(cooming soon: lavoro su filosofia e disabilità)
Premessa
Nel corso del
presente contributo, mi prefiggo di attenzionare un tema scarsamente
filosofico come la “disabilità”, cercando di mettere in mostra,
al contrario, come sia teoricamente rilevante e come abbia ricadute
non ininfluenti sull'intera categoria umana. Infatti, la disabilità
mostra in maniera radicale la strutturazione materiale, e, quindi,
transitoria e caduca, della condizione umana. Nelle persone disabili,
allora, possiamo scorgere la medesima trama dei nostri percorsi
esistenziali, la cifra dell'umanità, sia in positivo sia in
negativo. Fare questo, a mio modesto avviso, consiste nell'avvicinare
al tema presente la considerazione filosofica generale, più attenta,
in genere, alla nozione rarefatta e disincarnata di ragione che alle
maniere concrete di attualizzazione e di declinazione materiale di
quest'ultima. Una volta che la ragione si fonde con la materia bruta,
comincia la disabilità, vale a dire la condizione umana che tutti
noi siamo: potenzialità e limitazione; frammento d'infinito e
scheggia nelle carni; aspirazione all'immortalità ed inevitabile
caducità; gratuità di senso e oblio della ricordanza.
Ma per fare questo,
lungo appare il cammino del discorso filosofico, esito rispetto al
quale mi propongo, in questa sede, solamente di sondare il terreno,
di gettare le basi per un discorso più articolato, di giustificare
teoricamente un discorso sulla disabilità, uno rispetto ai tanti che
pure sarebbe possibile mandare ad effetto, abbozzare una singola
possibilità di discorso filosofico sulla disabilità che attraversi
gli infidi stagni della metafisica (rispondere alla domanda: chi è
il disabile?), dell'etica (rispondere alla domanda: quale etica per
le persone disabili?) e, infine, del riconoscimento politico
(rispondere alla domanda: quale il posto delle persone disabili nella
società politica?). Come si vede, certo, compiti non da poco, ma
che, con impegno e rigore cerco di affrontare.
1.Disabile, chi?
C'è un bellissimo
passo di un giornalista francese che ha dedicato un libro alla
memoria dei due figli disabili che recita così:
Caro
Mathieu,
Caro
Thomas,
Quando eravate
piccoli, qualche volta a Natale ho avuto la tentazione di regalarvi
un libro, un TinTin per esempio. Dopo, avremmo potuto parlarne
insieme. Conosco bene TinTin, ho letto tutti gli episodi diverse
volte. Alla fine, però,m non l'ho mai fatto, non era il caso, voi
non sapevate leggere. Né avreste mai imparato. Fino alla fine, i
vostri regali di Natale saranno costruzioni e macchinine … Adesso
che Mathieu è andato a cercare la sua palla in un posto in cui non
potremo aiutarlo a riprenderla, adesso che Thomas è ancora su questa
Terra ma con la testa sempre più tra le nuvole, ho deciso di
regalarvi comunque un libro. Il libro che ho scritto per voi. Perché
non veniate dimenticati, perché siate qualcosa di più di una foto
su un certificato d'invalidità. Per dirvi cose che non ho mai detto.
Rimorsi, forse. Non sono stato un buon padre. Spesso non riuscivo a
sopportarvi, non era facile amarvi. Con voi ci voleva la pazienza di
un santo, e io non sono un santo. Per dirvi che mi dispiace che non
abbiamo potuto essere felici insieme, e forse, anche, per chiedervi
scusa di non avervi fatto come si deve. Non abbiamo avuto troppo
fortuna, voi e io. Dal cielo ci è piovuta la proverbiale tegola in
testa. Ma ora la smetto di lamentarmi. Quando si parla di bambini
handicappati, si assume sempre un'aria di circostanza, come quando si
parla di una catastrofe. Per una volta, vorrei provare a parlare di
voi con il sorriso sulle labbra. Mi avete fatto ridere, e non sempre
involontariamente. Grazie a voi, ho avuto dei vantaggi che i genitori
dei bambini normali non hanno, nessun ansia per i vostri studi né
per il vostro futuro professionale. Non ci siamo arrovellati per
decidere tra liceo classico e liceo scientifico. Né ci siamo dovuti
preoccupare di quello che aveste fatto da grandi, è stato chiaro
quasi subito: niente. E soprattutto, per molti anni, ho beneficiato
del bollo di circolazione gratuito. Grazie a voi, mi sono potuto
permettere splendide macchine americane[1]
Non è facile
parlare di disabilità perché è, in genere, pietra di scandalo per
l'umanità, perché mette in mostra, talvolta in maniera davvero
oscena, tutti i limiti dell'umano, l'estrema imperfezione e fragilità
della nostra condizione umana. Con molte movenze, molte anche davvero
inconsce, cerchiamo di esorcizzarla, di dislocarla in ambiti
circoscritti e separati da noi, di allontanarla dai nostri destini,
di separarla dalla nostra quotidianità. Ma quando facciamo così,
oltre ad essere profondamente sciocchi, immancabilmente falliamo
perché la disabilità non è mai la sfortunata condizione di altri o
un problema di terzi o singole eccezioni umane, ma riguarda
direttamente ciascuno di noi, interpella senza mediazioni il nostro
essere, connota e delimita il nostro essere umani, volenti o nolenti,
consci o inconsci.
Ecco, vorrei
dedicare un saggio filosofico al tema in questione, per rivalutare,
filosoficamente palando, la disabilità.
É difficile, infatti, trovare autori che vi si siano dedicati, e,
ugualmente, è davvero difficile anche trovare esempi nei fiumi
d'inchiostro dei filosofi. Molto più semplicemente, come scandalo
per la razionalità ideale, i disabili sembra che non esistano punto
per i filosofi, sembra quasi che la disabilità non sia concreta,
reale, al massimo un difetto minimo e limitato degli armonici sistemi
filosofici, dei nei sostanzialmente da ignorare. Non la penso così.
La disabilità, al contrario, non è la sfortuna che Madre Natura,
nel ruolo di madre arcigna ed ingrata, per oscure ragioni, dispensa a
singoli, la disabilità non è una combinazione eccezionale e
circoscritta, ma la cifra esatta della nostra condizione umana. Per
dirla altrimenti, la disabilità abita da sempre l'esistenza umana,
la determina, la perimetra, la funzionalizza, le conferisce un senso
di limitazione, di fragilità, di aderenza al pianeta che calpestiamo
che rende tutti noi davvero umani. Se i filosofi preferiscono
chiudersi in un loro splendido isolamento, nelle loro torri d'avorio,
beandosi di una razionalità rarefatta senza collegamento con la
carne, meditando su una personalità disincarnata o su uno spirito
che fluttua libero dalle catene della nostra condizione materiale, alla fin fine cercano anch'essi di esorcizzare l'oscuro nemico della disabilità.
(omissis)
Note
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[1] Cfr. J. L. Fournier, Dove andiamo, papà? Vivere, piangere,
ridere con due figli diversi dagli altri, Rizzoli, Milano, 2009,
pp. 7 – 8.
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