaglianza» (p. 103). Nonostante ciò, però, esiste un grosso limite alla pratica in questione. Infatti, a chi rispondono quanti sono eletti per sorteggio? Si tratta, allora, del problema di «un equilibrio tra la procedura del sorteggio e il rispetto di una rappresentanza sociologica della società» (p. 103). A fronte di questi problemi, altri autori hanno proposto modelli teorici del tutto differenti, come nel caso dei comunitaristi. Per tutti costoro, infatti, la comunità è un «modo di abitare la società, un modo di farne esperienza» (p. 106). Le principali fonti di questo filone di pensiero sono Tönnies e Bataille. Per Nancy, invece, la comunità è il luogo «dell'esposizione delle esistenze finite» (p. 120). Per la filosofia sociale della comunità, «l'altro, il simile, non è riconosciuto perché uguale a me» (p. 123) dal momento che non esiste una comune origine «cui fare riferimento» (p. 123). Se ciascuno «è il suo fuori, è solo nella propria esteriorità che ci si riconosce simili» (p. 123). La comunità è appunto quel regime ontologico «in cui l'uno e l'altro sono simili» (p. 123), in cui cioè «l'identità è sempre spartita e perciò sempre perduta e mai posseduta» (p. 123). Di conseguenza, la progettualità politica da descrivere cui si mette capo non è quella comune dei diritti, dei doveri, delle tutele, dei contratti, del consenso, ma quella dell'esperienza, vale a dire «un'esperienza della spartizione, dell'inoperosità e della comunicazione dell'una come dell'altra» (p. 126). La riflessione di Nancy però spinge il pensiero sulla comunità ben oltre tutto ciò, attestandosi piuttosto su una «prospettiva ontologica sulla politica» (p. 126). Peraltro, tutto il fiorire di filosofie fenomenologiche nel corso del XX secolo ha a cuore la tematizzazione del rapporto tra il soggetto e l'altro al punto che non è scorretto né esagerare affermare che proprio questo sia uno dei temi che «definisce la stessa struttura dell'essere» (p. 128).



Il terzo capitolo s'intitola Sollevarsi e si occupa principalmente della sovversione del soggetto ad opera di psicoanalisi e marxismo. Grazie a Freud, sappiamo che il soggetto è perfino estraneo a sé stesso, in alcun caso «padrone e sovrano dei suoi atti e dei suoi pensieri» (p. 137). La sovversione nei confronti del sovrano assoluto della filosofia occidentale è radicale ed impone una riflessione del tutto diversa del rapporto tra i singoli, così sottodeterminati dal giogo dell'irrazionalità, e i poteri, così determinati da logiche estranee alla razionalità occidentale. Peraltro, la civiltà stessa finisce con l'apparire la negazione stessa della naturalità degli esseri umani, come una gabbia che irretisce gli uomini. La psicoanalisi, dal canto suo, diviene una «pratica di orientamento del desiderio e della sua soggettivazione singolare da parte di ciascuno» (p. 143). Tuttavia, la nota comune all'ipermodernità di cui siamo transito, secondo Recalcati, è caratterizzata dal trionfo del discorso del capitalista, vale a dire che la continua archiviazione del desiderio, altrimenti non soddisfacibile in alcun caso, nell'inconscio dove però continua ad operare, provoca l'evaporazione stessa del desiderio. Otteniamo, pertanto, un soggetto «colpevole, ma non dotato di senso di colpa» (p. 145). L'elemento, però, che maggiormente colpisce nel panorama contemporaneo è il conflitto, ossia l'esistenza di un legame sociale il quale si realizza solamente nella forma dello scontro. Pertanto, gli autori mettono assieme, proprio con riguardo alla tematizzazione del conflitto figure l'una diversa dall'altra, come Gramsci, Schmitt e Althusser. Questo perché essi sono accomunati da una comune maniera di concepire la società, vale a dire un «campo di lotta» (p. 147) di «visioni parziali di verità che lottano per istituirsi come universali» (p. 148). Tuttavia, il presente discorso sulla contesa di parzialità che vorrebbero imporsi come generalità incrocia il discorso sui significanti, ossia sui meccanismi sociali di riconoscimento e identificazione per mezzo dello scontro tra opzioni diverse e sovente contrarie.




Il quarto capitolo ha come titolo Nominarsi ad indicazione dell'orizzonte tematico prescelto: l'esame del rapporto tra i soggetti e i poteri «interrogandosi criticamente sul soggetto» (p. 175). La filosofia sociale deve stavolta prendere in considerazione tutti quei fermenti e quelle idee che l'antropologia, la relatività della cultura postcoloniale e la differenza sessuale offrono alla sua tematizzazione. Infatti, mentre il postcolonialismo chiede al soggetto «della filosofia sociale da dove parla» (p. 175), il femminismo gli «chiede chi è» (p. 175). Il soggetto viene così decostruito dalla forma generale ed occidentale quale è stato conosciuto in filosofia. La ricerca del chi del potere delinea in questo modo un orizzonte semantico innovativo, per non dire differente dalla tradizione consolidata in questo senso. In questo modo, anche, decostruire la razionalità occidentale consente pure di porre in essere «una continua autocritica» (p. 197). Anche il femminismo critica l'usurpazione dell'universale da parte di una parzialità. Per di più, contesta «la stessa forma simbolica dell'universale» (p. 199), un prodotto come tanti altri «del pensiero maschile» (p. 199). Bisogna così abbandonare il dualismo sinora imperante, anche se occultato dietro le parvenze di generalità ed universalità, «per aprire le forme del sapere all'esperienza femminile» (p. 199). L'idea di una differenza sessuale da far valere anche in sede teorica comporta cambiare punto di partenza per le riflessioni filosofiche: non più concetti o modelli generali, ma la particolarità di corpi gli uni differenti dagli altri. Per Butler, ad esempio, la differenza sessuale è «una delle norme che rende possibile il soggetto» (p. 207), vale a dire che lo rende «intelligibile e leggibile nello spazio sociale» (p. 207). In altri termini, va disinnescata «la polarizzazione tra natura (il sesso e il femminile) e la cultura (il genere maschile)» (p. 207). Il soggetto, cioè, non esiste né prima né dopo la corporeità, la dimensione della differenza corporale. Solo così diventa spiegabile la maniera attraverso la quale la costruzione del soggetto abbia sempre comportato un'esclusione: «se porta qualcosa nel campo della lingua […] lascia fuori qualcos'altro» (p. 208).




Il quinto capitolo s'intitola Immaginarsi. La natura del titolo non è casuale dal momento che i processi di globalizzazione in atto appaiono così irresistibili e violenti da porre al filosofo sociale il compito, certo difficile anche se non impossibile, per il mezzo della critica, di «creare le condizioni di possibilità per nuove configurazioni di senso all'interno della prospettiva globale» (p. 211). La globalizzazione non descrive un'estensione globale delle relazioni, dei saperi e delle pratiche, ma il fatto che «questi mutamenti interessano trasversalmente discipline diverse e ambiti differenti del sapere» (p. 212). Di fronte a questo scenario, il compito della filosofia sociale è quello di «rinvenire ambiti e significati in virtù dei quali possano essere “immaginati” funzioni, ruoli e saperi in grado di limitare gli eccessi in-globanti del capitalismo contemporaneo» (p. 213). D'altra parte, è anche vero che i soggetti sociali «sono attori non statali» (p. 214), ma planetari. Lo sfumare dei contorni nazionali è anche l'orizzonte di senso del fenomeno meglio conosciuto come glocalismo, vale a dire la «formazione e la rivendicazione crescente di identità culturali locali, che tendono ad accentuare fortemente alcuni tratti particolaristici di tipo etnico o religioso» (p. 216), apparentemente forme locali di resistenza all'omologazione planetaria, in realtà «parte integrante di quel processo di omologazione» (p. 216). I processi di globalizzazione, in altri termini, impongono di tener debitamente conto di tre differenti elementi: 1) lo sganciamento da forme e vincoli sociali precostituiti in senso tradizionale; 2) perdita delle sicurezza tradizionali; 3) istituzione di un nuovo tipo di legame. In questo senso, appare importante il contributo della prospettiva interculturale la quale cerca di «giudicare determinati contesti sociali nella misura in cui questi creano rappresentazioni di culture considerate estranee» (p. 225). Sicché, l'«interazione reciproca e la compenetrazione dialettica tra cultura e politica rappresentano infatti il vero polo duale intorno al quale è possibile ripensare la categoria di umanesimo come ambito di interpretazione e di critica del mondo contemporaneo» (p. 226). Come lo sfondamento dei confini nazionali impone un ripensamento alla dialettica tra la politica e la cultura, allo stesso modo anche lo sfondamento degli orizzonti culturali della biologia impone una nuova riflessione attorno all'umano. L'essere umano, perché soggetto della tecnica, «si presenta come l'unico essere vivente capace di attivare processi di modificazione riflessiva e ragionata delle coordinate naturali in cui è iscritto» (p. 227). La filosofia sociale, dunque, deve porsi in dialogo con l'antropologia della tecnica in quanto quest'ultima si configura come «una disciplina imprescindibile e un campo tematico necessario» (p. 227). Essa, infatti, «è indispensabile per comprendere e interpretare i mutamenti antropologici in atto nelle società contemporanee, in relazione ai recenti sviluppi delle nuove tecnologie» (p. 229), in maniera tale che la filosofia sociale possa soffermarsi «su queste trasformazioni» (p. 229) individuando quelle categorie «in grado di valutarne la portata e i significati» (p. 229). Su tutti i temi importati dall'antropologia della tecnica ne spicca uno: quello «dell'identità personale» (p. 233). Un altro aspetto che la condizione postmoderna della società umana planetaria impone è quello relativo all'autocoscienza religiosa. Negli ultimi anni è tornato di moda il sentimento religioso al punto che la filosofia sociale non può sognarsi di ignorarlo. Così, essa si trova costretta a prendere in considerazione gli effetti di tre elementi necessari: «le credenze, i riti e le istituzioni» (p. 234). Su questi gioca adesso un ruolo imprescindibile il pluralismo religioso il quale irrompe «in tempi e forme molto spesso inaspettati» (p. 237). Infatti, è al suo interno che si colloca l'orizzonte «in cui interpretare le implicazioni sociali e politiche di tali mutamenti» (p. 237).




(immagine tratta da: http://www.inmondadori.it/img/soggetti-poteri-Introduzione-Michele-Spano-Vincenzo-Rosito/ea978884306630/BL/BL/12/NZO/?tit=I+soggetti+e+i+poteri.+Introduzione+alla+filosofia+sociale+contemporanea&aut=Vincenzo+Rosito)

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