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venerdì 30 giugno 2017

Disabilità?

"è la vulnerabilità condivisa a costituire la base dell’eguale diritto di ciascuno a vedere pubblicamente riconosciuti i propri bisogni: la legittimazione di ogni democrazia dipende, infatti, dalla capacità di garantire il diritto di partecipazione politica a ognuno"

(M. G. Bernardini, Disabilità, giustizia, diritto. Itinerari tra filosofia del diritto e Disability Studies, Giappichelli, Torino, 2016, p. 128)

Riflettiamoci sopra.

La differenza di possibilità crea differenze di genere? Identità diverse? Destini differenti? Declinazioni ulteriori dell'umanità? E sì, cosa è andato storto?

Amene riflessioni inattuali in progress ...




(url: https://img.ibs.it/images/9788892103771_0_0_1407_80.png)

lunedì 26 giugno 2017

Disabilità?

"Prestare attenzione al dato apparentemente ovvio che i disabili sono anzitutto persone, individui, esseri umani permette anche di porre in evidenza alcune criticità delle concezioni oggi dominanti in tema di handicap. In particolare, l'assunto (a) mira a ridimensionare l'enfasi posta dall'approccio delle capacità sui funzionamenti e sulle capacità quali parametri di giustizia sociale e di dignità individuale; (b) si oppone alla concezione della disabilità come identità collettiva accreditata dai disability studies; (c) tenta di evitare gli opposti riduzionismi del liberalismo e dell'etica della cura, che in modo speculare assolutizzano, rispettivamente, l'autonomia e la dipendenza quali cardini della condizione umana [...] spostare l'attenzione da ciò che separa disabili e non disabili da ciò che invece li accomuna [...] è stato detto giustamente  che i "diritti dei disabili" non dovrebbero essere un'aggiunta specifica alla lista dei diritti civili, bensì il loro pieno compimento"

(M. Zanichelli, Persone prima che disabili. Una riflessione sull'handicap tra giustizia ed etica, Queriniana, Brescia, 2012, pp. 60 - 61)

Riflettiamoci sopra.

Non è che, per caso, stiamo separando gli uni e gli altri, deducendo, di conseguenza un diritto separato? Ma il problema di partenza non era appunto evitare la separazione tra "disabili" e "non disabili", tra "malati" e "sani", tra "anormali" e "normali"? Cos'è successo? Cosa è andato storto? Come mai abbiamo reificato una nuova condizione umana in luogo dell'unica comune? Perché altri rispetto al semplice noi?

Tracce - non traccie - di una riflessione in progress ...



(url: https://www.queriniana.it/files/Books/1354/0.jpg)

lunedì 10 novembre 2014

Figli di un Dio minore?



"In vari casi i ragazzi in difficoltà erano addirittura condotti in locali a parte per ricevere dagli insegnanti di sostegno lezioni a loro specificamente finalizzate; in assenza dell’insegnante di sostegno, non di rado accadeva che gli allievi con disabilità di varie classi fossero affidati al personale assistente con funzioni di mera sorveglianza"



(G. Fappani, Figli di un Dio minore?, in G. Onger (ed.), Trent’anni di integrazione scolastica. Ieri, oggi, domani, Vannini Editore, Gussago, 2008, p. 120)



Purtroppo, in molte realtà le cose stanno ancora in questi termini, alunni che vivono la scuola fuori dalla classe e che, in assenza del docente di sostegno, vengono addirittura rifiutati dall'istituzione scolastica ...



No, questa è segregazione, esclusione, elusione dei precisi obblighi, negazione del valore costituzionale della scuola aperta a tutti ...

domenica 2 novembre 2014

Handicap sociale



Con l'ICF si "capovolge il punto di vista, ricollocando al proprio posto il protagonista, la persona, l’alunno".

(F. Stasolla – V. Albano, ICF e PEI nelle disabilità dello sviluppo, Libellula, Tricase, 2013, p. 29)

In realtà, le cose non stavano esattamente in questi termini prima che la classificazione ICF venisse approvata.

Infatti, tutti sanno, o dovrebbero sapere, che l'handicap non è della persona affetta da qualche menomazione, ma delle condizioni sociali e fisiche dentro le quali sviluppa la sua esistenza. Qui il mio ragionamento più esteso.

Pertanto, non è affatto vero che in precedenza si guardasse solo alle incapacità, perdendo di vista la centralità della persona, con i suoi bisogni, ma è vero, viceversa, che il rischio è sempre il solito: dimenticare che le le cause invalidanti non risiedono nella persona, ma nella particolare organizzazione sociale che il consorzio umano ha scelto e manda avanti, e che penalizza alcuni a vantaggio di tanti altri.


(url immagine: http://www.erisee.org/node/img/icf.jpg)

mercoledì 19 febbraio 2014

Considerazioni in merito alla disabilità

(sviluppo in fieri del lavoro su disabilità e filosofia)


"Se un bambino disabile viene immesso inaspettatamente in un gruppo di bambini, tutti lo guarderanno dapprima con curiosità o stupore o sgomento, secondo l’inesorabilità dei punti di vista. Gli unici che conserveranno un’attenzione concentrata, una partecipazione ambigua e un occhio torbido saranno quelli che cercano in lui uno specchio. Alcuni, avvinti quanto sopraffatti dalla paura di riconoscersi, reagiranno addirittura con la fuga o l’aggressività. Ma tornare è il loro destino vischioso, la loro sconfitta rassicurante"

(G. Pontiggia, Nati due volte, Mondadori, Milano, 2012, pp. 42 - 3)

Paura. Fuga. Ritorno. È attorno a questa triade che, a mio modesto avviso, si deve costruire un'etica della disabilità. Ma per far questo bisogna prima chiarire i termini generali della questione. 


Se il disabile, generalmente, trova ostacoli e notevoli difficoltà ad una vita autonoma, quale dev'essere il nostro rapporto con lui? Se fuggiamo, rinneghiamo il nostro stesso essere uomini. Se torniamo presso di lui, ma inerti come prima, manchiamo di riconoscerlo uomo, o donna, come noi. 


Dunque, se come uomini non possiamo che sentirci legati gli uni agli altri in un destino comune, l'essere parte del medesimo destino, accomunati dall'appartenenza alla stessa specie, un'etica della disabilità non potrà che essere un'etica della cura. Sì, come espressione di quella solidarietà, sentimento che esprime appieno la nostra unione come parti della stessa specie, i cosiddetti “normali” sono legati ai “disabili”, alla stessa maniera di come lo sono questi ultimi ai primi. Pertanto, bisogna prendersi cura dei disabili, ma non per soffocarne i bisogni reali in quanto persone come noi, ma per aiutarle a divenire ancor più persone. I disabili esprimono un bisogno di aiuto e spingono tutti noi a divenire, a nostra volta, ancora più persone, interessandoci di loro ed aiutandoli concretamente. Pertanto, la loro stessa esistenza, la loro presenza, il loro sguardo interpellano direttamente la nostra libertà, chiedendoci, e con imperio, di farne buon uso, mettendo in pratica iniziative volte a sollevarli di alcuni pesi. La presa in cura, infatti, non significa solamente prestare loro delle cure frettolose, come farebbe un'infermiera ospedaliera, ma addossare sulle nostre spalle un po' del peso che loro quotidianamente vivono. 


Non intendo dire che dovremmo esperire saltuariamente o sporadicamente cosa significhi la condizione disabile, ma soltanto, e non è certo poco, a dire il vero, essere pronti ad agire conseguentemente al riconoscimento della loro umanità, all'aver scorto in loro la presenza della medesima fiammella che palpita dentro di noi. È per rispetto a quest'ultima, è per sollecitudine nei confronti della comune umanità che dobbiamo andare incontro ai disabili e averne cura, come, penso, avremmo normalmente cura, e responsabilità, nei confronti di chiunque sia fragile, debole, non autonomo. Non ne abbiamo, forse, nei confronti dei neonati? O nei confronti dei bambini ammalati? O degli anziani che lentamente si spengono? 


Penso sia corretta l'impostazione del discorso sulla disabilità ad opera dell'OMS secondo il quale, infatti, la disabilità non coincide con la menomazione, temporanea o definitiva, ma consiste nell'oggettivazione della menomazione. Di conseguenza, tale nozione riflette bene le ripercussioni o gli effetti della menomazione sulle persone divenute così incapaci di compiere una determinata azione nel modo o nell'ampiezza considerati normali per un essere umano.



Così, dovremmo averne nei confronti dei disabili, valorizzando il significato proprio della nostra umanità e facendo, nel contempo, un buon uso della nostra libertà.

(prosegue)


(immagine tratta da: http://static.leonardo.it/wp-content/uploads/sites/4/2012/10/Un-bimbo-diversamente-abile-da-sostenere-non-da-emarginare.jpg)

domenica 9 febbraio 2014

Filosofia e disabilità

(cooming soon: lavoro su filosofia e disabilità)

    Premessa

Nel corso del presente contributo, mi prefiggo di attenzionare un tema scarsamente filosofico come la “disabilità”, cercando di mettere in mostra, al contrario, come sia teoricamente rilevante e come abbia ricadute non ininfluenti sull'intera categoria umana. Infatti, la disabilità mostra in maniera radicale la strutturazione materiale, e, quindi, transitoria e caduca, della condizione umana. Nelle persone disabili, allora, possiamo scorgere la medesima trama dei nostri percorsi esistenziali, la cifra dell'umanità, sia in positivo sia in negativo. Fare questo, a mio modesto avviso, consiste nell'avvicinare al tema presente la considerazione filosofica generale, più attenta, in genere, alla nozione rarefatta e disincarnata di ragione che alle maniere concrete di attualizzazione e di declinazione materiale di quest'ultima. Una volta che la ragione si fonde con la materia bruta, comincia la disabilità, vale a dire la condizione umana che tutti noi siamo: potenzialità e limitazione; frammento d'infinito e scheggia nelle carni; aspirazione all'immortalità ed inevitabile caducità; gratuità di senso e oblio della ricordanza.
Ma per fare questo, lungo appare il cammino del discorso filosofico, esito rispetto al quale mi propongo, in questa sede, solamente di sondare il terreno, di gettare le basi per un discorso più articolato, di giustificare teoricamente un discorso sulla disabilità, uno rispetto ai tanti che pure sarebbe possibile mandare ad effetto, abbozzare una singola possibilità di discorso filosofico sulla disabilità che attraversi gli infidi stagni della metafisica (rispondere alla domanda: chi è il disabile?), dell'etica (rispondere alla domanda: quale etica per le persone disabili?) e, infine, del riconoscimento politico (rispondere alla domanda: quale il posto delle persone disabili nella società politica?). Come si vede, certo, compiti non da poco, ma che, con impegno e rigore cerco di affrontare.

1.Disabile, chi?

C'è un bellissimo passo di un giornalista francese che ha dedicato un libro alla memoria dei due figli disabili che recita così:

Caro Mathieu,
Caro Thomas,

Quando eravate piccoli, qualche volta a Natale ho avuto la tentazione di regalarvi un libro, un TinTin per esempio. Dopo, avremmo potuto parlarne insieme. Conosco bene TinTin, ho letto tutti gli episodi diverse volte. Alla fine, però,m non l'ho mai fatto, non era il caso, voi non sapevate leggere. Né avreste mai imparato. Fino alla fine, i vostri regali di Natale saranno costruzioni e macchinine … Adesso che Mathieu è andato a cercare la sua palla in un posto in cui non potremo aiutarlo a riprenderla, adesso che Thomas è ancora su questa Terra ma con la testa sempre più tra le nuvole, ho deciso di regalarvi comunque un libro. Il libro che ho scritto per voi. Perché non veniate dimenticati, perché siate qualcosa di più di una foto su un certificato d'invalidità. Per dirvi cose che non ho mai detto. Rimorsi, forse. Non sono stato un buon padre. Spesso non riuscivo a sopportarvi, non era facile amarvi. Con voi ci voleva la pazienza di un santo, e io non sono un santo. Per dirvi che mi dispiace che non abbiamo potuto essere felici insieme, e forse, anche, per chiedervi scusa di non avervi fatto come si deve. Non abbiamo avuto troppo fortuna, voi e io. Dal cielo ci è piovuta la proverbiale tegola in testa. Ma ora la smetto di lamentarmi. Quando si parla di bambini handicappati, si assume sempre un'aria di circostanza, come quando si parla di una catastrofe. Per una volta, vorrei provare a parlare di voi con il sorriso sulle labbra. Mi avete fatto ridere, e non sempre involontariamente. Grazie a voi, ho avuto dei vantaggi che i genitori dei bambini normali non hanno, nessun ansia per i vostri studi né per il vostro futuro professionale. Non ci siamo arrovellati per decidere tra liceo classico e liceo scientifico. Né ci siamo dovuti preoccupare di quello che aveste fatto da grandi, è stato chiaro quasi subito: niente. E soprattutto, per molti anni, ho beneficiato del bollo di circolazione gratuito. Grazie a voi, mi sono potuto permettere splendide macchine americane[1]

Non è facile parlare di disabilità perché è, in genere, pietra di scandalo per l'umanità, perché mette in mostra, talvolta in maniera davvero oscena, tutti i limiti dell'umano, l'estrema imperfezione e fragilità della nostra condizione umana. Con molte movenze, molte anche davvero inconsce, cerchiamo di esorcizzarla, di dislocarla in ambiti circoscritti e separati da noi, di allontanarla dai nostri destini, di separarla dalla nostra quotidianità. Ma quando facciamo così, oltre ad essere profondamente sciocchi, immancabilmente falliamo perché la disabilità non è mai la sfortunata condizione di altri o un problema di terzi o singole eccezioni umane, ma riguarda direttamente ciascuno di noi, interpella senza mediazioni il nostro essere, connota e delimita il nostro essere umani, volenti o nolenti, consci o inconsci.
Ecco, vorrei dedicare un saggio filosofico al tema in questione, per rivalutare, filosoficamente palando, la disabilità. É difficile, infatti, trovare autori che vi si siano dedicati, e, ugualmente, è davvero difficile anche trovare esempi nei fiumi d'inchiostro dei filosofi. Molto più semplicemente, come scandalo per la razionalità ideale, i disabili sembra che non esistano punto per i filosofi, sembra quasi che la disabilità non sia concreta, reale, al massimo un difetto minimo e limitato degli armonici sistemi filosofici, dei nei sostanzialmente da ignorare. Non la penso così. La disabilità, al contrario, non è la sfortuna che Madre Natura, nel ruolo di madre arcigna ed ingrata, per oscure ragioni, dispensa a singoli, la disabilità non è una combinazione eccezionale e circoscritta, ma la cifra esatta della nostra condizione umana. Per dirla altrimenti, la disabilità abita da sempre l'esistenza umana, la determina, la perimetra, la funzionalizza, le conferisce un senso di limitazione, di fragilità, di aderenza al pianeta che calpestiamo che rende tutti noi davvero umani. Se i filosofi preferiscono chiudersi in un loro splendido isolamento, nelle loro torri d'avorio, beandosi di una razionalità rarefatta senza collegamento con la carne, meditando su una personalità disincarnata o su uno spirito che fluttua libero dalle catene della nostra condizione materiale, alla fin fine cercano anch'essi di esorcizzare l'oscuro nemico della disabilità.

(omissis)


Note
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[1] Cfr. J. L. Fournier, Dove andiamo, papà? Vivere, piangere, ridere con due figli diversi dagli altri, Rizzoli, Milano, 2009, pp. 7 – 8.



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mercoledì 13 febbraio 2013

Umanità ...


"Caro Mathieu,
Caro Thomas,

Quando eravate piccoli, qualche volta a Natale ho avuto la tentazione di regalarvi un libro, un TinTin per esempio. Dopo, avremmo potuto parlarne insieme. Conosco bene TinTin, ho letto tutti gli episodi diverse volte. Alla fine, però,m non l'ho mai fatto, non era il caso, voi non sapevate leggere. Né avreste mai imparato. Fino alla fine, i vostri regali di Natale saranno costruzioni e macchinine … Adesso che Mathieu è andato a cercare la sua palla in un posto in cui non potremo aiutarlo a riprenderla, adesso che Thomas è ancora su questa Terra ma con la testa sempre più tra le nuvole, ho deciso di regalarvi comunque un libro. Il libro che ho scritto per voi. Perché non veniate dimenticati, perché siate qualcosa di più di una foto su un certificato d'invalidità. Per dirvi cose che non ho mai detto. Rimorsi, forse. Non sono stato un buon padre. Spesso non riuscivo a sopportarvi, non era facile amarvi. Con voi ci voleva la pazienza di un santo, e io non sono un santo. Per dirvi che mi dispiace che non abbiamo potuto essere felici insieme, e forse, anche, per chiedervi scusa di non avervi fatto come si deve. Non abbiamo avuto troppo fortuna, voi e io. Dal cielo ci è piovuta la proverbiale tegola in testa. Ma ora la smetto di lamentarmi. Quando si parla di bambini handiccapati, si assume sempre un'aria di circostanza, come quando si parla di una catastrofe. Per una volta, vorrei provare a parlare di voi con il sorriso sulle labbra. Mi avete fatto ridere, e non sempre involontariamente. Grazie a voi, ho avuto dei vantaggi che i genitori dei bambini normali non hanno, nessun ansia per i vostri studi né per il vostro futuro professionale. Non ci siamo arrovellati per decidere tra liceo classico e liceo scientifico. Né ci siamo dovuti preoccupare di quello che aveste fatto da grandi, è stato chiaro quasi subito: niente. E soprattutto, per molti anni, ho beneficiato del bollo di circolazione gratuito. Grazie a voi, mi sono potuto permettere splendide macchine americane"

(J. L. Fournier, Dove andiamo, papà? Vivere, piangere, ridere con due figli diversi dagli altri, Rizzoli, Milano, 2009, pp. 7 – 8)




Qui c'è tutto. Dire altro sarebbe superfluo.




(immagine tratta da: http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/shared_libri/cover/medium/1703042_0.jpg)