L’immagine che desidero qui commentare brevemente, tratta dalla rassegna stampa che il LabOnt ha dedicato al cosiddetto “nuovo realismo”, sintetizza, a mio modesto modo di vedere, in maniera efficace il “succo” del postmodernismo filosofico, nei suoi eccessi e nei suoi meriti, ma anche nei suoi innegabili difetti.
Infatti, abbiamo una situazione iniziale, un soggetto A che calpesta il collo di un soggetto B, che viene sviluppata in maniera del tutto particolare, anche giungendo ad una interpretazione della stessa del tutto paradossale, e negatrice della realtà stessa che sta accadendo (che A preme con il piede sul collo di B).
Il soggetto B, nella prima vignetta, lamentandosi con A, riassume icasticamente la situazione per come tutti noi possiamo vederla: il soggetto A gli calpesta il collo con il piede destro. Nella vignetta successiva, il soggetto A, significativamente rappresentato in doppio petto, pomposamente risponde “Bene, questo è un punto di vista, ma qualcuno potrebbe rispondere che tu stai cercando di trascinarmi con il tuo collo”. Questa è una premessa, assai significativa, per quanto lo stesso sta per dire nella terza vignetta: “Vedi, nella condizione postmoderna creiamo la nostra propria realtà sulla base delle nostre precognizioni interiorizzate cosicché non c’è più alcuna verità obiettiva, ma siamo liberi di creare la nostra verità … come vedi, non c’è giusto o sbagliato, ma un numero infinito di storie egualmente valide”.
Quanto il soggetto A dice nella terza vignetta, a mo’ di risposta a quanto lamentato dal soggetto B nella prima vignetta, è, a mio modesto modo di vedere, proprio il succo di quanto sostenuto dal postmodernismo nelle sue varie forme: non v’è alcun dato oggettivo, ma tutto viene narrato da vari narratori senza che ciascuna storia possa arrogarsi il diritto di essere più vera delle altre. Così inteso il processo conoscitivo, molto prossimo al nichilismo gnoseologico gorgiano, e non a caso aggiungerei, è inevitabile che l’intera realtà venga ridotta ad un insieme caotico di precondizioni che ciascuno di noi interiorizza nel corso della suo sviluppo al punto da costruire una “realtà soggettiva”, tanto vera quanto quella di altri come noi. Anzi, la realtà non c’è di per sé, ma è il frutto della nostra costruzione fantasmatica, come frutto delle introiezioni che evolutivamente non possiamo fare a meno di avere, o subire. Quindi, una sorta di nichilismo ontologico fa il paio con il precedente nichilismo gnoseologico. Manca ancora la terza tesi gorgiana: se anche le cose non fossero così, nulla è comprensibile. E difatti, ecco che nella quarta, ed ultima vignetta, il soggetto B torna a lamentarsi con il soggetto A: “Ma stai ancora calpestando il mio collo!”. Ma il soggetto A risponde laconico: “Mai stato al college, vero?”. Quanto il soggetto A risponde è significativo: se tu avessi frequentato il college, non ti fermeresti ad una conoscenza così approssimativa, e “comune”, ma la penseresti come me. Se sapessi cosa sono i condizionamenti psicologici, sociali, culturali, e così via, non penseresti affatto che ti sto calpestando il collo, e potresti offrirmi altre narrazioni, magari anche più appetibili. Ecco qui riassunta anche la terza tesi gi Gorgia: ammesso, e non concesso, che qualcosa sia e che questo qualcosa sia conoscibile, è comunicabile? Il soggetto A e il soggetto B non comunicano affatto, si limitano a condividere un medesimo spazio ristretto, offrendo però descrizioni di realtà diverse … o almeno questo è quello che pensa il postmodernista soggetto A mentre il soggetto B, con il collo dolente, potrebbe pensarla molto diversamente.
In un altro post, avevo considerato il neorealismo attuale come una sorta di ripresa del parmenidismo, e non a caso: il nichilismo gorgiano, del tutto ripreso, e sviluppato ulteriormente, dal postmoderno, è la negazione esatta della filosofia eleatica. Mentre Parmenide ci parla di una realtà che esiste oggettivamente, che è conoscibile intersoggettivamente, e che è anche descrivibile oggettivamente, Gorgia, e con lui i postmoderni, ci dicono l’esatto contrario: una realtà che non sappiamo se c’è, una realtà che certamente conosciamo ciascuno in maniera diversa, e, infine, una realtà che non è comunicabile, almeno non nella forma di un senso condiviso.
È peraltro significativo anche l’abbigliamento dei due soggetti: elegante, e formale, il soggetto A, sportivo, e informale, il soggetto B. Infatti, ciò significa che la visione portata avanti dal primo è quella attualmente maggiormente in voga, quella più ricca di riconoscimenti, mentre quella sostenuta, anche per difendersi dalla brutale aggressione, dal secondo soggetto è meno ricca di condivisione, e, quindi, meno attuale presso i dipartimenti accademici. Cosa ci dice questo? Che, forse, la suggestione, maggiore nel caso della prospettiva del soggetto A, ha preso il posto del rigore speculativo nella storia moderna della filosofia, giungendo anche sino all’estremo paradossale di una situazione che non è quella che appare, ma che potrebbe pure essere altrimenti. E che posto hanno allora le lamentele del soggetto B calpestato? Sta forse sognando? Si inganna?
La cosiddetta svolta retorica (rethoric turn) del XX secolo in filosofia ha consentito anche l’allargamento, oltremisura, delle maglie della riflessione filosofica, portando anche ad un misconoscimento della realtà in forza di una sua controfigura metaforica. Ma questo, scusateci, appare solo un mero errore e per di più non è nemmeno segno di serietà scientifica: nessuno dubita del fatto che il processo conoscitivo è molto meno razionale di quanto appaia nella sue ricostruzioni e che anzi sia influenzato da moventi psicologici, sociali e culturali, ma pensare da qui che neanche vi sia una realtà appare quanto meno problematico. Andate pure a dirlo al povero soggetto B, chissà cosa potrebbe rispondervi. Anche se, ovviamente, la vignetta è volutamente satirica e, quindi, va presa con le dovute cautele.
Forse, allora, è giunto il momento di scrollarsi di dosso l’abulia e il sonno post sbornia postmoderna, e tornare a pensare cosa siano il mondo, la conoscenza e il linguaggio.
Che è quanto dire che sarebbe meglio tornare ai classici problemi della filosofia, lasciando le tentazioni metaforiche ai poeti, agli esteti, ai romanzieri.