(recentemente ho introdotto l'argomento, lo faccio adesso in maniera molto più estesa, recensendo direttamente il testo in questione)
Recensione
a: V. Rosito – M. Spanò, I soggetti e i poteri. Introduzione
alla filosofia sociale contemporanea,
Carocci, Roma, 2013, pp. 250.
Vincenzo
Rosito e Michele Spanò scrivono a quattro mani il presente volume
che introduce alla filosofia sociale contemporanea.
Il
testo, corposo nel numero di pagine, consta di una introduzione e di
cinque capitoli, ciascuno dei quali significativamente declinati al
plurale ed indicanti specifici verbi
della filosofia sociale.
Gli
autori forniscono un inquadramento di massima della disciplina. Essa
«indaga […] i nessi sociali che precedono e consentono ogni messa
in forma istituzionale» (p. 9),
quei legami tra attori sociali i quali, per loro specifica natura,
stanno sia prima sia durante ogni manifestazione istituzionale dei
comportamenti sociali. La filosofia sociale «descrive tipi
diversi di normatività» (p.
10), vale a dire che procede alla «descrizione dei regimi
di normatività che percorrono
la società e che sono dunque la premessa […] per poterla
eventualmente criticare e trasformare» (p. 10). Detto altrimenti, la
filosofia sociale non si presenta come una critica della società,
come una prescrizione ideale di organizzazioni alternative della
stessa, quanto piuttosto come discorso della società. Il teorico
viene chiamato in causa per poter “dire” la società. La società,
infatti, «è il “luogo comune” di soggetti e poteri» (p. 11),
quel «luogo in cui si situa la filosofia sociale» (p. 11) chiamata
a compiere «un'indagine dinamica dei rapporti interni a soggetti e
poteri […] e del loro modo di comporsi» (p. 11). Pertanto, essa
viene compiutamente concepita come «una forma di critica immanente
al proprio tempo» (p. 13) poiché «descrive il rapporto tra i
soggetti e i poteri in una data epoca» (p. 13) e «diagnostica le
forme degli uni e degli altri» (pp. 13 – 4), riflette in maniera
critica «sulla trasformabilità della condizione presente» (p. 14)
e offre «gli strumenti per dare corso a questa trasformazione» (p.
14). I soggetti e i poteri, pertanto, non si danno come 'cose', ma
sempre come 'discorsi'. Allora, la filosofia sociale opera sul
linguaggio, «sui suoi limiti e le sue potenzialità, sul suo
carattere vincolante e su quello abilitante» (p. 14).
Il
primo capitolo prende le mosse da un verbo particolare, vale a dire
Riconoscersi. Per gli
autori, esso significa gettare uno sguardo sulle pratiche del
riconoscimento. La
scuola di Francoforte è, al riguardo, il punto focale di tale
discorso in quanto si cerca di fornire importanti chiavi di lettura
per lo spaesamento moderno della soggettività, oramai incapace di
riconoscersi. Ma non basta certo denunciare il processo alienante del
sistema di produzione capitalistico per salvare il soggetto,
è necessario piuttosto spostare il discorso sulle «pratiche
discorsive in seno alle quali il sociale prende forma e la realtà
viene cooperativamente costruita» (p. 22). È tuttavia con Honneth
che la pratica del riconoscimento viene fattivamente riconosciuta
come tale e presa seriamente in considerazione. Egli, infatti,
«intende fornire principalmente una concezione critico-normativa dei
processi costitutivi dell'autocoscienza e del valore strutturalmente
produttivo del conflitto e del dissenso» (p. 27). Attingendo al
lascito culturale di Habermas da un lato e di Foucault dall'altro,
Honneth si propone come saggio interprete della secolarizzazione,
vale a dire dell'attuale disagio della civiltà occidentale stretta
dalla perdita della propria centralità secolare e pressata da forze
esterne potenti. Più sede di contrasti e conflitti che di
composizioni e mediazioni. Solo attraverso il cooperativo
riconoscimento dell'identità singola con l'identità dell'altro
appare possibile rinnovare il processo del dialogo tra soggetti.
Ovviamente, la filosofia sociale non guarda solamente a questo
apparato teorico, ma prende in considerazione anche ben altri
registri, come la teoria del dono,
equiparato ad un vero e proprio «modello sociale onnivalente» (p.
41), vale a dire una struttura sociale ubiquitaria. Con la donazione,
in altri termini, si instaura una «circolarità virtuosa» (p. 46)
del dare, del ricevere e del ricambiare che realizza una
«costituzione partecipata di rapporti sociali» (p. 46). Tuttavia,
non tutti concordano sulla natura disinteressata della donazione.
Derrida è uno dei massimi esponenti di questa teoria ed oppone dono
a reciprocità nello
scambio. Recentemente, si è anche insediato un altro modello
filosofico che prende il nome di filosofia della cura.
Essa «descrive infatti un modo delle relazioni sociali attraverso il
quale prende forma una specifica gestualità morale: quella
dell'interessamento pratico, della sollecitudine affettiva e della
tutela etica» (pp. 59 – 50). Prendendo atto della consustanziale
vulnerabilità umana, la nozione di cura esprime una tipologia di
relazioni sociali fondate appunto sull'interessarsi del destino
esistenziale altrui e del prendersi cura dei propri simili, al punto
a configurarsi come la «possibilità di una base etica condivisa tra
pubblico e privato» (p. 53). La filosofia politica moderna, invece,
ha orientato la propria riflessione attorno al rapporto problematico
della libertà e della
eguaglianza. Basti
pensare a Rawls per il quale la giustizia è «la categoria primaria
dell'analisi filosofica delle interazioni sociali» (p. 61). Ne
emerge, pertanto, come nei coevi conflitti sociali un ruolo sempre
maggiore venga ad essere svolto dall'«identità sociale» (p. 65) la
quale svolge due distinte funzioni: 1) identificare
i gruppi sociali di appartenenza dei singoli a determinate categorie,
in funzione della quale formulare in maniera corretta le «realtà
materiali o immateriali che definiamo beni sociali» (p. 65); e, 2)
solo in base ad essa, ciascun individuo «matura quelle capacità
specifiche con cui è in grado di percepire il mondo come proprio e
sé stesso come membro di una determinata comunità» (p. 65). Il
riconoscimento di un ruolo importante all'identità sociale, e alla
riscoperta del suo ruolo all'interno delle teorie economiche, è uno
dei grandi meriti di Sen secondo il quale il grande limite delle
teorie economiche contemporanee è di muovere «dall'illusione
dell'unicità» (p. 66), vale a
dire ignorare come alla base dell'identità sociale possano esservi
processi arbitrari e decisionali che sperimentano e sintetizzano
appartenenze diverse
in funzione al genere sessuale, alla lingua, alle abilità pratiche,
alle conoscenze culturali. Così, l'equità sociale andrebbe valutata
«in relazione alle modalità concrete che permettono a ciascuno di
realizzare funzioni e di sviluppare competenze reali» (p. 67). La
libertà per Sen consiste «nella disponibilità concreta ed
equamente garantita» (p. 68) delle condizioni che rendono possibile
il dispiegamento delle capacità individuali.
Il
secondo capitolo s'intitola Governarsi
e pone al centro della riflessione la forma di organizzazione
politica attraverso la quale i soggetti si pongono in relazione a dei
poteri. La filosofia sociale guarda alla democrazia
«come un dato sociologico» (p. 72), ravvisandone anche
l'«ineliminabile componente emotiva, affettiva, passionale» (p.
72). In questo modo, ad esempio, per Tocqueville la democrazia non è
una forma di governo, ma «uno stato della società» (p. 74),
segnatamente quella condizione che si realizza con la scomparsa
dell'aristocrazia e con l'estensione universale del principio di
eguaglianza. Ma alla pari di Tocqueville, Mill riscontra la necessità
del governo di una società la quale proprio perché plurale è
«mossa da interessi e desideri diversi» (p. 76). Così, la
filosofia sociale si trova a lavorare su questo terreno,
«l'antropologia dell'homo democraticus
contemporaneo» (p. 77). La disamina dei mutamenti nei desideri dei
soggetti relati da diversi poteri è alla base della ricognizione
foucaltiana intorno ai governi delle società. Foucault conia appunto
il concetto di governamentalità,
vale a dire «una specifica razionalità di potere» (p. 81) che non
si identifica né con un'istituzione né con una teoria. Essa si
rivela un «dispositivo articolato secondo una duplice polarità: il
governo di sé e il governo degli altri» (p. 82). Esso permette a
Foucault di criticare il modello giuridico del potere, di rendere più
chiaro il rapporto tra tecniche del sé e tecniche del dominio, di
estendere il campo del potere sino a poterlo descrivere «come un
gioco strategico, come governo e come dominio» (p. 86). Il
principale lascito teorico di Foucault alla filosofia sociale appare
essere quello di aver suggerito come il potere non debba essere
analizzato in funzione di una sua pretesa essenza, ma «nei modi
specifici in cui si esercita» (p. 89), ossia come entra in contatto
con i soggetti. Vi sono, comunque, anche altre prospettive al
riguardo le quali conducono una critica alla democrazia la quale va
di pari passo alla crisi della stessa. Per rispondere a quest'ultima,
Sintomer propone la procedura del sorteggio perché garantisce
«imparzialità e favorisce la qualità della deliberazione» (p.
103). Si tratterebbe, per dirlo altrimenti, di uno strumento
democratico che impone «il principio di eguaglianza» (p. 103).
Nonostante ciò, però, esiste un grosso limite alla pratica in
questione. Infatti, a chi rispondono quanti sono eletti per
sorteggio? Si tratta, allora, del problema di «un equilibrio tra la
procedura del sorteggio e il rispetto di una rappresentanza
sociologica della società» (p. 103). A fronte di questi problemi,
altri autori hanno proposto modelli teorici del tutto differenti,
come nel caso dei comunitaristi.
Per tutti costoro, infatti, la comunità è un «modo di abitare la
società, un modo di farne esperienza» (p. 106). Le principali fonti
di questo filone di pensiero sono Tönnies e Bataille. Per Nancy,
invece, la comunità è il luogo «dell'esposizione delle esistenze
finite» (p. 120). Per la filosofia sociale della comunità,
«l'altro, il simile, non è riconosciuto perché uguale a me» (p.
123) dal momento che non esiste una comune origine «cui fare
riferimento» (p. 123). Se ciascuno «è il suo fuori,
è solo nella propria esteriorità che ci si riconosce simili» (p.
123). La comunità è appunto quel regime ontologico «in cui l'uno e
l'altro sono simili» (p. 123), in cui cioè «l'identità è sempre
spartita e perciò sempre perduta e mai posseduta» (p. 123). Di
conseguenza, la progettualità politica da descrivere cui si mette
capo non è quella comune dei diritti, dei doveri, delle tutele, dei
contratti, del consenso, ma quella dell'esperienza, vale a dire
«un'esperienza della spartizione, dell'inoperosità e della
comunicazione dell'una come dell'altra» (p. 126). La riflessione di
Nancy però spinge il pensiero sulla comunità ben oltre tutto ciò,
attestandosi piuttosto su una «prospettiva ontologica sulla
politica» (p. 126). Peraltro, tutto il fiorire di filosofie
fenomenologiche nel corso del XX secolo ha a cuore la tematizzazione
del rapporto tra il soggetto e l'altro
al punto che non è scorretto né esagerare affermare che proprio
questo sia uno dei temi che «definisce la stessa struttura
dell'essere» (p. 128).
Il
terzo capitolo s'intitola Sollevarsi
e si occupa principalmente della sovversione del soggetto ad opera di
psicoanalisi e marxismo. Grazie a Freud, sappiamo che il soggetto è
perfino estraneo a sé stesso, in alcun caso «padrone e sovrano dei
suoi atti e dei suoi pensieri» (p. 137). La sovversione nei
confronti del sovrano assoluto della filosofia occidentale è
radicale ed impone una riflessione del tutto diversa del rapporto tra
i singoli, così sottodeterminati dal giogo dell'irrazionalità, e i
poteri, così determinati da logiche estranee alla razionalità
occidentale. Peraltro, la civiltà stessa finisce con l'apparire la
negazione stessa della naturalità
degli esseri umani, come una gabbia che irretisce gli uomini. La
psicoanalisi, dal canto suo, diviene una «pratica di orientamento
del desiderio e della sua soggettivazione singolare da parte di
ciascuno» (p. 143). Tuttavia, la nota comune all'ipermodernità di
cui siamo transito, secondo Recalcati, è caratterizzata dal trionfo
del discorso del capitalista, vale a dire che la continua
archiviazione del desiderio, altrimenti non soddisfacibile in alcun
caso, nell'inconscio dove però continua ad operare, provoca
l'evaporazione stessa del desiderio. Otteniamo, pertanto, un soggetto
«colpevole, ma non dotato di senso di colpa» (p. 145). L'elemento,
però, che maggiormente colpisce nel panorama contemporaneo è il
conflitto, ossia
l'esistenza di un legame
sociale il
quale si realizza solamente nella forma dello scontro.
Pertanto, gli autori mettono assieme, proprio con riguardo alla
tematizzazione del conflitto figure
l'una diversa dall'altra, come Gramsci, Schmitt e Althusser. Questo
perché essi sono accomunati da una comune maniera di concepire la
società, vale a dire un «campo di lotta» (p. 147) di «visioni
parziali di verità che lottano per istituirsi come universali» (p.
148). Tuttavia, il presente discorso sulla contesa di parzialità che
vorrebbero imporsi come generalità incrocia il discorso sui
significanti, ossia
sui meccanismi sociali di riconoscimento e identificazione per mezzo
dello scontro tra opzioni diverse e sovente contrarie.
Il
quarto capitolo ha come titolo Nominarsi
ad indicazione dell'orizzonte tematico prescelto: l'esame del
rapporto tra i soggetti e i poteri «interrogandosi criticamente sul
soggetto» (p. 175). La filosofia sociale deve stavolta prendere in
considerazione tutti quei fermenti e quelle idee che l'antropologia,
la relatività della cultura postcoloniale e la differenza sessuale
offrono alla sua tematizzazione. Infatti, mentre il postcolonialismo
chiede al soggetto «della filosofia sociale da dove parla»
(p. 175), il femminismo gli «chiede chi è»
(p. 175). Il soggetto viene così decostruito dalla forma generale ed
occidentale quale è stato conosciuto in filosofia. La ricerca del
chi del potere delinea
in questo modo un orizzonte semantico innovativo, per non dire
differente dalla tradizione consolidata in questo senso. In questo
modo, anche, decostruire la razionalità occidentale consente pure di
porre in essere «una continua autocritica» (p. 197). Anche il
femminismo critica l'usurpazione dell'universale da parte di una
parzialità. Per di più, contesta «la stessa forma simbolica
dell'universale» (p. 199), un prodotto come tanti altri «del
pensiero maschile» (p. 199). Bisogna così abbandonare il dualismo
sinora imperante, anche se occultato dietro le parvenze di generalità
ed universalità, «per aprire le forme del sapere all'esperienza
femminile» (p. 199). L'idea di una differenza sessuale da far valere
anche in sede teorica comporta cambiare punto di partenza per le
riflessioni filosofiche: non più concetti o modelli generali, ma la
particolarità di corpi
gli uni differenti dagli altri. Per Butler, ad esempio, la differenza
sessuale è «una delle norme che rende possibile il soggetto» (p.
207), vale a dire che lo rende «intelligibile e leggibile nello
spazio sociale» (p. 207). In altri termini, va disinnescata «la
polarizzazione tra natura (il sesso e il femminile) e la cultura (il
genere maschile)» (p. 207). Il soggetto, cioè, non esiste né prima
né dopo la corporeità, la dimensione della differenza corporale.
Solo così diventa spiegabile la maniera attraverso la quale la
costruzione del soggetto abbia sempre comportato un'esclusione: «se
porta qualcosa nel campo della lingua […] lascia fuori
qualcos'altro» (p. 208).
Il
quinto capitolo s'intitola Immaginarsi.
La natura del titolo non è casuale dal momento che i processi di
globalizzazione in atto appaiono così irresistibili e violenti da
porre al filosofo sociale il compito, certo difficile anche se non
impossibile, per il mezzo della critica, di «creare le condizioni di
possibilità per nuove configurazioni di senso all'interno della
prospettiva globale» (p. 211). La globalizzazione
non descrive un'estensione globale delle relazioni, dei saperi e
delle pratiche, ma il fatto che «questi mutamenti interessano
trasversalmente discipline diverse e ambiti differenti del sapere»
(p. 212). Di fronte a questo scenario, il compito della filosofia
sociale è quello di «rinvenire ambiti e significati in virtù dei
quali possano essere “immaginati” funzioni, ruoli e saperi in
grado di limitare gli eccessi in-globanti del capitalismo
contemporaneo» (p. 213). D'altra parte, è anche vero che i soggetti
sociali «sono attori non statali» (p. 214), ma planetari. Lo
sfumare dei contorni nazionali è anche l'orizzonte di senso del
fenomeno meglio conosciuto come glocalismo,
vale a dire la «formazione e la rivendicazione crescente di identità
culturali locali, che tendono ad accentuare fortemente alcuni tratti
particolaristici di tipo etnico o religioso» (p. 216),
apparentemente forme locali di resistenza all'omologazione
planetaria, in realtà «parte integrante di quel processo di
omologazione» (p. 216). I processi di globalizzazione, in altri
termini, impongono di tener debitamente conto di tre differenti
elementi: 1) lo sganciamento
da forme e vincoli sociali precostituiti in senso tradizionale; 2)
perdita delle
sicurezza tradizionali; 3) istituzione
di un nuovo tipo di legame. In questo senso, appare importante il
contributo della prospettiva interculturale la quale cerca di
«giudicare determinati contesti sociali nella misura in cui questi
creano rappresentazioni di culture considerate estranee» (p. 225).
Sicché, l'«interazione reciproca e la compenetrazione dialettica
tra cultura e politica rappresentano infatti il vero polo duale
intorno al quale è possibile ripensare la categoria di umanesimo
come ambito di interpretazione e di critica del mondo contemporaneo»
(p. 226). Come lo sfondamento dei confini nazionali impone un
ripensamento alla dialettica tra la politica e la cultura, allo
stesso modo anche lo sfondamento degli orizzonti culturali della
biologia impone una nuova riflessione attorno all'umano. L'essere
umano, perché soggetto della tecnica, «si presenta come l'unico
essere vivente capace di attivare processi di modificazione
riflessiva e ragionata delle coordinate naturali in cui è iscritto»
(p. 227). La filosofia sociale, dunque, deve porsi in dialogo con
l'antropologia della tecnica in quanto quest'ultima si configura come
«una disciplina imprescindibile e un campo tematico necessario» (p.
227). Essa, infatti, «è indispensabile per comprendere e
interpretare i mutamenti antropologici in atto nelle società
contemporanee, in relazione ai recenti sviluppi delle nuove
tecnologie» (p. 229), in maniera tale che la filosofia sociale possa
soffermarsi «su queste trasformazioni» (p. 229) individuando quelle
categorie «in grado di valutarne la portata e i significati» (p.
229). Su tutti i temi importati dall'antropologia della tecnica ne
spicca uno: quello «dell'identità personale» (p. 233). Un altro
aspetto che la condizione postmoderna della società umana planetaria
impone è quello relativo all'autocoscienza religiosa. Negli ultimi
anni è tornato di moda il sentimento religioso al punto che la
filosofia sociale non può sognarsi di ignorarlo. Così, essa si
trova costretta a prendere in considerazione gli effetti di tre
elementi necessari: «le credenze, i riti e le istituzioni» (p.
234). Su questi gioca adesso un ruolo imprescindibile il pluralismo
religioso il quale irrompe «in tempi e forme molto spesso
inaspettati» (p. 237). Infatti, è al suo interno che si colloca
l'orizzonte «in cui interpretare le implicazioni sociali e politiche
di tali mutamenti» (p. 237).
(immagine tratta da: http://www.inmondadori.it/img/soggetti-poteri-Introduzione-Michele-Spano-Vincenzo-Rosito/ea978884306630/BL/BL/12/NZO/?tit=I+soggetti+e+i+poteri.+Introduzione+alla+filosofia+sociale+contemporanea&aut=Vincenzo+Rosito)
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