Paradossi? Cosa sono
quelli che capitano alla logica deontica?
Si
tratta di mere contraddizioni che derivano dall'apparato formale del
calcolo deontico stesso. Insomma, delle derivazioni inaspettate
ma indesiderate[1],
delle conseguenze logiche che però contraddicono o un assioma o un
teorema della logica deontica stessa. Ne esistono un gran numero e
per alcuni è indice di inadeguatezza formale[2] oppure ancora della
necessità di un completamente del linguaggio formale prescelto[3].
Ma in cosa si
distinguerebbero quelli deontici dai normali paradossi logici?
Nel
loro caso l'insidia logica comportata dalla presenza di una
contraddizione è ancora più grave. Non si tratta di un semplice,
per così dire, autoriferimento semantico, una delle principali cause
di contraddizione logica, come per esempio nel caso del paradosso
del mentitore,
ma un più marcato ed ostico malfunzionamento del linguaggio formale
prescelto per formalizzare il comportamento dei concetti normativi.
Se si verifica un paradosso deontico, è l'intero calcolo che suo
malgrado lo ospita che decade a causa della sua incoerenza.
E come hanno luogo i paradossi deontici?
Secondo Hansson[4],
esiste un significato particolare, e specifico, delle nozioni
deontiche che non può venir rappresentato in maniera adeguata dal
linguaggio simbolico scelto. Ragion per cui la dontraddizione che può
essere derivata non è un esito comunque rifiutabile dal sistema
logico di partenza, ma un'antinomia o una contraddizione interna al
calcolo stesso.
É un problema di
linguaggio?
Sì, perché von
Wright stesso decise di costruire l'insieme di assiomi e tesi
fondamentali della logica deontica, ossia la struttura entro il quale
cercare di catturare il significato logico dei concetti normativi,
sul linguaggio della logica proposizionale, rendendo così davvero
difficile, quanto non del tutto impossibile, render conto di
particolari fenomeni I quali, infatti, danno luogo a contraddizioni.
Quali fenomeni?
Partendo dal fatto
che I paradossi deontici sono, in genere, o il risultato
dell'interazione tra un operatore e una variabile oppure anche
l'effetto di un'interazione tra una tesi generale e un caso
particolare, in ogni caso si deve convenire sulla natura “rigida”,
e poco flessibile, del linguaggio logico, incapace così di
rispondere in maniera adeguata ad alcune particolari sollecitazioni.
Per Feldman[5], la maniera più semplice per emendare la logica
deontica, qualsiasi calcolo di logica deontica, è modificare il
linguaggio enunciativo normalmente adoperato e rendere così conto di
alcune circostanze non rappresentabili in maniera adeguata nei
sistemi deontici. In breve, la logica deontica non appare in grado di
render conto adeguatamente delle seguenti circostanze:
(1) relazioni di
causalità tra modali deontici;
(2) relazioni di
condizionalità (primaria e secondaria) tra proposizioni deontiche;
(3) iterazione di
modali deontici;
(4) iterazione
modale (modalità miste);
(5) difettibilità, e
relativa apertura a tempi,
agenti e contenuti
differenti, delle
proposizioni deontiche;
(6) vincoli di coerenza
basati sul principio di contraddizione.
Per Brown[6], ad
esempio, proprio la possibilità di distinguere tra tipologie
differenti di obblighi, primari e secondari, o, in qualche modo
anche, tra differenti tipi di condizionalità tra obbligo generale e
sua declinazione singola, consente di superare gran parte delle
difficoltà in cui si dibatte la disciplina.
Sembra di capire che
il problema di base della logica deontica sia la sua eccesisva
rigidità, giusto?
Sì, è così. Il
linguaggio monadico, che consente l'assunzione di una sola variabile
da parte di un singolo operatore, e una semantica molto povera,
assunto dalla disciplina partire dal saggio pioniere di von Wright,
non consente di cogliere la multiforme realtà deontica nella sua
eterogeneità di singolarità e di coordinazione tra tesi generali e
casi particolari. Dello stesso paere appare anche Feldman[7].
Senza una modifica
in tal senso, la logica deontica è destinata a restare
sostanzialmente impresentabile data la sua natura problematica?
Per Artosi[8], la
situazione è sostanzialmente così. E, francamente, anch'io la penso
così.
Ma è possibile
fornire qualche esempio di paradosso deontico al fine di percepire
meglio la natura particolare di tali contraddizioni?
Certamente. Possiamo
elencare nella maniera che segue I principali paradossi che la
letteratura deontica ci tramanda:
1) il paradosso
dell'obbligo derivato;
2) il paradosso di
Ross;
3) il paradosso del
Buon Samaritano;
4) il paradosso
della vittima;
5) il paradosso del
ladro;
6) il paradosso di
Platone;
7) il paradosso di
Sartre;
8) il paradosso
dell'Imperativo contrario al Dovere;
9) il paradosso del
dovere epistemico.
Ora, pur essendo
formule correttamente derivate entro il proprio sistema logico, sono
quantomeno controintuitive una volta interpretate in senso
normativo[9]. Vediamoli adesso singolarmente. Il paradosso
dell'obbligo derivato fa riferimento ad un principio base della
logica deontica, segnatamente il principio dell'obbligo derivato,
secondo il quale «l’esecuzione
dell’atto p obbliga (moralmente) l’agente ad eseguire l’atto
q»[10]. Siccome, però, il
concetto di obbligo è interdefinibile sulla base di uno degli altri
concetti deontici, tale obbligo conduce all'esito paradossale secondo
il quale «il fare un atto vietato ci obbliga a fare qualsiasi altra
cosa. Per cui, ad esempio, ammesso che il furto sia un atto proibito,
il compierlo ci obbliga a commettere un altro atto, ad esempio
l’omicidio»[11]. Come a dire che, e in maniera del tutto
insensata, «the doing of what is forbidden commits us to the doing
whatsoever»[12]. Si tratta di una conclusione del tutto inaspettata
ma indesiderata e che pone un serio dubbio sulla consistenza del
sistema deontico stesso dal momento che è una contraddizione
difficilmente refutabile senza comportare un rigetto anche del
principio base. Per von Wright, si tratta di un analogo deontico del
paradosso dell'mplicazione
stretta[13].
Ora
diventa più chiara la difficoltà posta in essere dai paradossi
deontici. Ma cos'altro possiamo dire al riguardo e su tutti gli
altri?
Il
paradosso di Ross è un vero e proprio esempio di antiquariato
deontico nel senso che p stato formulato da Alf Ross, lo stesso del
dilemma di Jørgensen
prima ancora che la logica deontica quale disciplina nascesse
storicamente[14]. Comunque, anch'esso coinvolge direttamente uno dei
principi fondamentali della logica deontica, ossia il principio
secondo il quale devono
darsi le conseguenze di cosa è il caso che si dia[15].
Ora se abbiamo l'obbligo di compiere una data azione, per esempio
'p', ciò comporta dover accettare che tale obbligo corrisponda
all'obbligo equivalente di compiere l'azione 'p' oppure l'azione 'q'.
Il problema sorge una volta che tale formula viene interpretata, per
cui possiamo incorrere nella contraddizione seguente: è obbligatorio
imbucare la lettera oppure bruciarla[16]. Il che è del tutto
contraddittorio: com'è possibile che dall'obbligo ad imbucare una
lettera segua naturalmente che sia obbligatorio imbucarla o
bruciarla?
É
una contraddizione notevole oltre che preoccupante. Accade la stessa
cosa con gli altri paradossi?
Il
meccanismo di genesi della contraddizione è, più o meno, lo stesso:
vige un principio base del sistema il quale non funziona più quando
deve declinarsi nel caso concreto. Ad esempio, prendiamo ora in
considerazione il paradosso del Buon Samaritano. Quest'ultimo prende
le mosse, come conseguenza paradossale, dal principio [P] secondo il
quale «whatever implies what is forbidden is itself forbidden»[17].
Pertanto, seguiamo il discorso di Poli: «un fondamentale principio
della logica deontica è: (P) Se un atto A implica un atto B, allora:
(1) L’obbligatorietà di A implica l’obbligatorietà di B; (2) La
proibizione di B implica la proibizione di A. se, in sintonia con
un’opinione diffusa, intendiamo «atto A» come «affermazione o
stato di cose tale che qualche agente esegue A», il principio (P) si
trasforma in: (P’)
Se una persona a esegue l’atto A implica che una persona b esegue
l’atto B, allora: (1) che la persona a è obbligata a fare A
implica che la persona b è obbligata a fare B; (2) che la persona b
ha la proibizione di fare B implica che la persona a ha la
proibizione di fare A. (P’)
però non è equivalente a (P). Esso conduce anzi ad
autocontraddizioni»[18]. Facciamo un esempio, se il Buon Samaritano
aiuta Giorgio che è stato derubato, allora possiamo dire che Giorgio
è stato derubato; ma è vietato che Giorgio venga derubato. In tal
caso, allora, essendo che il Buon Samaritano aiuta Giorgio perché
quest'ultimo è stato derubato, è vietato pure che il Buon
Samaritano aiuti Giorgio. Questo risultato è del tutto
paradossale[19].
(continua)
Note
[1]
Cfr. E.
J. Lemmon – P. H. Nowell Smith,
Escapism:
The Logical Basis for the Ethics,
“Mind”, 69, 1960, p. 290: «this
is not a logician’s paradox, like Russell’s class of paradox; it
reveals no logical antinomy or contradiction within the calculus. It
is simply that theorem 54, which is obtained by substitution from a
truth of logic, gives, when interpreted, a result which is not only
surprising, but unpalatable».
[2]
Cfr. G.
Sartor,
Informatica
giuridica. Un’introduzione,
Giuffré, Milano, 1996, p. 87: la logica deontica manca «di
solide fondamenta logiche e filosofiche».
[3]
Cfr. G.
Carcaterra,
Il
problema della fallacia naturalistica. La derivazione del dover
essere dall’essere,
Giuffré, Milano, 1969, p. 612: la logica deontica è «non ancora
sistemizzata completamente».
[4]
Cfr. B.
Hansson,
An
Analysis of Some Deontic Logics,
“Noûs”, 4, 1969, p. 373: «The
“paradoxes” which arise in these logics seem to indicate that the
axioms reflect only some special sense of the words “obligation”
and “permission”».
[5] Cfr. F.
Feldman, A Simplex Solution to the Paradoxes of Deontic
Logic, “Philosophical Perspective. Action Theory and Philosophy
of Mind”, 4, 1990, p. 309: «Some
of deontic logic’s stickiest problems are revealed by the so-called
“paradoxes of deontic logic”. None of these is, strictly
speaking, a paradox – no one purports to derive a contradiction
from a bunch of seemingly uncontroversial premises. Instead, the
general form is this: some system of deontic logic has been proposed.
A critic then describes a possible situation and produces a set of
ordinary language sentences. The sentences would presumably be true
if the situation were occur. The critic next indicates the systematic
representations of these sentences. He points out that the systematic
representations do not have the logical features of the ordinary
language sentences they are intended to represent. In the most
typical case, the problem is that the original set of sentences is
consistent, whereas the representations are inconsistent».
[6] Cfr.,
M. A. Brown, Conditional and Unconditional
Obligation for Agents in Time, in M. Zakharyaschev
– K. Segerberg – M. De Rijke
– H. Wansing (eds.), Advances in
Modal Logic. Volume 2, CSLI, Stanford, 2001, p. 121: «It
is widely recognized that any full development of deontic logic must
provide a way in which to represent and reason about conditional as
well as unconditional obligation. Traditional discussions of deontic
logic have, for the most part, set aside various sorts of
complications, aiming to provide a simple core theory of
unconditional obligation and/or of conditional obligation which might
later (it was hoped) be adjusted and elaborated, to take account of
various subtleties. The result has been a series of accounts of
obligation which have been unsatisfying in various ways, not least of
which is the fact that they have been beset by a variety of
“paradoxes”».
[7] Cfr. F.
Feldman, op. cit., p. 336: «it
seemd to me that the solutions to the paradoxes require a system that
has the following features: (a) it must be able to express some sort
of conditional obligation for which factual detachment fails; (b) it
must be able to express the idea that something may be obligatory as
of one time, but non-obligatory at some other time; (c) it must be
able to express the idea that something may be obligatory for one
person, but not for others».
[8] Cfr. A.
Artosi, il paradosso di Chisholm. Un’indagine
sulla logica del pensiero normativo, Clueb, Bologna, 2000, p. 69:
«la logica deontica è
una fonte insidiosa e inesauribile di paradossi».
[9] Ivi, p.
69 e sg.: «formule
perfettamente valide dal punto di vista logico (cioè teoremi del
Sistema Standard) che, quando interpretate, hanno, per così dire, un
sapore fortemente controintuitivo».
[10] Cfr. R.
Poli, La logica deontica: dalla fondazione
assiomatica alla fondazione filosofica (I), “Verifiche”, 3,
1982, p. 335.
[11] Ivi, p.
336.
[12] Cfr. A.
N. Prior, The Paradoxes of Derived Obligation, “Mind”,
63, 1954, p. 64.
[13] G.
H. von Wright, A Note on Deontic Logic and Derived
Obligation, “Mind”, 260, 1956, p. 508: «The
“paradox” under consideration is an analogue to a wellknown
Paradox of Strict Implication in modal logic (…) that then an
impossible proposition would entail any arbitrary
proposition».
[14] Cfr. N.
Grana, op. cit., p. 25: «nel
’41 Ross ne ha formulato uno, diventato in seguito famoso
(paradosso di Ross). Lo possiamo esprimere nel modo seguente:
OAO(AB).
Esso ci dice che se un’azione è obbligatoria, allora è
obbligatoria quell’azione o qualsiasi altra azione. L’esempio
emblematico dello stesso Ross è il seguente: «Se qualcuno deve
imbucare una lettera, allora egli deve imbucare la lettera o
bruciarla»».
[15] Cfr. Al
– Hibri Cox, Deontic Logic. A Comprehensive
Appraisal and a New Proposal, University Press of America,
Washington, 1978, p. 16.
[16] Cfr. A.
Ross, Imperativi e logica, in A. Ross,
Critica del diritto e analisi del linguaggio, Il
Mulino, Bologna, 1982, p. 89 e sgg. Cfr. R. Poli,
op. cit., p. 336: «Il
paradosso di Ross si può simbolizzare nei due modi seguenti: (i)
OpO(pq);
(ii) Pp(pq).
dalle due formulazioni indicate deriva che (i) se devo spedire una
lettera, allora devo spedirla o bruciarla; (ii) se ho il permesso di
guidare l’automobile, allora ho il permesso di guidarla o di
uccidere».
[17] Cfr. Al
– Hibri Cox, cit., pp. 17 – 18.
[18] Cfr. Cfr. R.
Poli, La logica deontica: dalla fondazione
assiomatica alla fondazione filosofica (II), “Verifiche”, 4,
1982, p. 460.
[19] Cfr. A.
Artosi, op. cit., p. 72: «il
Buon Samaritano dal momento che se è vietato aggredire e derubare i
viandanti, allora è vietato aggredirli e derubarli e anche
soccorrerli quando vengano aggrediti e derubati. Così, andando in
soccorso della vitima di una aggressione, il Buon Samaritano compie
paradossalmente un’azione proibita. Di qui il nome di Paradosso del
Buon Samaritano».
(immagine tratta da: http://journals.cambridge.org/fulltext_content/DIA/DIA25_04/S0012217300049684_eqnU1.gif)
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